La roccaforte inespugnabile

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rosa rosaCon passo greve torna dal lavoro. La senti respirare profondamente mentre sale le scale, a passo veloce, portando con sé le buste della spesa. Ha i capelli appiccicati sulla fronte, un’espressione di dolce dimissione, e le rughe ai lati della bocca sono enfatizzate da un appena accennato sorriso, che le si disegna sul volto provato.
«Ciao, mà – le dico, aprendole la porta – Sto cercando i miei documenti. Per caso li hai visti?»
Ha appena solcato la soglia della porta e già pretendo qualcosa da lei. Insostituibile baluardo famigliare, non si perde d’animo. Posa le buste sul pavimento, poi mi aiuta.
Una giornata ordinaria, come tante, nella sua vita indaffarata. Il cellulare che, intanto, non le smette di suonare, come se tutto il mondo, oltre me, avesse bisogno del suo insostituibile aiuto.
Fiera, indipendente, risoluta. Sempre capace di argomentare con seria e dettagliata meticolosità le sue opinioni. Sempre con l’ultima parola, che sia un consiglio, un rimprovero, un «Te l’avevo detto» bonario, senza infierire.
Una saggezza congenita, forse una vocazione intrinseca di madre, di donna. Quel “radar di pipistrello” che  Eugenio Montale attribuisce a Mosca, Drusilla Tanzi, sua moglie. La capacità di infilarsi negli interstizi dell’esistenza ed essere vigile, combattiva, pur nella grigia esistenza malridotta con cui il poeta, invece,  non riesce a fare i conti.
Si può leggere la sua storia nei movimenti lenti, ma pur sempre decisi, del suo procedere lento. Quasi si librasse nell’aria, quasi come se quella dimestichezza con la realtà le provenisse da qualche corrente eterea, ultraterrena.
La sua spontaneità, le manifestazioni sempre celate d’affetto, una timida riluttanza nell’esibire l’amore di madre, che pur si percepisce, trasversalmente.
L’entusiasmo nei confronti delle piccole cose, come un progetto scolastico o un complimento ricevuto.
Le contraddizioni, la fragilità di madre ma pur sempre prima donna, figlia a sua volta, e moglie, felice e poi infelicissima, d’improvviso sola. Completamente. E poi ancora in piedi, senza lasciar trascorrere un minuto di più, travestendo i suoi affanni di sorrisi e cure, per evitare che un suo eventuale mesto abbandono, possa attanagliare i suoi figli.
Corrente, fiume in piena, in grado di arginare il vuoto, i tormenti e le sventure della vita, lenendo il vuoto lasciato da un’assenza intempestiva, precoce, di un marito amato, di un padre sofferto, assumendo il ruolo di madre/padre, una fusione indistinguibile, un ruolo che mai si sarebbe aspettata di rivestire ma eppure, ancora una volta, che sa benissimo ricoprire.
«Nelle sue funzioni di arbitro ell’era diventata remota ed infallibile come una dea. Si rendeva conto che se vacillava lei, la famiglia tremava; se lei tentennava o disperava, la famiglia crollava».
Si legge nella bellissima prosa del romanzo Furore che John Steinbeck dedica ad un’epopea familiare, quella dei Joad, costretti ad abbandonare la loro terra per cercare fortuna al sole della California.
«Gli occhi marroni sembravano aver sperimentato tutte le tragedie, scalando a grado a grado il dolore fino alla vetta, per spaziare nelle supreme sfere d’una comprensione e d’una tranquillità sovraumane. Sembrava conoscere, accettare, gradire la sua posizione: era la cittadella di famiglia, la roccaforte inespugnabile … »
Il ruolo che sempre ha sempre avuto per me, donna, madre, dea.
Roccaforte inespugnabile.
Pur nella consapevolezza che, a prescindere dalla festività occasionale, sarebbe bene onorare la madre, sempre e costantemente, in questo giorno io le dedico il mio tributo. Con ogni buon augurio.

Francesca Mancini