Il boom industriale del Sud


Dopo un passato agrario e latifondista vicereale, con i Borbone iniziò il boom industriale del Sud.
Lo sviluppo dell’industria spaziò in tutti i settori economici: dalla Real Fabbrica di Porcellane di Capodimonte a quella d’armi da fuoco di Torre Annunziata, al Real Cantiere Navale di Castellammare di Stabia, fino ad arrivare all’incremento della pesca del corallo a Torre del Greco: la produttività del Regno delle Due Sicilie in alcuni comparti toccava i massimi livelli del territorio italico.
Sono solo alcuni degli esempi della produttività del Meridione: emblematica fu la Real Fabbrica di Seta di San Leucio fondata nel 1789, una vera novità per organizzazione, quasi al di fuori del tempo e proiettata nel futuro.
San Leucio contava una infinità di macchinari a vapore; insieme con gli altri centri di produzione nel 1853 arrivò ad esportare in tutto il mondo circa sei tonnellate tra seta grezza e lavorata.
Lino, guanti, pelle, scarpe, calze da donna, stoviglie, cere, industrie agroalimentari, siderurgiche e meccaniche: era impiegato ogni comparto produttivo. Si può perciò affermare che il Regno delle Due Sicilie nell’800 avesse raggiunto un equilibrio ottimale, con pochissime importazioni a fronte dei tantissimi materiali esportati.
La politica di governo dei Borbone era senz’altro protezionistica, ma non aveva affatto chiuso con i capitali stranieri: sin dal 1832 Ferdinando II aveva favorito l’export e l’import con agevolazioni fiscali, ribassi sui dazi doganali, porti franchi nelle principali città, imposte nazionali ridotte al minimo.
Di contro, nello stesso periodo il Regno di Sardegna era molto chiuso e fiscale.
Tutto il commercio veniva regolato da un Supremo Magistrato; il Regno era dotato di Catasto fondiario, dalle Camere di Commercio e aveva una compagnia assicurativa mercantile e di tutti i rami già nel 1816, quindi fondata precedentemente rispetto alla compagnia austriaca delle Assicurazioni Generali di Venezia.
Inoltre a Napoli vi erano sette banche principali tra cui quella di San Giacomo, del Santo Spirito di Sant’Eligio, del Banco di Napoli, fondata nel 1494 e divenuto dal 1816 unica banca, cui seguiva il Banco di Sicilia, quasi altrettanto antico.
Anche nel campo dell’arte si avviò un settore produttivo: si andava dalle porcellane di Capodimonte, poi di biscuit di Portici, fabbrica sorta in sostituzione dopo il 1759 della manifattura napoletana, che impiegava nella lavorazione il caolino proveniente da Fuscaldo in Calabria, un artigianato risalente al medioevo, fino alle cioccolaterie e l’arte presepiale, famosa in tutto il mondo, la coltivazione di papiro tipo egizio in Sicilia e di gelsomino e del bergamotto in Calabria, le industrie del caffé di Palermo e Napoli.
La prelibata pasticceria trovò grande impulso nella creatività degli abitanti del Regno e sorsero le scuole di Startuffo in piazza San Domenico Maggiore e successivamente Pintauro e Caflisch.
E non va certo dimenticato il Teatro di San Carlo, primo teatro lirico in Europa, vanto di una Città dalla vita culturale fervidissima, con un’editoria fiorente e numerose  stamperie e giornali.
Tra ‘700 e ‘800 nel Regno delle due Sicilie venivano valorizzate anche le tecnologie di ultima generazione: dal 1852 era stato sviluppato in tutta la parte continentale un sistema telegrafico che si congiungeva con quello sottomarino del 1856 tra Reggio Calabria e Messina collegandosi con i telegrafi di tutta la Sicilia.
Il settore tessile non si limitava solo alla produzione di sete, ma aveva punti di produzione in molti centri del Regno dando lavoro a migliaia di persone, come pure l’industria conserviera e allevamenti di animali all’avanguardia, come quello dei cavalli a Persano, le pecore merinos in Puglia, i bufali per la produzione di latticini e di mozzarella del Cilento, di Battipagia o di Mondragone, l’apicoltura.
Gli allevamenti, tra primi in Europa, erano altamente specializzati; operavano attraverso incroci una selezione sui capi di bestiame per migliorare le razze. Un bell’esempio fu il Corsiero Napolitano, cavallo storico oggi praticamente scomparso.
I pastifici erano numerosi a Napoli, Lettere, Gragnano, Cicciano, fiore all’occhiello di un’economia felice dove tutta la produzione enogastronomica, ancora oggi alla base della dieta mediterranea, veniva curata particolarmente, facilitata com’era dal suolo fertile e dal clima favorevole.
Vanno naturalmente ricordati il prezioso olio di produzione pugliese, il torrone, l’industria vinicola con i vini pregiati di Abruzzo, quelli raffinati della Puglia, quelli forti di Sicilia, agli amabili della Campania e del Molise, fino ai vini da taglio siciliani e calabresi.
Anche la produzione ortofrutticola era forte, con esportazioni in tutto il mondo di pomodori, arance, limoni, mele. La produzione di quest’ultimo frutto era talmente abbondante che dopo la caduta dei Borbone il nuovo Stato pensò bene di bruciare numerose piantagioni campane per non farne abbassare il valore medio italiano.
Nel settore estrattivo primeggiavano le saline in Puglia, lo zolfo in Sicilia, lignite, antracite e talco a Gaeta, oltre la torba in tutto il sud e le cave di tufo e di pozzolana sparse un po’ dovunque; vanno ricordate inoltre le cave di marmo di Mondragone e quelle tifatine nel casertan.
Anche se oggi in Italia l’estrazione del petrolio praticamente manca, nel Regno delle Due Sicilie era invece attiva: in Abruzzo, nella valle di Pescara, a Tocco, nel 1832 si rinvennero sorgenti naturali di petrolio e  nel 1846vennero effettuate trivellazioni profonde che già nelle prime 24 ore diedero 200 litri di petrolio arrivando a circa mille in due mesi. Nel 1861 i piemontesi fecero saltare le installazioni temendo le usassero i “briganti” filoborbonici.
Questo è un quadro appena abbozzato dell’avanguardia industriale e manifatturiera del Regno delle Due Sicilie al tempo dei Borbone; che completeremmo con quello industriale siderurgico e cantieristico della marina sia mercantile che militare.

Michele Di Iorio