La storia della pizza napoletana

pizzaLa pizza prese origine dal pane, che a sua volta risale al 240 a.C.: nacque dalle focacce etrusche e ancora prima dalla pita greca, da cui deriva il nome di questa buonissima specialità.
La piadina romagnola di oggi, il pane degli antichi romani, ebbero come precursori i panini dei persiani e catalani, per non dimenticare il pane sardo del 3000 a. C. e i similari indiani e le focacce egizie.
Nell’anno 997 a Gaeta si parlava in latino volgare e a focaccia con salsa bianca era denominata pitta.
Diffusa anche in Abruzzo e Molise, Campania, come focaccia pizza, la si trova in un contratto di locazione a un panettiere a Sulmona in data 31 gennai 1231, in cui si autorizza la produzione e vendita al pubblico di pane, farina e pizze.
Fino al 1500 la parola pizza indicava un pane focaccia schiacciato di farina e lievito, con salsa bianca. Un secolo dopo si aggiunsero vari elementi come olive, capperi, prezzemolo, acciughe, vongole, pesce, cozze, formaggio pecorino.
La focaccia detta Mastunicola diede origine alla vera pizza napoletana del settecento, gradita a spagnoli e napoletani come piatto unico a pranzo o a cena, venduta da panettieri e pizzaioli spesso ambulanti o nelle tante locande e taverne dal 1644.
Dal 1750 i pizzaioli di Napoli crearono la pizza napoletana, unendo alla pasta di farina, lievito e formaggio, olive nere e acciughe, la pizza marinara con pesce o vongole con salsa di pomodoro di qualità San Marzano.
Dal porto al centro di Napoli le pizzerie si moltiplicarono tra vicoli e piazze, tanto che le pizze si vendevano minimo tre al prezzo di un tornese, il soldino di rame.
La vita costava poco a Napoli. Gli stipendi al tempo dei Borbone erano buoni: un impiegato civile guadagnava mensilmente da 5 a 7 ducati al mese e un sottotenente 22 ducati, un capitano 45 e un colonnello d’esercito ben 80 ducati mensili, un soldato di linea 5 grani al giorno e un sergente 9 grani al giorno …
La pizza era il punto d’incontro di affari, di amicizie, di amori ed era l’alimento dei poveri.
La regina Maria Carolina d’Asburgo la vietò a corte ritenendola cibo plebeo, ma suo marito Ferdinando IV ne era ghiottissimo e la mangiava per strada tutti i giorni così come i maccheroni, con le mani, tra gli applausi del popolo.
Nel 1772, Ferdinando IV in occasione dell’inaugurazione del mercato coperto, ben informato della magnificenza della pizza di ‘Ntuono dai suoi sudditi e dai viaggiatori e diplomatici stranieri, a sorpresa si fece condurre nella pizzeria di Antonio Testa alla salita di Santa Teresa per Capodimonte, a fianco del palazzo Teresa, che fu sede dell’Università degli Studi fino al 1777 e poi Real Museo archeologico dal 1787. Si fece servire varie pizze, marinare, con i funghi, gustandole con grande entusiasmo.
Il re raccontò felice a tutti questa esperienza gastronomica, ma la sua regale moglie continuò a vietare la pizza a corte. Mantenne il suo veto anche a Portici in occasione della festa della vendita del pesce fritto con cozze e vongole pescato a Mergellina.
Nel 1832 Ferdinando II fece costruire nel parco della Reggia di Capodimonte, un enorme forno a legna dal figlio di ‘Ntuono, Domenico Testa, abitante a piazza Mercato.
In tutte le stagioni dal 1832 al 1859 il Real parco di Capodimonte brulicò di mangiatori di pizza, domestici e cortigiani, ma anche ambasciatori e ministri, ecclesiastici. Le divoravano in piedi o seduti, la mangiavano di gusto con le mani, dopo averla piegata a libretto come un foglio di carta.
Francesco II mangiava la pizza a corte con coltello e forchetta, preferendo le marinare e i calzoni ripieni sia fritti che al forno, accompagnati da palle ‘e riso fritte, arancini, frittatine di maccheroni, anche se rimaneva goloso di lasagna e di gelati napoletani. La sua simpatica e bellissima moglie Maria Sofia preferiva i gelati e i calzoni di pizza che mangiava allegramente con le mani, perfino durante l’assedio di Gaeta.
Garibaldi nel 1860 assaggiò la pizza a Palazzo Carafa di Maddaloni allo Spirito Santo, offerta dal giornalista e scrittore francese Alessandro Dumas padre, innamorato di Napoli e delle sue pizze.
Con l’unita d’Italia a Napoli il costo della vita aumentò notevolmente e così la pizza: salì a un grano nel 1861 e a 50 centesimi di lira nel 1863.
Nel 1830 cominciò a diffondersi la pizza napoletana con salsa di pomodoro e mozzarella, basilico, detta pizza ‘e Napule, antenata della moderna pizza margherita secondo l’editore e scrittore Riccio nel suo libro “Dintorni e contorni di Napoli” del 1846.
Dumas padre ne parlò più volte nei suoi scritti, nel 1835 nella sua opera “Il corricolo” e in altre sue opere nel 1846 e in “La storia dei Borboni di Napoli” del 1860, e nel 1862 sul giornale napoletano “L’indipendente”.
Già nel 1866 le pizze si classificavano in calzoni, marinare e pizze aglio e olio.
La pizzeria napoletana più antica fu fondata nel 1738, l’antica pizzeria di Porta Sciuscella, ovvero Port’Alba, che produceva pizze per venditori ambulanti e che dal 1830 fu autorizzata a mettere tavoli e sedie interne ed esterne sul marciapiede: l’antica pizzeria di Port’Alba, tutt’ora esistente.
Nel 1870 fu fondata la celebre pizzeria in via Sersale da Michele che serviva calzoni, marinare e pizza napoletana.
Nel 1880 nacque la pizzeria da Pietro con il panettiere e pizzaiolo naso ‘e cane, ovvero Raffaele Esposito, che in occasione della vista della regina Margherita e di re Umberto I di Savoia del 24 giugno 1889 portò a Palazzo come omaggio personale tre tipi di pizze: la marinara, il calzone al forno e la pizza napoletana ribattezzata da lui margherita, in onore della regina. Arricchita con salsa di pomodoro, basilico e mozzarella, gli stessi colori della bandiera italiana. La pizzeria si chiamava Brandi ed esiste tutt’ora.
Costretti ad emigrare dalla miseria che era seguita all’unità del Paese, i napoletani portarono nel loro bagaglio il gusto per la pizza esportandola così in tutto il mondo …

 Michele Di Iorio