La brutta bellezza: Roma – Un dialogo


È con me Jep Gambardella, lo splendido personaggio del film di Paolo Sorrentino “La Grande Bellezza”, al quale pongo alcune domande.
«Jep, mi ha colpito che nel film lei non parli mai della politica, né incontri i suoi personaggi. Come mai?»
Lui mi guarda con l’espressione distaccata, ma di chi è in grado di raccordare con precisione tutto ad altri elementi già visti: un’attenzione tesa, ma estremamente rilassata.
Non prima di aver ostentatamente assaporato un’altra boccata di fumo, con lenta voluttà provocatoria (però mi aveva chiesto se mi dava fastidio se fumava), mi fa: «E chi gliel’ha detto? In quelle feste o c’erano gente dello spettacolo, o c’erano politici: tanto tra le due di categorie di tizii confini sono diventate così labili … »
«Cosa mi vorrebbe dire: le solite riflessioni sulla società-spettacolo?», riprendo io, forse con un eccesso di sicurezza.
E infatti Jep guardandomi con una punta di condiscendenza, riprende: «Lei non mi sembra così giovanotto … – da essere così impulsivo, continuo mentalmente io: ma non lui che lascia in sospeso –  da non essersi reso conto – continua dopo una breve pausa, sia per inalare con evidente piacere il fumo della ennesima sigaretta, sia per concedere a me il tempo di riflettere sulla sciocchezza che gli avrei attribuito – che il cambiamento antropologico avvenuto è ormai irreversibile.
E non solo nei ceti, diciamo così, una volta marginali, ma in tutta la società: in ogni sua articolazione. Politica, politica: ma cos’è?», domanda quasi sorridendo ma in realtà a se stesso.
Riprende: «Io non la vedo da nessuna parte. O meglio la vedo così da tutte le parti, che è come se non la vedessi  per niente …»
E qui si ferma, sia per continuare a inalare il beato fumo; sia per riflettere sulle stesse sue parole: magari aspettandosi che l’intervistatore intervenga…
E difatti: «Certo – faccio io – si è perso ogni senso di narrazione …»
Ma appena pronuncio queste parole, vedo Jep quasi sbuffare: «Narrazioni, idee, magari conflitti? Ma che dice? Qui nessuno sa di cosa parliamo; nessuno sa cosa dire. Tutto è stato talmente tutto vangato e rivangato . .. E allora i politici si camuffano: diventano più umani degli umani … Si confondono tra i comuni gaudenti: anzi, lo vogliono diventare più degli altri. Perciò sono loro i veri animatori di quelle feste che si vedono nel film … »
«E lei come si pone?», intervengo per sollecitare un qualche rigurgito morale …
«Giovanotto, anche se siamo coetanei, lei mi sembra venire da un altro mondo … E come vuole che mi ponga: osservo, partecipo senza partecipare; se mi richiedono pareri intervengo: ma è la bruttezza a dominare, in questa gente… Sono i valori della bruttezza che loro perseguono … »
«In che senso?», incalzo forse perché vedo uno spiraglio critico.
«Ma perché non hanno di  nulla: né valori, né competenze, né passioni; nemmeno seguono le notizie sui giornali: loro stessi guardano solo la tanto esecrata televisione, alla quale, peraltro, smaniano e trafficano per andare.
Non leggono articoli di giornaleper più di dieci minuti: giusto il tempo per l’evacuazione mattutina: esattamente come diceva nell’83 un personaggio del film “Il grande freddo”.
Solo che noi c’abbiamo messo più tempo per accorgercene…Non parliamo poi dei libri…se li regalano, li mettono in bella vista nelle loro librerie firmate…Ma perché perdiamo tempo su di loro? Che fa? Mi guarda con un’aria … È sconcertato? Che si aspettava? Che le dessi spago come un qualsiasi grillino sapientone? »
Il suo finale è quasi in crescendo, è come se si stesse mettendo a ridere.
Ma per poi ritornare serio e continuare: «No, mi creda: qua l’unico che ha detto qualcosa di serio e definitivo è Pasolini … »
«Infatti vedo che lei lo cita spesso e con scioltezza … »
Ma lui continua: «Non si tratta di citare, ma di collegare, connettere, come dice E. M. Forster, le cose che sono avvenute e stanno avvenendo sotto i nostri occhi, su questo splendido ma perfidamente ingannevole scenario che è Roma».
E mentre dice, allarga le braccia, come se lo volesse contenere tutto.
Conclude: «E questa indomabile, incontenibile, indicibile  bellezza è la sfera, in cui ci rifugiamo. Per cui lo splendore della città diventa la coltre che copre tutto: anche la schifezza delle periferie che ci circondano, l’assalto della cementificazione, la malavita organizzata che i politici si ostinano a negare».
«È quindi una mistificazione?», ribatto.
«No: è reale ed esiste in una quantità che non ha alcun eguale al mondo. Ma ci ubriaca; c’intontisce: ci porta come all’oblio di tutto ciò che le è intorno, che l’assale dalle periferie nuove e vecchie: ma è un assetto che ha sempre fatto parte del gioco urbanistico speculativo.
Ci fa assuefare alle trasformazioni che Pasolini aveva previsto.
Alla ferocia, ad esempio, che lui aveva individuato con chiarezza e la solita implacabile lucidità nella classi dominanti allora apertamente democristiane …»
«Perché? Oggi lo sono lo stesso, magari mascheratamente?»
Jep non mi degna nemmeno di uno sguardo, come se avessi profferito null’altro che una banale ovvietà.
Lascia correre altro silenzio, in cui c’è solo lo sbuffo del suo fumo e continua: «Ma il dramma, quello vero, è che Roma è la fotografia dell’intero paese. Quel misto di osservanza formale alle leggi, alle tradizioni, per dire che tutto cambia se nulla cambia in maniera profonda, ma solo con tocchi esteriori di quanto più altisonanti parole che inneggiano allo stesso cambiamento.
Il nostro Paese ha conosciuto l’Inquisizione ma anche il Purgatorio, che è la vera grande invenzione della Chiesa Cattolica, tutti possono fare il male, i crimini più efferati: tanto saranno redenti lo stesso …
E in questa chiave che si può arrivare alla follia pura se ci si lascia prendere dallo sconforto, dall’angoscia di non poter fare niente di fronte a questi Gattopardi …
Questo muro di gomma, che è Roma, la sua mondanità, che ci cattura e ci sommerge come in un oblio senza fine … »
«E allora che ci resta?», azzardo preso anch’io dal senso d’impotenza di Jep.
“Niente. – mi risponde con un sorriso – Solo lasciarci andare alla bellezza, struggente e profonda di questa città: altrimenti la disperazione ci sovrasterà …»
(Foto:  web)

Francesco “Ciccio” Capozzi