Il Cimitero delle Fontanelle

CimiteroFontanelleNapoliIl cimitero pubblico delle Fontanelle alla Sanità adiacente all’omonima parrocchia in una zona ricca di sorgenti d’acqua – di qui il nome – occupa un area di 3000 m² e si sviluppa in profondità fino di 3000 m³. Originariamente era una enorme cava utilizzata dai greci cimmeri intorno al VIII sec a.C. In seguito divenne una necropoli greco-romana e successivamente paleocristiana.
Solo dal 1656 ospitò i circa 300mila morti per peste, i cui corpi venivano accatastati e compressi dai becchini specializzati, che perciò venivano detti schiattamuorte. Gli “operatori sanitari” dell’epoca utilizzavano questa macabra tecnica dal momento che le cripte delle chiese non riuscivano più a contenere le salme dato il gran numero di decessi, e di nascosto vi portavano i cadaveri a spalla di notte.
Nel 1828, gli scheletri furono sistemati nelle prime due gallerie dell’ipogeo dette una la biblioteca e l’altra il tribunale dopo che un’inondazione di acqua li aveva scoperti e trascinati all’aperto. Entro il 1834 ne furono sistemati ben 8mila.
Anni dopo in occasione della grande epidemia di colera del 1836 vi furono sistemati i colerosi deceduti, tra i quali la salma del poeta Giacomo Leopardi, che fu poi trasferita altrove a fine Ottocento. 40mila salme in tutto, anche se secondo i becchini vi erano 4 gallerie sotterranee non esplorate con circa 8 milioni di resti umani. Tra questi vi era anche una coppia di nobili sposi ancora vestiti, don Filippo Carafa conte di Cerreto e sua moglie.
Tra il 1852 e il 1853 vi furono sistemate le ossa rinvenute negli ipogei durante la sistemazione di via Toledo.
Fu grazie al sacerdote don Gaetano Barbati che nel marzo del 1872, con l’aiuto del cardinale Sisto Riario Sforza, i 40mila cadaveri delle Fontanelle vennero sistemati a spese del Comune di Napoli ordinando tibie, femori e crani scoperti esposti nelle gallerie, facendolo diventare cimitero aperto al pubblico.
Il popolo aveva grande devozione per le capuzzelle o teschi, il cosiddetto rifrisco, una sorta di elezione a nume tutelare dei miseri resti. In cambio chiedevano aiuto e protezione in modo individuale, e magari anche i numeri giusti per vincere al lotto. Alcuni crani venivano racchiusi a spese del devoto addirittura in bacheche tra fiori e merletti.
Molto venerata era ‘a capa che suda, il cranio di una donna morta secoli prima. Era famosa anche ‘a capa d’o capitano, che spaventò a morte due sposini di fine ‘800 che avevano oltraggiato la testa durante una visita al cimitero. Si diceva che fosse il cranio di un capitano della gendarmeria borbonica distintosi in Calabria tra il 1835 al 1846 finendo ucciso sull’Aspromonte in uno scontro a fuoco con la banda del brigante Giosafatte Talarico. Sembra si trattasse del capitano Galluppi i cui resti vennero ritrovati durante i lavori del 1852 alla vecchia Prefettura.
Nel 1934 vi furono sistemati gli scheletri rinvenuti sotto il Maschio Angioino durante i lavori della sistemazione di via Acton.
Il cimitero delle Fontanelle fu anche teatro di episodi storici: nel 1842 la polizia borbonica sorprese una riunione camorristica. L’ipogeo infatti era la sede annuale delle elezioni dei capibastone cittadini. E proprio qui si tenne il fatidico consesso dell’agosto 1860 con il ministro degli Interni borbonico Liborio Romano dove la camorra di Tore ‘e Criscienzo accettò di formare una guardia cittadina all’arrivo di Garibaldi.
Il cimitero servì anche da rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale e vi si nascose la popolazione durante le 4 Giornate di Napoli.
Nel 1969 il parroco della chiesa delle Fontanelle don Vincenzo Sgangamarra chiese consiglio al cardinale di Napoli Corrado Ursi per trovare un rimedio e combattere la devozione fanatica del popolo. Dal 29 luglio di quell’anno fu dunque proibito quel forsennato culto riservando l’apertura del cimitero solo al 2 novembre di ogni anno, quando si celebrava la Santa Messa per le anime del purgatorio.
Nel 2002 una delegazione di popolani del quartiere Sanità occupò pacificamente il cimitero delle Fontanelle chiedendo e ottenendo di farlo riaprire al culto giornaliero.

 Michele Di Iorio