Pilone, il sergente borbonico Antonio Cozzolino: la vera storia


Purtroppo la storia viene sempre scritta dai vincitori di guerre, golpe e scontri elettorali e in Italia l’unità nazionale è stata fatta con ipocrisie, bugie, tradimenti e calunnie nei confronti della popolazione meridionale del neonato stato e dell’esercito borbonico delle Due Sicilie.
Tra il 1860 e il 186, con soprusi e connivenze inimmaginabili venne incamerato il denaro pubblico del Banco di Napoli, furono smantellate le industrie del sud favorendo l’arrivo di industriali del nord , colpendo l’intero territorio come una colonia da sfruttare.
Il mezzogiorno d’Italia tra scuole chiuse per un decennio, tasse, imposte, balzelli di una straordinaria avidità fiscale, tra censura militare, stato d’assedio, corte marziale, coprifuoco, coscrizione e leva militare obbligatoria con destinazione di interi reggimenti al nord, venne deliberatamente distrutto.
Intanto bersaglieri e soldati di linea piemontesi mettevano a ferro e fuoco il sud, incendiando paesi interi, con fucilazioni di guerriglieri, ovvero i soldati borbonici, benché arresisi con la bandiera bianca, ma anche della popolazione inerme,crocifissioni e decapitazioni di prigionieri, stupri su molte donne e bambine, episodi orrendi avvenuti a Palermo, Bronte, Casalduni, Pontelandolfo, tanto per citarne alcuni.
L’esercito borbonico napoletano nell’aprile del 1860 era ben equipaggiato di artiglieria varia, aveva a disposizione un ufficio topografico e tipografico, il genio militare, commissariati, servizi ospedalieri e telegrafici; contava 80mila soldati, oltre ai militari di polizia, doganieri, pompieri, e Regia Marina, accademie come la Nunziatella – che solo dopo l’unità divenne scuola militare.
Molti generali troppo anziani erano ancor in servizio; a maggio1860 lo Stato Maggiore borbonico davanti al pericolo della rivoluzione siciliana mossa dallo sbarco dei mille di Garibaldi, agevolato dalla massoneria isolana e dalla setta della Giovane Italia, dalla mafia e dai servizi segreti piemontesi e inglesi, richiamò in servizio ben 53mila congedati della riserva, delle classi anteriori al 1857, arrivando a un totale di 133.000 militari in armi di cui 25mila in Sicilia, 18mila in Calabria, 4mila in Puglia,12mila in Abruzzo e Molise.
Garibaldi in Sicilia trovò aiuto anche da parte di generali borbonici e di 10 ufficiali inferiori corrotti, tanto che riuscì a prendere l’isola in soli due mesi di guerra, in cui le truppe borboniche cercarono di rovesciare bellicamente la situazione con fedeltà e ardore verso la dinastia borbonica.
Purtroppo ordini e contrordini dei generali imbelli, anziani e traditori e di 11 ufficiali superiori, fecero sì che Garibaldi trovasse sguarnita la costa siciliana tra Trapani e Marsala; solo pochi reparti in realtà lo contrastarono, mentre assurde direttive facevano ripiegare intere brigate prima su Palermo e poi su Napoli.
Cosi fino al 15 febbraio 1861 a Milazzo e a Messina 8000 militari borbonici furono fatti prigionieri dai garibaldini, cosi 10mila in Calabria, altri 2150 sul fiume Volturno e 10mila a Gaeta.
30mila soldati borbonici riuscirono a sfuggire alla cattura sconfinando nel Lazio e in parte vennero internati dalle autorità pontificie.
Altri 5000 vennero catturati in Molise,11mila a Capua, e 351 in Abruzzo; i piemontesi li fucilarono subito ad Avezzano.
I soldati fatti prigionieri in Sicilia dal 9 novembre al 30 dicembre furono trasferiti a Genova; 2150 vennero dirottati al lager piemontese di Fenestrelle presso Torino il 9 novembre; 6mila a dicembre, mentre altri 8mila furono trasferiti via mare all’altro lager di San Maurizio di Alessandria in Piemonte.
Altri 6mila furono raccolti nelle carceri di Milano, altri 4mila tra Genova e Torino, per un totale di 24mila prigionieri di guerra meridionali trattenuti nel nord Italia solo tra il 9 novembre 1860 e dicembre 1861.
Nel 1862 i prigionieri del sud deportati a nord erano saliti a 32mila; 2300 erano ufficiali dell’esercito borbonico.
Tutti indistintamente venivano trattati come briganti, spesso fucilati; anche i garibaldini nativi del sud ricevevano lo stesso trattamento: le truppe di Garibaldi, sciolte dai piemontesi il 21 novembre 1860, furono incorporate nel nuovo esercito unitario, ma questo valeva soprattutto per i nativi del nord e del centro Italia: erano pochissimi quelli meridionali.
Nel 1863 i soldati borbonici deportati furono 50mila più 2300 ufficiali.
8mila soldati borbonici si salvarono perché furono o espulsi dall’Italia o deportati negli Stati Uniti per combattere per i sudisti nella guerra civile contro i nordisti.
Nel gennaio del 1861 i militari prigionieri più anziati o malati da Genova furono rinviati al sud: erano liberi ma sorvegliati dai carabinieri e guardie nazionali.
Erano solo 2300; tutti gli altri soldati che si erano costituiti in virtù dell’amnistia generale per i militari borbonici del re Vittorio Emanuele II furono fucilati subito o dopo pochi giorni con la scusa che stavano fuggendo.
Qualche cifra? Tra il 1860 e il1865 263mila meridionali, di cui 80mila ex militari borbonici, furono uccisi in scontri a fuoco con le truppe italiane o fucilati, decapitati o crocefissi in strada ai pali del telegrafo, 200 mila arrestati e 20 mila condannati all’ergastolo! Inoltre decine di cittadine e villaggi furono rase al suolo o bruciate per rappresaglia dalle truppe piemontesi.
L’esercito unitario schierò nel 1861 40mila soldati che divennero 60mila nel 1862 e 120mila nel 1863, 136 mila nel 1865, più quarantamila guardie nazionali locali in armi dal 1860 al 1879.
Iniziò cosi una vera e propria guerra civile tra nord e sud e la cosiddetta questione meridionale mai risolta: un sud arretrato, ignorante e inferiore e un nord dove regnavano il progresso, la cultura ed una superiorità indiscussa. Ma la questione fu creata ad arte dalla storia scritta dai vincitori; cominciò così l’odio razziale del nord contro il sud,terra di conquista.
Basti pensare a quello che successe a Fenestrelle, un atrocissimo forte tra le Alpi adibito a carcere militare dove i prigionieri venivano cremati in calce viva da morti o da vivi.
Tra il1861 e il 1864 degli 8mila prigionieri borbonici sopravvissero soltanto 260 persone.
Dopo aver descritto questi atroce realtà, che oggi sarebbe stata definita pulizia etnica, passiamo ad esaminare la vita di un meridionale vissuto a quei tempi, uno di noi, e ridiamo obiettività alla storia: Antonio Cozzolino da Boscotrecase in provincia di Napoli, detto Pilone, definito brigante dal regio governo italiano e ucciso a tradimento in Napoli nel 1870.
Pilone nacque all’ospedale civile di Torre Annunziata il 21 gennaio 1824, da umili genitori, in una famiglia molto numerosa; Antonio già a undici anni seguì il padre Luigi nel lavoro di scalpellino su per le montagne tifatine casertane, nelle cave di Mondragone e infine sulle montagne dell’area vesuviana.
Nel 1838 sempre con il padre lavorò alla messa in opera dei binari della tratta ferroviaria  Napoli-Portici, fino al 1842, quando la linea arrivò a Torre Annunziata; pochi mesi dopo a Castellamare di Stabia, nel 1843 a Nocera Inferiore e nel 1844 a Sarno.
Antonio Cozzolino, bel giovane bruno dai cappelli ricci, con barba e baffi, molto alto – ed ecco il sopranome Pilone: grande e peloso -, rientrò a Boscotrecase e si sposò con la bella Luigia Falanga di Boscoreale, figlia di Pasquale, detto Mezzorotolo; ebbe vari figli.
Riprese a fare lo scalpellino nelle cave del Vesuvio e dei monti vicini; dal carattere molto orgoglioso, spesso bisticciava con le guardie urbane del paese, tanto che nel 1845 finì per essere arrestato per porto abusivo di arma da fuoco.
Per sfuggire alla galera si arruolò volontario nel Regio esercito delle Due Sicilie; dal distretto militare di Castellamare di Stabia, alto di statura com’era, fu destinato subito al corpo dei Cacciatori di linea d’assalto a piedi, di stanza a Nocera, godendo del premio d’ingaggio di 6 ducati e della paga giornaliera di 5 grani di ducato napoletano; venne assegnato all’ottavo battaglione.
Terminata la leva di 8 anni come soldato semplice, nel 1853 si offri di fare da rimpiazzo ad una recluta di famiglia borghese che non voleva espletare il servizio militare, intascando 250 ducati di premio; rimase a Nocera nello stesso battaglione, al comando del maggiore Michele Sforza, nella seconda compagnia del capitano Luigi Caracciolo di San Vito.
Poi fu distaccato a Salerno nella caserma di Portanova, nel 3° plotone del tenente Giuseppe Palmieri.
Il suo battaglione da Salerno fu imbarcato per la Sicilia, ove nel1860 ruggivano i venti di guerra della rivoluzione isolana; l’ 8 marzo sbarcò a Messina e 4 giorni dopo raggiunse via mare Palermo acquartierandosi a Bagheria non lontano dalla bella Villa Palagoniae. Da lì il 13 aprile si spostò di guarnigione a Trapani e infine a Siracusa.
Antonio Cozzolino fu reimbarcato con tutto il battaglione per Trapani il 2 maggio, poiché si temeva lo sbarco di Garibaldi, per poi arrivare ad Alcamo il giorno 8, ponendo campo militare in attesa della brigata del generale Francesco Landi che proveniva da Palermo.
Combatterono quindi furiosamente contro i garibaldini a Calatafimi il 15 maggio; il nostro Pilone catturò la bandiera dei mille strappandola all’alfiere Menotti ferito da una sua fucilata.
Due giorni dopo assalì e incendiò una casa di Partinico da dove i ribelli siciliani sparavano sulle truppe regie; ancora, fece parte della retroguardia e il 20 maggio a Monreale si battè contro un avanguardia garibaldina e il giorno dopo contro ribelli siciliani a San Martino.
E cosi pure a Renne e a Parco, contro le retroguardie garibaldine sotto una torrenziale pioggia estiva.
A Corleone il maggiore comandante del battaglione Michele Sforza su presentazione del capitano Luigi Caracciolo, suo amico e protettore, gli assegnò la medaglia borbonica al Valor militare dei Cacciatori di San Giorgio nonché la promozione a secondo sergente dei Cacciatori, con paga di 25 grani al giorno ed encomio solenne scritto davanti la truppa.
L’1 1 giugno 1860 a Palermo Pilone combattè eroicamente, rimanendo estremamente deluso dalla richiesta di armistizio fatta ai garibaldini dal generale Lanza; il 6 giugno venne reimbarcato per Napoli, giungendovi il 18, dove ottenne una licenza premio di un mese.
Pilone tornò dunque a casa dalla moglie ma si scontrò subito con i borghesi di Boscoreale, in particolare col nuovo sindaco liberale e la Guardia, ormai non più borbonica.
Il 5 luglio e se ne tornò a Napoli, ove per poco non accoppò i liberali locali nei tumulti tra borbonici e non.
Antonio Cozzolino detto Pilone, sergente del Regio Esercito del Regno delle Due Sicilie, non accettò di giurare la Costituzione concessa in modo liberale da re Francesco II e volontariamente ritornò al fronte siciliano a combattere.
Arrivò a Milazzo il 19 luglio e prese parte agli scontri contri i garibaldini fino al 24.
Pilone, valoroso e fedele soldato, il 28 luglio urlò di rabbia quando seppe dell’ordine di ritiro generale dalla Sicilia.
Una rabbia, una grande frustrazione, ed ecco la ribellione: un patriota diventa guerrigliero.
Guerrigliero, non brigante, come fu bollato insieme a tanti altri valorosi dal governo del neonato Stato italiano.
Questa è la verità storica su Antonio Cozzolino detto Pilone e gli inizi di una Resistenza che durò ben 10 anni.
Il resto lo racconteremo alla prossima puntata.

Michele Di Iorio