Pilone, il sergente borbonico Antonio Cozzolino: la vera storia – III Parte


A questo punto facciamo un piccolo riassunto: abbiamo visto come Antonio Cozzolino detto Pilone, militare regolare dell’esercito del Regno delle Due Sicilie, in servizio continuativo da prima del 1860, decorato con la Medaglia d’Oro di San Giorgio, promosso a II sergente per il valore dimostrato nella battaglia di Calatafimi contro gli invasori e avventurieri garibaldini il 15 maggio1860, veterano di Palermo, Milazzo, Nocera, Volturno.
Non era un volgare bandito come affermavano i piemontesi ma un militare fedele e coerente che non abiurò ma il giuramento fatto al re di difendere la sua terra, il Regno delle Due Sicilie.
È quello che da bravo soldato fece: contrastò in ogni modo l’invasione di guerriglieri civili armati, stranieri in Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Abruzzo e Molise.
Quando il governo sabaudo dichiarò l’unità d’Italia, Pilone alimentò rivolte separatiste e guerra civile. Non era neanche un fanatico borbonico, come sostenne qualcuno, ma soltanto un uomo leale che scelse di lottare per i suoi ideali.
Li chiamarono briganti, Pilone e gli altri coraggiosi soldati come lui, ma non lo furono mai. Ed è giunto il momento di fare giustizia e restituire la dignità della memoria a questi valorosi che furono i protagonisti di una Resistenza durata un decennio.
La cosiddetta banda di Pilone era un plotone militare composto da partigiani che arrivò a contare fino a 51 effettivi che intraprendeva azioni militari adottando la tattica della guerriglia.
Ebbe contatti con i comitati borbonici che sorgevano spontaneamente su tutto il territorio, cercando di effettuare azioni in concomitanza di quelle di altri gruppi di partigiani.
L’intelligenza tattica di Pilone era indiscussa: a fine luglio 1861venne nominato dall’emissario borbonico Bishop comandante delle truppe in guerriglia nella provincia di Napoli in nome di re Francesco II in esilio nella Città pontificia.
Chiaramente l’efficacia delle sue azioni non potevano non richiamare l’attenzione della Questura di Napoli, diretta al tempo da Silvio Spaventa.
Iniziarono una serie di arresti di fiancheggiatori o presunti tali: il 24 luglio a Palazzo Frisio di Posillipo furono arrestati monsignor Bonaventura Cenatiempo, dispensiere apostolico, e 5 suoi “complici”.
La notte seguente toccò al principe di Montemiletto, quale consigliere del comitato borbonico di Portici, con i suoi “complici”: il generale Emilio de Cristen,il generale Girolamo Tortora Braida, Ettore Noli, il colonnello Pagano, il barone Francesco de Angelis, Meneghini, Cornelio Roeber, Santa Berretta, il duca di Caianiello. il marchese Domenico De Luca e il barone Achille Luigi Caracciolo di San Vito.
Quest’ultimo già capitano dell’VIII battaglione Cacciatori, aveva preso parte in Calabria ad uno scontro con i soldati italiani al seguito del generale spagnolo Josè Borjes, inviato ufficiosamente dal “consanguineo” trono di Spagna per dare man forte alla guerriglia, ed era stato superiore e amico di Pilone; gli altri erano tutti consiglieri del comitato borbonico che si riuniva in modo riservato nel Caffe Nocera di Napoli o in un ristorante, luoghi che non davano nell’occhio così da potersi riunire anche di giorno.
Il capo, Ricciardi conte di Camaldoli, sfuggi alla cattura.
il 31 luglio 1861 la polizia italiana di Napoli espulse il cardinale Riario Sforza perché colpevole di amicizia con il comitato borbonico; perquisì la villa di ritiro dei Ricciardi a contrada Leopardi in Torre del Greco e la casa del presidente del comitato, il conte di Camaldoli, che si nascose però nel Castello Medici di Ottaiano, salvandosi insieme al barone Carbonelli.
Proprio nel Castello la notte del 31 dicembre 1861incontrarono in gran segreto Pilone.
Nel frattempo quello che restava del comitato borbonico di Napoli faceva scoppiare più volte bombe carta nei vicoli e strade e anche davanti al Teatro di San Carlo; dai ponti della Città, tra cui quello di Chiaia, gettava manifestini borbonici di propaganda e inscenava manifestazioni e tumulti popolari inneggiando al ritorno di re Francesco II sul trono.
A Napoli tra giugno 1861 e marzo 1862 la polizia arrestò tre emissari borbonici venuti da Roma, la principessa Sciarra, il signor Quattromani e il signor Bishop. Confiscarono le carte in codice che portavano con loro; i documenti, una volta decifrati rivelarono fatti importanti, come i vari rapporti e la topografia dei luoghi delle bande in Campania, compreso quella di Pilone.
il 19 luglio 1862 la banda di Pilone sequestrò in periferia di San Pietro a Patierno l’ingegner Felice Abate, delegato del municipio di Napoli, mentre faceva i sopralluoghi per individuare come sfruttare al meglio la portata dell’acquedotto romano Claudio per la Città.
il 28 luglio 1862 la polizia diretta dal nuovo questore Nicola Amore, con un’operazione congiunta di ufficiali e di due poliziotti infiltrati nella banda Pilone, catturò due “briganti” travestiti da domestici che avevano rubato un cavallo nel palazzo del principe di Francavilla al Chiatamone; il piano prevedeva anche il sequestro del nobiluomo, scrittore francese filogaribaldino e direttore del giornale napoletano L’indipendente.
I poliziotti rinvennero anche una lista di 22 nomi di liberali borghesi da sequestrare o pugnalare in Napoli e provincia; tra questi c’era anche l’avvocato Giustiniano Lebano.
il 25 dicembre 1862, la banda Pilone armata con i fucili sottratti alla guardia nazionale attaccò a Terzigno un convoglio ferroviario per svaligiarlo, ma arrivarono le guardie nazionali locali, carabinieri e una compagnia di bersaglieri, oltre mentre altri uomini di un battaglione mobile arrivarono in treno.
Nello scontro due uomini del guerrigliero rimasero uccisi e 15 catturati; Pilone sfuggì con 26 uomini andandosi a nascondere nei crepacci del Vesuvio; nella fuga purtroppo perse il suo cappello bianco, la bandiera borbonica e un grande striscione che riportava la scritta Viva Francesco II e Maria Sofia.
Il patriota Pilone non si perse d’animo e contattò il comitato borbonico; fece nuovi arruolamenti nel vesuviano: la banda da 26 componenti rimasti risalì a 40 effettivi ai primi del 1863.
il 13 gennaio venne catturato in Napoli il nobile de Sangro duca di Casacalenda, che due notti prima aveva incontrato Pilone nella sua casa di Villa Campolieto ad Ercolano.
IL 30 gennaio la banda di Pilone fermò in pieno giorno in piazza Annunziata a  Boscotrecase la carrozza privata del marchese Avitabile, direttore del banco napoletano di San Giacomo, mentre andava a caccia con un colono nel suo fondo agrario in località Trecase.
Sequestrato il marchese, s’impadronì dei beni, della carrozza e dei cavalli e del fucile da caccia, lasciando libero il colono, che ebbe il compito di consegnare alla famiglia del marchese la richiesta di un riscatto di 20 mila ducati entro due giorni, pena l’uccisione del prigioniero.
Il colono tornò invece con 10 mila ducati – gli altri li aveva nascosti in casa sua – ma Pilone si accontentò comunque dei 10 mila; liberò quindi l’Avitabile tra i crepacci della Valle dell’Inferno quasi in cima al Vesuvio e gli restituì carrozza e fucile, non prima di avergli spiegato che non erano banditi ma soldati e ufficiali borbonici devoti a re Francesco II; mostrò anche un decreto del re del 1861che lo nominava Cavaliere di San Giorgio e della Riunione, ordine cavalleresco borbonico, e un secondo attestato sempre del 1861 che lo nominava colonnello e comandante d’avanguardia militare dell’armata d’occupazione della provincia di Napoli di Francesco II di Borbone Due Sicilie.
Il tiro delle azioni di guerriglia di Antonio Cozzolino detto Pilone si spostava decisamente sempre più in alto: il principe ereditario Umberto I di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele II venne in visita a Napoli nel 1864 e 1865.
Pilone tentò prima  sequestrarlo nel territorio vesuviano che gli era più familiare, ma non riuscendovi la mattina del 4 febbraio 1865 fermò con un’imboscata la scorta reale e la carrozza del principe sulla strada nazionale Napoli-Caserta in località San Nicola la Strada,verso San Leucio.
A cavallo e ben armati, la banda svaligiò il veicolo impossessandosi dei cavalli e delle armi da caccia,impreziosite da intarsi e con lo stemma sabaudo impresso sul calcio; poi  ritornarono tranquillamente sul Vesuvio nonostante l’allarme generale dei battaglioni dei soldati, carabinieri, bersaglieri, guardie nazionali di Caserta in tutta la zona.
La truppa italiana non riuscì però a trovare la banda; avvisata da due informatori la sorprese mentre tentava di svaligiare un treno a Terzigno, dopo aver assaltato il posto di guardia locale e aver disarmato i militi.
Inseguiti fino a dentro il paese, venne anche ferito il fratello di Pilone e quindi catturato insieme con sette compagni.
Vennero pure arrestati i fedeli fiancheggiatori di Pilone, l’oste Luigi Buono, suo zio Ferdinando Cozzolino Martorelli, il taverniere Gennaro Lettieri, il merciaio ambulante Gennaro Alderisio e il sarto Vincenzo Vangone, praticamente tutti i collegamenti con i comitati borbonici di Portici e di Napoli.
Continuando nella massiccia caccia all’uomo, nel 1865 le truppe italiane sorpresero più volte Pilone e i suoi uomini in situazioni in cui si nascondeva, come quando si era riparato nella stalla del cognato a Boscoreale, o nei conflitti a fuoco, in un uno dei quali il nostro valoroso soldato rimase leggermente ferito e tre “brigant” renitenti alla leva catturati.
Pilone però riusciva sempre a fuggire.
Per adesso ci fermiamo qui, riservandoci di raccontare la fine dell’epopea di Antonio Cozzolino nella IV e ultima parte.

(Foto: web)

Michele Di Iorio

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