Eleonora Pimentel de Fonseca

Perquisizione in casa di Eleonora Pimentel Fonseca, opera di Domenico BattagliaEleonora nacque a Roma il 13 gennaio 1752 al civico 22 di via Ripetta. Di famiglia nobile portoghese di origine spagnola, il padre era il marchese don Clemente Enriquez de Fonseca Pimentel Chaves trasferitosi nel 1750 nella capitale con sua moglie, la nobile portoghese e papalina donna Caterina Lopez de Leon.
Tra gli antenati illustri della famiglia, un vicerè di Napoli, un consigliere di Carlo v di Spagna, un connestabile di Castiglia.
Nel 1760, su consiglio del console portoghese a Roma, i de Fonseca per prudenza ripararono a Napoli in seguito all’espulsione dei Gesuiti dal regno del Portogallo e si temevano ritorsioni contro le persone di quella nazionalità.
Nella capitale del Regno delle Due Sicilie la famiglia andò ad abitare a Santa Teresella agli Spagnoli, nei Quartieri, al piano nobile del palazzo del principe di  Lusignano.
A Napoli l’educazione di Eleonora cominciò con l’approfondimento della sua istruzione; studiò tra l’altro i testi di Gaetano Filangieri; scriveva poesie arcadiche, e il 12 maggio 1768, a 16 anni, venne ricevuta a corte in occasione del matrimonio di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Asburgo accompagnata dello zio abate Dedicò ai reali sposini l’epitalamio Il tempio della gloria.
Poco dopo fu introdotta nel salotto letterario dei nobili magistrati Vargas  Machucca e quindi all’Accademia dei Filateti, ove conobbe l’abate senese Giaccheri e la dama veneziana Caterina Dolfin Tron, cui la giovane poetessa dedicò una cantata in versi. Allo Spirito Santo nei salotti nobiliari dei principi Carafa d’Andria e del duca Carlo Carafa di Maddaloni declamava poesie arcadiche, versi di Metastasio, suonava il clavicembalo e l’arpa e cantava arie musicali di Cimarosa, Paisiello e Pergolesi.
Eleonora si fece notare per la sua perfetta conoscenza del latino e una buona conoscenza del greco; verseggiava in italiano nello stile arcadico caro a Metastasio ed era una seguace della idee di Giovambattista Vico, Gaetano Filangieri e Pietro Giannone.
Eleonora incontrò l’abate Ferdinando Galiani, famoso economista già ambasciatore a Napoli, che gli presentò Antonio Genovesi, fondatore della cattedra universitaria di Economia; poco dopo venne introdotta nell’Accademia poetica dell’Arcadia.
Con De Filippis e Caravelli si appassionò alle scienze matematiche, con il geologo Delfico alla minerologia, con Spallanzani alla scienza medica; infine il Falaguerra le insegnò astronomia e chimica.
Frequentò anche il salotto letterario e scientifico del principe Francesco d’Aquino, che le presentò il principe Vincenzo de Sangro, tramite il quale conobbe l’ingegnere Felice Piccinini, che a sua volta la fece ricevere a Palazzo da Raimondo de Sangro, che le mostrò i suoi esperimenti di alchimia e la cappella di famiglia.
Oltre ai suoi studi scientifici e letterari, Eleonora non disdegnava di dilettarsi con il teatro, la scultura e la pittura; oltre che alla musica e al canto, era interessata all’archeologia, e visitò gli scavi di Ercolano, Pompei e Paestum. Con la guida di Domenico Cirillo si recò poi all’Orto Reale botanico di Napoli, alle regge di Carditello, di Capodimonte, di Portici.
Conobbe il granduca di Toscana Leopoldo d’Asburgo e suo fratello l’imperatore d’Austria Giuseppe – entrambi valenti filosofi, storici, alchimisti, letterati e massoni -quando vennero a Napoli in visita alla sorella Maria Carolina. Nel salotto letterario Palazzo dello Spagnolo ai Vergini, di proprietà del colonnello Carafa d’Andria, la Pimentel ebbe la fortuna di ascoltare le escuzioni del bambino prodigio Mozart.
Nell’Arcadia Eleonora come poetessa prese il nome di Epolnifenora Olcesamante, anagramma dei suoi nomi; iniziò un ricco epistolario con studiosi di tutta Europa, tra i quali il conte Gian Gastone Rezzonico della Torre, poeta arcadico di corte del duca di Parma don Ferdinando di Borbone-Parma, ed entrò in contatto con Swidenborg, con i filosofi martinisti ed eletti cohen della rosacroce francese Martinez e Claude de Saint Martin. Rimase affascinata dal Santo Graal, dalla leggendaria lancia di Longino, dai terapeuti.
Eleonora tenne una corrispondenza con il filosofo rosacruciano e kabalista Domenico Carburi da Padova; nel 1770, a soli 18 anni, si fece massone, presentata dall’abate Jerocades nella loggia inglese del colonnello Antonio d’Aquino col nome di Altidora Esperetusa. Continuava nello stesso tempo a scrivere poesie per la corte; ne dedicò una al matrimonio di donna Maddalena Serra di Cassano con il conte di Policastro e una ai principini di casa Borbone. Con il permesso della regina, per la quale compose moltissimi versi, nel 1769 partecipò alle esequie di Antonio Genovesi e nel 1771 a quelle di Raimondo de Sangro.
Intanto proseguiva l’approfondimento dei suoi studi di kabbala e alchimia, teurgia, chimica e fisica naturale, collezionando libri e manoscritti; s’interessò al pensiero di Della Porta, di Campanella, del Panormita e di Giordano Bruno.
Plaudì sempre alla politica contro i Gesuiti degli illuminati sovrani Borbone, culminata poi nell’editto di totale espulsione dal regno del 1769; da Carlo III in poi era stato abolito il Tribunale della Nunziatura, l’omaggio al papa della Chinea, il diritto d’asilo, l inquisizione e la manomorta ecclesiastica, era stata concesso la cittadinanza agli ebrei, vennero date  terre  ai contadini poveri, fu istituito il matrimonio civile, abolita la censura sulla stampa e sulla posta da parte dei vescovi.
Nel 1775 alla Reggia di Caserta la giovane erudita ricevette il serto di lauro da re Ferdinando IV per la sua poesia scritta per la nascita del piccolo Carlo di Borbone e la  per la conquistata libertà delle colonie inglesi del Nord America.
Eleonora
Eleonora Pimentel de Fonseca era di statura media; aveva un viso olivastro piuttosto marcato, il corpo un po’ tozzo e grosso, capelli e luminosissimi occhi neri, un bel sorriso, seno prosperoso. La sua voce era aggraziata e simpatica, aveva grandi doti di intelligenza e cultura, ma non era una bella donna. In compenso era dotata di eloquenza, memoria e intuizione incredibili.
In un freddo giorno del febbraio del 1778, a 26 anni, Eleonora sposò Pasquale Tria Solis, tenente del reggimento di fanteria di linea Sannio, nella chiesa di Sant’Anna a Palazzo; la coppia andò ad abitare a via Pignasecca.
Pasquale Tria, di piccola nobiltà, era un uomo grosso e grasso, più anziano di lei e con scarsissima cultura; si rivelò subito esclusivamente attratto dalla dote della moglie: 1000 ducati napoletani in contanti e tremila in titoli, più trecento ducati per acquisto di immobili e l’eredità di 100 mila in denaro portoghese ricevuta l’anno innanzi dopo la morte di sua madre. Il patrimonio della sposa era appetibile, dunque, e ricco era anche il corredo nuziale, specialmente se si raffrontano i miseri 50 ducati mensili destinati dallo sposo all’acquisto di lacci e spille per la sposa.
 
Il matrimonio presto diventò un tormento per Eleonora: Pasquale era goffo, pesante e si lavava poco; con la sua mole la schiacciava sotto di sé, senza alcun romanticismo. Era brutale e volgare, prosaico, instabile, iracondo: difficilmente Eleonora poteva unirsi ad una persona più lontana da lei e dai suoi ideali.
Tria si stancò subito della moglie, lasciandola quasi sempre sola. Anzi, già dopo il primo mese di matrimonio aveva un’amante, la modista abruzzese Angela Veronica, molto bella e procace.
Anche quando rimase incinta, Eleonora dovette subire gli abusi del marito: venne picchiata anche all’ottavo mese di gravidanza
Il piccolo Francesco nacque il 31 ottobre 1779 e fu battezzato nella chiesa di San Liborio; unico raggio di sole nella feroce disillusione di Eleonora, il bimbo morì durante un’epidemia il 25 giugno 1779 a Sant’Anna a Palazzo.
Dopo la morte di Francesco, Pasquale Tria portò l’amante in casa; costringeva con violente sevizie Eleonora a stare a letto con loro e Carolina, figlia che l’amante aveva avuto da una precedente unione.
La sfortunata Eleonora rimase di nuovo incinta; continuò ad essere picchiata e nel 1782  il brutale Tria tentò addirittura di scaraventarla giù dal balcone, tanto che per lo spavento abortì spontaneamente  pochi giorni dopo.
Pasquale Tria dissipava enormi quantità di denaro al gioco e per i suoi vizi; sempre a caccia di soldi, lui che non aveva mai letto un libro, distrusse e bruciò molti volumi della biblioteca della moglie e ne vendette una parte ai rigattieri. In difficoltà economiche, cambiarono dunque casa per una più modesta nel vicolo di Cristo Re e poi di Sant’ Anna a Palazzo.
Il padre di Eleonora, addolorato per l’orribile vita della figlia, presentò al Tribunale l’istanza di annullamento per gravi motivi del matrimonio civile e alla Sacra Rota per quello religioso. Infine il de Fonseca potè riprendersi in casa la figliola; il processo per calunnie che il marito aveva intentato al Tribunale militare di Capua contro di lei venne archiviato a suon di denaro il 26 giugno 1785.
Nel 1791 arrivò a Napoli la flotta repubblicana francese di Latouche – Tréville per imporre al Regno delle due Sicilie di riconoscere la Repubblica francese; Eleonora, donna libera in una società dove imperavano le convenzioni, vide nell’evento l’occasione per concretizzare i propri ideali: andò a bordo dell’ammiraglia con una delegazione di giovani nobili e massoni.
Qui cominciarono i suoi dissapori con i Borbone, in particolare con Maria Carolina: Eleonora era stata nominata su raccomandazione della regina bibliotecaria di corte e riceveva un forte appannaggio mensile; quindi aveva un suo ruolo di prestigio, anche se alla famiglia, malgrado le diverse istanze presentate dal padre e dallo zio, non era mai stata riconosciuta la patente di nobiltà.
Nel 1793 venne arrestata come sospetta giacobina dalla polizia borbonica e rinchiusa nelle segrete del Maschio Angioino nel settore del Panaro, destinato ai prigionieri politici; venne rilasciata per insufficienza di prove. Tenuta costantemente sotto controllo dalla polizia.venne nuovamente arrestata nel 1798 come complice dei giacobini.
Liberata il 22 dicembre nei giorni della confusione seguita alla partenza dei re per la Sicilia, partecipò con un pugno di massoni giacobini alla presa di Castel Nuovo il 18 gennaio 1799, da dove sparò sui popolani fedeli ai Borbone durante l’attacco francese del generale Championnet; giurò quindi fedeltà alla Costituzione repubblicana napoletana. Fu presente quando fu piantato l’Albero della libertà il 25 gennaio e venne nominata direttore del giornale Il Monitore.
Il giornale costava 6 carlini a trimestre ed aveva una tiratura di 400 copie; usciva il martedì e il sabato vendendone però con difficoltà solo un centinaio: il popolo non sapeva leggere, né poteva capire gli ideali di questi giovani  rivoluzionari, che non l’avevano mai reso partecipe.
Eleonora sulle pagine del suo giornale del La Repubblica Napolitana, poi Il Monitore napoletano dal 26 febbraio 1799 annotò notizie, riforme, leggi, istituzioni, provvedimenti repubblicani, infarcendolo però con falsi annunci di vittorie francesi o repubblicane sui sandefisti del cardinale Ruffo.
Ruffo, a capo dell’esercito, sbarcato in una Calabria non trovò nessuno ad aspettarlo e continuò praticamente indisturbato la marcia verso Napoli; invece il giornale riportava che i suoi  scherani erano stati accerchiati da 350 uomini delle truppe avverse in una terra ostile e diffidente. Un’altra ancora comunicava che il cardinale  era stato sconfitto ad Altamura, a Cosenza, a Potenza.
L’ultimo numero di Il Monitore napolitano venne redatto in casa di Eleonora e stampato il sabato dell’8 giugno 1799 alla tipografia Giacchi di via Toledo.
Tirava aria di guerra civile: Eleonora dal 13 si chiuse in casa. Il popolo napoletano si diede al saccheggio; nelle periferie si cominciava a combattere. Vi furono battaglie tra giacobini e sanfedisti a Nola, Marigliano, Ercolano e Portici; gli scontri si allargarono poi a San Giorgio a Cremano, Barra, Ponticelli, fino al ponte della Maddalena e al forte del Carmine. Il 15 si combattè a piazza Mercato, al largo del Castello e sotto Palazzo reale.
Siglata una tregua con il cardinale Ruffo, il 21 giugno i giacobini s’imbarcarono su navi in partenza per Parigi; tra i 500 profughi napoletani c’era anche donna Eleonora, che fino all’ultimo aveva resistito da Castel Sant’Elmo. I fuggitivi aspettavano il permesso di salpare, ma il giorno dopo l’ammiraglio inglese Nelson li fece arrestare tutti in nome del re.
 
Eleonora, una donna moderna nata troppo presto, venne rinchiusa nelle carceri della Vicaria a Palazzo Capuano. Qui le si volle far pagare non solo il fatto di essere giacobina ma soprattutto di essere donna: i giudici ordinano un’umiliante perquisizione corporale; le venne requisita persino la biancheria intima.
Giudicata colpevole,venne condannata alla pena capitale, che attese nel Castello del Carmine fino al giorno fissato, il 20 agosto 1799.
Condotta al supplizio per ultima, fu costretta ad assistere alla decapitazione dei suoi compagni repubblicani a piazza Mercato.
Non le venne riconosciuto il suo lignaggio nobile: sarebbe toccato anche a lei essere decapitata, e invece fu destinata all’impiccagione, quasi fosse una delinquente comune. Arrivò al patibolo tra sputi e ingiurie  della folla inferocita che non l’aveva mai compresa.
Forse qualcuno – ci piace pensare che non sia solo leggenda ma una pietà tardiva per questa donna formidabile – le diede una forcina per capelli per fermare le gonne, in modo che l’oltraggio non continuasse oltre la morte, che potesse conservare almeno la sua dignità dopo che il boia portò a termine il suo lavoro.
Piazza Mercato
(Foto di copertina: Perquisizione in casa di Eleonora Pimentel Fonseca, opera di Domenico Battaglia)

Michele Di Iorio