Rosi e Tornatore al Teatro San Carlo

NAPOLI – Un guizzo di vivacità negli occhi scuri, lo sguardo fiero e deciso, il peso di novant’anni portati con estrema lucidità, accompagnano Francesco Rosi mentre attraversa la Sala del Teatro San Carlo,  per prendere posto in una sala, gremita di gente impaziente di ascoltarlo, dove lunedì 3 dicembre si è tenuto uno straordinario evento in occasione del  novantesimo compleanno del regista.
Tra i flash dei fotografi e le domande a raffica dei giornalisti, riesce a dire solo: «Sono molto emozionato. Oggi ho ricevuto anche una telefonata di auguri dal presidente Giorgio Napolitano».
Siede tra Luigi De Magistris e Raffaele La Capria, amico di sempre, mentre viene proiettato un videocolloquio con Giuseppe Tornatore, dal titolo “Il Cinematografo è una malattia”.
Attraverso quest’amichevole discussione, Rosi ripercorre la sua più grande passione, quella a cui ha dedicato tutta una vita, il cinema, che l’ha portato a dirigere capolavori come  “Salvatore Giuliano” e  “Le mani sulla città”.
Tornatore assume in questa videoconfessione il ruolo dell’intervistatore e cerca, attraverso alcune domande, di presentare la figura completa di Rosi, l’origine della sua passione per il cinema e della sua  trasformazione da fruitore ad autore di grandi capolavori.
È lo stesso Tornatore, nella videointervista, a chiarire: «Non ero interessato dal farmi raccontare la sua passione per la filmografia, ero interessato dal farmi raccontare come dalla passione per il cinema si fosse passati al “fare cinema”. Lui mi ha raccontato in profondità il suo amore per il cinema».
Rosi rievoca il periodo in cui lavorava come aiuto regista di Antonioni, Monicelli e Visconti e di come questi grandi maestri abbiano lasciato una traccia importante nella sua formazione cinematografica. Soprattutto Luchino Visconti: «Visconti mi ha insegnato tutto, tutto».
Al termine della proiezione, il palcoscenico è diventato teatro di un’intervista condotta da Virman Cusenza, direttore de “Il Mattino”, a Francesco Rosi, Giuseppe Tornatore e Raffale La Capria.
Si parla del libro “Io lo chiamo cinematografo”, edizioni Mondatori, scritto da Rosi insieme a Tornatore.
In questo libro Napoli ha un ruolo epicentrico, in quanto città natale di Rosi.
Una città in cui prova sempre, ogni volta che ritorna, emozione e dolore.
«Il dolore è una componente dell’emozione, io ritengo che sarebbe impossibile per me, avendo vissuto a Napoli tutta la mia infanzia e la mia prima giovinezza, ritornare in questa città senza provare una grande emozione che spesso si tramuta in dolore . È il dolore di vedere che la difficile realtà sociale di questa città non riesce ancora a trovare la sua sistemazione, nel lavoro, nella scuola».
Si parla naturalmente della sua passione per il cinema e di come nel suo modo di realizzare film abbia prevalso la formula del film – inchiesta, fedele alla realtà, condotto con scrupolo quasi giornalistico, sacrificando la componente spettacolare e aspetti poco inerenti alla sua ricerca della verità.
«Andando in giro da ragazzo per le strade di questa città con in mano una guida  come fossi un turista tedesco, mi sono talmente innamorato del passato di questa città, delle sue rovine e delle sue testimonianze storiche che alla fine ho capito che l’unica forma per poterla raccontare era quella dell’inchiesta, ma non un inchiesta rigorosa e professionale come quella che fanno i giornali, ma un’inchiesta che fosse anche un racconto di emozioni, di sentimenti, di vita».
Una domanda viene rivolta anche a Giuseppe Tornatore, autore di film come “Baaria” e “Grande Cinema Paradiso”.
Giuseppe Tornatore racconta di come il maestro abbia influenzato, sebbene non sempre direttamente, il suo cinema e di come nel cinema di Rosi a sua volta sia possibile trovare echi di cinema completamente diverso.
«Il cinema che si realizza riflette il cinema che abbiamo consumato. Lui (Rosi, ndr) nel libro racconta di avere amato tanti film che non sono necessariamente armonici con i film che lui ha fatto. Noi ci nutriamo di ogni tipo di film e l’amore con cui ci nutriamo ci porta a distillare un nostro modo di fare film».
A Raffaele La Capria, fino a quel momento silenzioso spettatore, viene chiesto di parlare dell’adolescenza di Rosi.
Esordisce col dire: «Francesco Rosi ed io siamo amici da ottant’anni, ne abbiamo novanta ci siamo conosciuti a dieci anni.  Dubito che in questa sala ci sia qualcuno che ha con un altro un amicizia così longeva», e suscita l’ilarità bonaria del pubblico.
Continua a raccontare della forte amicizia che lo lega al regista e anche delle loro esperienze di collaborazione. Parla anche del libro, che consiglia di leggere per l’eccezionalità di argomenti che vengono trattati e per come anche lui, che conosce così bene Francesco Rosi, abbia scoperto tra le pagine un Rosi nuovo che non conosceva.
Segue, poi, la premiazione alla quale intervengono il sindaco Luigi De Magistris e l’Assessore alla Cultura Antonella Di Nocera.
Il Sindaco De Magistris introduceil momento della consegna della pergamena e della medaglia d’oro a Francesco Rosi, con un breve discorso:
«A nome di tutta la città sono onorato di consegnare la pergamena e la medaglia d’oro al maestro Rosi. L’abbiamo fortemente voluto, il cinema da emozione la cosa ancora più bella è quando quell’emozione non rimane fine a se stessa ma si traduce in passione civile.
Quindi “Le mani sulla città” devono diventare le mani per la città. Ogni persona si forma su quello che ha letto, che ha visto in un cinematografo. Questa è la cultura e la cultura serve principalmente per essere donne ed uomini dignitosi. E soprattutto chi incontra la cultura nella vita non sarà mai conformista e non si omologherà mai al pensiero unico, da qualunque parte provenga».
Alla premiazione è seguita la proiezione del “Il caso Mattei”, vincitore del Grand Prix per il miglior film al Festival di Cannes del 1972, nella versione recentemente restaurata dalla Fondazione Cineteca di Bologna.
(Foto by Serena Maratea)

Francesca Mancini

 

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