Il film: Mommy

Mommy-by-xavier-dolan-cannes-posterUna piacente vedova, e di carattere, del Canada francofono è fortemente impegnata coll’amatissimo figlio Steve, che ha gravi problemi d’inserimento sociale. Fanno conoscenza di una vicina dolce e comprensiva.
Film (CAN, ‘14) premiato a Cannes ‘14, ex-aequo con Godard (ma molti lo avrebbero visto vincitore unico), ha dimostrato il talento indiscutibile del suo regista-sceneggiatore-montatore-costumista (yes, ha fatto pure quello…),il 25enne del Québec  Xavier Dolan.
Decisamente un enfant prodige, con all’attivo già sette film da director, senza contare il concomitante e precedente lavoro in televisione e quello di attore e produttore: insomma un tizio che non sta fermo un attimo, decisamente consapevole del suo valore.
Ma il film funziona. Di una durata corposa (139 min), sviluppa la sua spasmodica attenzione su questa coppia madre-figlio. Il ragazzo è antipatico, scostante, violento, ma malato: in nessun momento viene fatto il tentativo di taroccare hollywoodianamente il suo malessere: più precisamente, esso è un ADHD diagnosticato, un deficit d’attenzione con disordine ipercinetico.
È ‘nu guaglione con seri problemi. Non ci viene ammannito come un qualcosa che possa risolversi con un po’ d’amore e di comprensione in più. Né ci viene dato un facile colpevole: tipo la madre disaffettiva, o un padre assente: è orfano.
Forse questi sono tutti motivi che concorrono: ma la via narrativa del regista è sul ragazzo e sull’intensità del  rapporto con la madre. C’è anche la vicina, la dolce Kyla, che sembra avere un effetto rasserenante su di lui: e difatti tra la comprensione non stereotipata della persona esterna e l’affetto esclusivo, pervasivo, bloccante per la madre, il ragazzo appare felice e perfino non squilibrato.
E qui c’è una delle più geniali invenzioni visuali-stilistiche che ho visto negli ultimi anni. Il film si presenta alla visione in sala in uno strano taglio di schermo di tipo quadrato; ma che all’improvviso, proprio su un gesto di danza di Steve libero e felice, “si allarga” all’inquadratura di visione cui siamo abituati a schermo pieno.  Per poi, lentamente, ritornare al quadrato, quando i fatti della vita, ostinatamente, tornano a manifestare la loro oppressione.
Certamente il regista legge la spinta al ribellismo del ragazzo, pur nell’ambito della patologia,  anche con un’anarchica spinta alla liberazione di sé in un mondo che, in sostanza e di fatto, non ammette eccessive fuoriuscite da ruoli predeterminati.
In fondo c’è un tratto che accomuna profondamente Steve e Kyle, che manifesta una pesante balbuzie, di origine nervosa, da stress affettivo, pur essendo madre, che le impedisce di fare l’insegnante: il sentirsi non adeguati ai ruoli cui sono chiamati.  E da cui nasce l’altrettanto intensa reciproca comprensione, che il regista riesce a mantenere su livelli di attenta analisi, senza scantonare in “facili” soluzioni di tipo erotico. Pur se, con  altrettale capacità, questo erotismo, che nondimeno è presente, è sviluppato, in modi indiretti, e tanto più efficaci.
Anche perché il centro dell’affettività di Steve è – patologicamente – la madre. Ma è un rapporto che è distruttivo per lei e non aiuta lui: la decisione di separarsi, in definitiva, è sana, ancorché assai amara: molto probabilmente obbligata e di pura sopravvivenza.
Il regista osserva, con disturbante verità, questi complessi striamenti delle anime nel loro cercare vie di salvezza, ognuna delle quali lascia tracce di dolori e incomprensioni, come incendi a malapena domati.
C’è la sequenza del sottofinale, in cui la madre e Kyla, che non ha accettato il suo gesto di separarsi da Steve, le dice addio: è un dialogo per loro, ma soprattutto per la madre, dolorosissimo. Ma che è invece è un continuo rilanciare di auguranti prospettive: le lagrime verranno dopo, perché  tutte e due devono continuare a vivere.
La madre è un’indomita donna: Anne Dorval è un’attrice di una potenza fisica – pur non essendo ‘nu femmenone – espressiva incredibile. In Canada è una star tv molto nota. Mette insieme affettività profonda, sfida, tenerezza, ironia, forza e fragilità, nello stesso tempo.
Anche il ragazzo, il giovanissimo Antoine-Olivier Pilon mostra sensibilità e ricchezza: così anche la dolce Kyla, è l’attrice Suzanne Clément, matura bellezza e fortemente interiorizzata.
La foto di André Turpin, artista di varia e vasta professionalità, descrive queste piatte terre di mezzo residenziali con asciutta documentarietà asettica, con colori di luminescenza spenta, ma pronta a vibrare nella musica.
Il finale è un omaggio ironico e affettuoso al regista François Truffaut, che l’ha ispirato non  poco.

Francesco “Ciccio” Capozzi