114 anni dalla morte di Nietzsche: il suo pensiero sulla donna

NietzscheUna data da ricordare quella di oggi per gli appassionati di filosofia e non solo, data la popolarità di Friedrich Wilhelm  Nietzsche e delle sue opere: il 25 agosto del 1900, moriva di polmonite a Weimar il maggiore studioso delle filosofie della vita, unico nel suo genere, il cui modello di riflessione, informale e provocatorio influenzò enormemente i suoi posteri.
Autore di vari saggi e opere aforistiche sulla società moderna e  la scienza, ma in particolare sulla morale e la religione cristiana per il cui contenuto fu accostato al razionalismo, ma anche all’irrazionalismo a causa del suo forte spirito critico e ironico.
Fu in piazza Carignano di Torino – città in cui si trasferì nel 1888 – che fu colpito dalla sua prima crisi di follia in pubblico. Tra le cause incerte della malattia mentale che non lo abbandonò fino alla morte, nonostante i diversi ricoveri psichiatrici promossi dal suo amico Overbeckda, è tutt’ora accreditata l’ipotesi dell’enorme sforzo creativo cui si sottopose negli anni precedenti.
«L’uomo deve essere educato alla guerra e la donna al conforto del guerriero: tutto il resto è stoltezza»: così recitava il detto della vecchia donna in Così parlo Zarathustra.
Ma era davvero così negativo il pensiero del genio nato a Röcken, Lipsia, verso il gentil sesso?
Nonostante Nietzsche spesso nei suoi aforismi avesse usato termini non proprio benevoli inerenti alla donna, in fondo non provava disprezzo nei confronti della sua naturalità, cioè donna intesa come mamma, moglie, consolatrice, sebbene  la giovane scrittrice psicoanalista Lou Andreas Salomè avesse rifiutato di sposarlo.
Piuttosto il filosofo tedesco rifiutava l’idea di emancipazione delle donne. Le apprezzava e ammirava esclusivamente quando erano nel posto a loro dedicato per pura natura, il focolare domestico. Le vedeva di cattivo occhio nelle realtà della scienze, della medicina, della filosofia: in tutti i campi che contano, insomma.
Un inguaribile maschilista forse, ma nel profondo libero da sentimenti di odio e rancore verso le regine della casa.
Niente di nuovo, se si considera che anche Schopenhauer, nella sua opera del 1851 L’arte di trattare le donne, afferma che la donna appartiene al “secondo sesso”, inferiore all’uomo sotto tutti i punti di vista. Concezione agghiacciante, addolcita però dalla precisazione che pertanto l’uomo deve essere comprensivo nei suoi confronti.
Infieriva poi Schopenauer  quando sosteneva che la donna adatta scelta da un uomo, doveva essere esclusivamente intorno ai vent’anni di età perché la bellezza senza giovinezza non ha alcun fascino.
Una finta misoginia dei due filosofi dunque tesa a mascherare l’insormontabile timore verso l’affacciarsi al mondo di una donna “nuova”, quella poi emersa dal femminismo novecentesco, figura indispensabile alla costruzione di un mondo più sano, che rispecchia il senso più nobile del termine “donna”.

Nina Panariello