Gaeta e i suoi eroi

IL RE FRANCESCO II LASCIA GAETADalle memorie del mio bisnonno don Luigi di Iorio, 18esimo barone di San Barbato.Al tempo dell’assedio di Gaeta Luigi aveva 21 anni, ed era ufficiale di linea del Real Esercito delle Due Sicilie, promosso sul campo il 2 febbraio 1861 da re Francesco II al grado di capitano dei Cacciatori d’assalto.
Dopo la caduta di Gaeta non si piegò ai piemontesi: fedele alla Casa Borbone si unì ai guerriglieri delle bande borboniche d’Abruzzo fino al 1864.
In seguito scampò per poco alla detenzione nel carcere lager di Fenestrelle in Piemonte; dopo la diserzione dall’esercito italiano, si arruolò in quello pontificio dal 1864 al 1870.
Luigi di Iorio sebbene tanto giovane visse i fasti e gli orrori di un’epoca segnati dal sacrificio dei pur giovanissimi sovrani del Regno delle Due Sicilie Francesco e Maria Sofia.
Rimase sempre fedele ai Borbone: non solo si rifiutò di servire l’esercito unitario italiano dandosi alla macchia tra i “briganti” e poi arruolandosi nelle fila pontificie, ma quando fu costretto ad entrare nell’Esercito Italiano, scelse di andare Oltremare tra le truppe coloniali, pur al servizio d’Italia ma pugnando e addestrando battaglioni di Ascari in Etiopia, Somalia ed Eritrea. Militare nell’animo, in questo modo trovò un compromesso: in terra straniera si sentiva più utile e provava meno rammarico nel servire una patria che non sentì mai sua.
Luigi di Iorio raggiunse il grado di Colonnello e cadde nel 1897 alla testa dei fedelissimi Eritrei ad Adua nella battaglia contro gli Etiopi.
Le sue memorie furono conservate da mio zio don Florindo, 21esimo barone di San Barbato, ufficiale dell’Aviazione italiana coloniale in Libia, e ritrovate nella casa avita dei di Iorio nel Molise.
Lo scritto era avvolto in cartapecora insieme alla Bandiera Sacra delle Due Sicilie biancogigliata e la sciabola del 1859.
Addì 13 febbraio dell’anno domini 1861 in Gaeta, regnante Sua Maestà, che Iddio salvi, re Francesco II Borbone Due Sicilie.
In perfetta buonafede personale e timorato di Dio Gesù, nel pieno rispetto delle leggi internazionali e borboniche, io Luigi di Iorio, 18esimo barone di San Barbato, nato nel 1839 a Montecilfone in Molise, nella Parrocchia Maggiore dai baroni di Iorio, antico casato campano derivato nel 1460 dall’antica casata dei conti Iorio di Sant’Anastasia e di San Sebastiano al Vesuvio del 1081, già patrizi di Campagna d’Eboli, nobili di Pignataro Maggiore dal 1658 e patrizi di Sessa Aurunca dal 1681, amministratori privati dei d’Avalos in Procida e Ischia fino al 1722, nobili di Procida dal 1743 e di Ischia dal 1792, baroni dal 1750, famiglia nobile trapiantata in Molise dal 1809.
Fui cadetto uffiziale dell’accademia militare della Nunziatella di Napoli dal 1851 al 1859, uscendone con il brevetto militare di Alfiere nel luglio e assegnato alla Scuola di Perfezionamento Militare di Nocera dei Cacciatori di assalto del Real Esercito, con assegnazione dal 1 settembre 1859 all’VIII battaglione Cacciatori di linea a piedi del maggiore Michele Scorza, di stanza a Nocera, nella II Compagnia, III Plotone del tenente Giuseppe Palmieri di Castellamare di Stabia; dal 16 gennaio 1860 di stanza a Salerno nella caserma di Portanova, vicino via Mercanti.
Fui imbarcato da Napoli con il mio battaglione per la Sicilia in rivolta, e sbarcai a Messina il giorno 8 marzo 1860; trasferito via mare il 12 marzo a Palermo, fui di stanza a Bagheria nei pressi di Villa Palagonia e di lì a Trapani il 18 marzo; il 25 imbarcato per la guarnigione stanziale di Siracusa di lì via mare sbarcato a Trapani il 2 aprile raggiungendo e accampandoci ad Alcamo il giorno dopo.
Prendemmo parte ai fatti d’arme a Calatafimi contro gli uomini di Giuseppe Garibaldi sbarcato a Marsala da vapori piemontesi il 15 maggio.
Feci anche parte della retroguardia borbonica da Partinico a Palermo, tra il 17 e il 26 maggio 1860, ricevendo in tale giorno la promozione a II tenente dei Cacciatori per i fatti di Calatafimi.
Ferito a Calatafimi, Partinico e Palermo, il 1 giugno 1860 fui rimpatriato a Napoli su di una nostra nave da guerra e operato al Gran Ospedale Militare e decorato con la Croce di Cavaliere dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio il 5 giugno 1860.
Ripresi il mare da volontario 5 giorni dopo per il fronte di guerra in Sicilia, a Milazzo, ove ferito di nuovo dai garibaldini fui ricoverato prima a Milazzo e poi in Messina e il 28 luglio a Reggio Calabria.
Con l’avanzarsi dell’esercito di Garibaldi nelle Calabrie rientrai al mio battaglione a Napoli il 27 agosto di quell’anno, ricevendo la Croce di Cavaliere di Francesco I per i fatti di Milazzo.
Fui inviato il 2 settembre 1860 con i miei compagni di battaglione a Nocera per difendere Napoli, ma due giorni dopo ricevemmo l’ordine di ripiegare sul Volturno.
Lì ci distinguemmo contro i garibaldini a Caiazzo il 22 settembre 1860, dove il giorno dopo ricevetti a Capua la Croce di Cavaliere di San Ferdinando e del Merito in nome del re da S.A.R. don Luigi di Borbone conte di Trani.
Dall’1 al 2 ottobre combattemmo la grande battaglia del Volturno contro Garibaldi, a Maddaloni, Triflico, Capua, Castelmorrone, Caserta vecchia.
Il 3 ottobre in Capua fui promosso I tenente dei Cacciatori e aiutante di campo e distaccato presso il generale Scotti Douglas in partenza per la riconquista militare del Molise in appoggio ai popoli molisani in rivolta filoborbonica e ai gendarmi locali, diretti dal maggiore De Liguori.
Dopo la sconfitta che subimmo dai piemontesi al monte Macerone presso Isernia il 20 ottobre 1860, ripiegai sul Volturno e poi sul Garigliano con le truppe napoletane e con i miei Cacciatori in perfetto ordine.
Il 4 novembre combattemmo contro i piemontesi a Mola di Gaeta e cosi il 12 novembre a Montesecco, permettendo al generale Ruggeri e a 15mila militari dei nostri di rifugiarsi con armi e bagaglio nello stato pontificio.
Così ebbi l’onore a 21 anni d’età di far parte della leggendaria guarnigione borbonica che difese Gaeta dal novembre 1860 al 13 febbraio del 1861 contro gli invasori piemontesi che pur alleati del nostro re, l’avevano attaccato a tradimento senza dichiarazione di guerra, alle spalle, dopo aver aggredito militarmente i territori pontifici di Marche e Umbria e sconfinato negli Abruzzi, fucilando cittadini inermi che tentavano la difesa del loro onore e della loro patria, delle loro donne e figli dalle violenze, strupi, stragi, saccheggi, requisizioni, confische arbitrarie.
Dopo il 20 ottobre 1860 i senzadio piemontesi avevano infierito anche sui cittadini del Molise che avevano osato dal 30 settembre 1860 di difendersi a mano armata contro i barbari del nord.
[davanti Gaeta] il generale Cialdini schiera 16mila soldati del Piemonte o regno del nord, tra lombardi, piemontesi, liguri, romagnoli, toscani, emiloiani, sardi, 7 navi da guerra dell’ammiraglio Persano più molte navi militari, che a Napoli sono passate dai Borbone al regno unitario senza combattere, e 44 cannoni rigati di linea.
Gaeta ha una popolazione di 5mila abitanti nelle mura e di 15 mila fuori le mura; gli avamposti piemontesi di Mola sono a 5 km, ma quelli di Monte Cappuccini e di Montesecco a soli 500 metri.
Gli scontri di artiglieria tra le due parti sono iniziati il 13 novembre 1860 con danni a case civili del borgo; per prudenza il re il 17 novembre fa imbarcare alcune famiglie gaetane e militari borbonici della Polizia di Sicilia sul vapore marsigliese Damohe per Civitavecchia nel Lazio pontificio.
La guarnigione borbonica di Gaeta al tempo dell’assedio è di 21.440 militari di vario grado più alcune migliaia di cavalli e di muli, ottime batterie blindate e rigate, la corte reale, la Famiglia reale, i diplomatici accreditati presso il re delle Due Sicilie, la giovane regina di 19 anni, Maria Sofia la bavarese, stupenda nella sua bellezza e nel carattere e il giovane re Francesco II.
Il 18 novembre il generale piemontese Cialdini inforna per iscritto il generale Vial che ha dato ordine ai suoi soldati di risparmiare i tre ospedali militari di Gaeta e la regina Maria Sofia che con grande coraggio passeggia sugli spalti del forte per fare da infermiera alle truppe napoletane.
Il giorno dopo passando in mezzo agli scambi di fucilate tra le pattuglie in avanscoperta delle due parti, arriva il generale siciliano Ferdinando Bosco, eroico ufficiale promosso Capitano nel 1849, Colonnello nel 1856 e cosi Generale di Brigata nel 1860, che tanto si era distinto in Palermo e in Milazzo contro i garibaldini, pur fermato dagli armisti e dalle tregue militari dello Stato Maggiore di Palermo e Messina.
Il 20 novembre partono da Gaeta per Roma tutti i familiari del re, nipoti, sorellastre e la regina madre Maria Teresa, ricevuti con affetto da papa Pio IX al Quirinale.
Il 21 novembre partono per Roma altri parenti e il sovrano decora con Croci cavalleresche i diplomatici stranieri dando loro il permesso di partire,cosa che fanno il giorno dopo.
Il re distribuisce ai militari, compreso me, la Fettuccia della Medaglia d’Oro al Valor Militare.
I Cacciatori e i Granatieri borbonici comandati dal generale Bosco effettuano una grossa sortita contro gli avamposti piemontesi, cui il 1 dicembre 1860 arrivano 3000 soldati di rinforzo.
Salgono così a oltre 19mila i soldati piemontesi in assedio a Gaeta.
Il re per alleggerire la guarnigione fa partire per Civitavecchia su una nave francese cavalli e muli e più di mille soldati congedati che erano stati richiamati in servizio come rinforzo.
Il 4 dicembre si celebra una grande messa militare per Santa Barbara con tutta la guarnigione.
Il 5 dicembre 1860 nuova sortita borbonica dei Cacciatori del generale Bosco contro gli avamposti nemici; il giorno dopo i piemontesi per la rabbia tirano senza pietà contro i cannoni non risparmiando le case del borgo, gli alloggi reali e gli ospedali militari, ferendo 15 ammalati.
Il re per niente intimorito fa pubblicare il proclama dell’8 dicembre 1860 che incita le guarnigioni di Gaeta, di Messina, di Civitella del Tronto e tutti i soldati e gli abitanti delle Due Sicilie alla resistenza ad oltranza contro i piemontesi.
Il proclama viene stampato dai giornali di parte borbonica e stranieri in tutta Europa.
Fine prima parte

Michele Di Iorio