La vita di Adèle


A Lilla, città di provincia, la quindicenne Adèle, in un confuso percorso di consapevolezza di sé, arriva a innamorarsi perdutamente di Emma, snob e intellettuale, più matura, forte e scafata.
Dopo la visione di un film, la domanda da porsi è: «Ma, a finale, il film ti è piaciuto?», ovvero, più elegantemente: «Ha lasciato qualche traccia di sé nella memoria emotiva? ».
Il fatto che abbia vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes 13, è, per lo spettatore, del tutto marginale. Per me la risposta è stata positiva: ed è da questo assunto che avviene il feed-back, ovvero la ricomposizione dei singoli aspetti del film stesso.
Tra i quali i più, diciamo, ostativi sono stati la lunghezza (179min!) e (l’apparente) troppo dilungarsi sulle scene d’erotismo saffico; che a qualcuno è parso un po’ troppo compiaciuto, se non simil-hard. E per le quali ci fu anche una (sospetta) polemica da parte delle protagoniste col regista, poi, a lancio avvenuto, rientrata.
Se il film (FRA-BEL, 13) è riuscito, è l’insieme che governa le sue parti. Qui abbiamo la passione che invade la nostra protagonista: la fa crescere; parrebbe o potrebbe darle finalmente stabilità emotiva. Ma, insieme a questa, le dà la dolorosa coscienza della sostanziale marginalità della sua dedizione nell’anima, ben altrimenti complessa, ambigua di Emma.
Costei, pittrice talentuosa,appartiene saldamente ad un milieu intellettuale élitario, con forti pretese di salita economico-sociale; e vorrebbe inoltre modellare la ragazza, e farla diventare una intellettuale rampante come lei, avendole, giustamente, attribuito dei talenti di scrittrice.
Adèle invece le resiste: è un flaubertiano “coeursimple” (cuore semplice): ama i bambini coi quali lavora a scuola.E comunque questa passione, testimoniata figurativamente dalle torride scene di sesso, non le dà scampo né tregua.
E non è che, a dispetto delle sue guanciotte piene, sia stolida o ingenua. È invece finemente intelligente e anche colta: solo che non usa la cultura come mazza per creare, come fa la sua compagna, il vuoto attorno a sé e al suo gruppo: c’è nel film la lettura di Pierre de Marivaux (un classico preilluminista) , da lei usata validamente come confronto con le sue esperienze di vita.
Come si vede,  sono molti gli elementi che il regista franco tunisino Abdellatif Kechiche (anche sceneggiatore) ha messo a fuoco; senza parlare, ad esempio, dei rispettivi genitori delle ragazze, tra i quali non potrebbe essere più forte il divario.
Il film è tratto da una Graphic Novel di Julie Maroh, ma è stata completamente mutata; tuttavia le concentrazioni narrative, i grumi di notazioni, sono rappresentati dal regista in sintetici, pregnanti apporti figurativi.
Nonostante il fatto che usi spesso riprese molto strette sui personaggi, le scelte sono sempre significanti ed essenziali: quelle cromatiche hanno l’algore di un inverno sempre presente.
Il giovane direttore della foto, Sofian El Fani, lo stesso di “Venere Nera”, crea distanza e contemporaneamente partecipazione. Il montaggio, nonostante le apparenze, è molto, ma molto elaborato: sono ben 4 i tecnici accreditati. Ma è un capolavoro di fluidità ed essenzialità narrativa: non si perde mai il baricentro della vicenda.
Le attrici sono magistrali: la più giovane Adèle Exarchopoulos è un miracolo di candore, indifesa tenerezza, complessità e bellezza.

Francesco “Ciccio” Capozzi