Il libro: Pareva un destino


È con me, in questa splendida giornata di sole, Roberto Todisco, il giovane autore del romanzo Pareva un destino”, edito da Nuvole di Ardesia.
È un giovinotto di trentun anni, dai tratti del volto regolari e scavati: da cui emerge un naso e un mento che gli danno carattere e personalità.
Emana da lui un complessivo senso di forza tranquilla, che desidera ragionare ed è in possesso di strumenti e attitudini che lo mettono in grado di affermare con determinazione le sue posizioni.
Ma anche, contemporaneamente, di confrontarsi con saggezza ed equilibrio con pareri ed esperienze diverse dalle sue: di chi guarda il mondo con occhi curiosi e attenti ma non se ne lascia intimidire.
Ha la chioma fulva e ribelle, con delle strisce di capelli bianchi anzitempo, che gli danno un’aria posata e vivace allo stesso tempo, da intellettuale antico.
Non manca di senso dell’umorismo e soprattutto di capacità autoironica: in possesso di una laurea in lettere, se ne prende gioco con eleganza.
« Ma come ti è venuto di fare un romanzo con un protagonista dal nome di Rutilio Namaziano? E chi è? Ma chi ‘o sape?», gli pongo d’emblée (all’intrasatto) questa domanda un po’ provocatoria e a trabocchetto …
Ma, ovviamente, nemmeno scalfisco la sicurezza culturalmente consapevole dell’autore, che dice: «A me ha colpito molto quest’autore della tarda latinità che credeva ancora nella grandezza di Roma, quando questa era solo una memoria del passato ed era sotto attacco dei Barbari: anzi mi ha proprio commosso …
Ne ho visto l’attualità: addirittura la drammatica attualità, perché quello che a noi sembra, o è fatto sembrare, il lontano passato, addirittura remoto, è invece la stessa possibilità che a noi è dato di avere un futuro».
«In che senso?», lo incalzo.
«Ma è la Costituzione Repubblicana, ciò di cui in realtà si parla!», riprende con un piglio militante, non da intellettuale distaccato, come era parso fino ad ora.
«La lotta partigiana, dal 1942 fino al ‘45, a cui si fa riferimento come scoperta operata in una sorta di viaggio al contrario, che parte dalla vigilia delle elezioni politiche del 2006, nelle testimonianze del passato, serve solo a garantire la chiarezza del drammatico quadro storico da cui è emersa la Costituzione. Ma la cui genialità va ben oltre la determinata contingenza».
« Quindi c’è una specie di thriller … », faccio io.
«Mah, se vuoi … È  un itinerario di svelamento…  »
Poi, dopo un a breve pausa di silenzio, che io assecondo, in cui sembra guardare il vuoto, riprende, come rinfrancato: «Comunque, ogni racconto giallo contiene elementi di “Quest”  (Ricerca del Santo Graal: cioè della verità assoluta): solo che sembra prevalere il dato razionale, cervellotico, ma fine a se stesso. Però nei grandi autori polizieschi (Poe, Hammett, Chandler, ecc.), come in taluni romanzi di autori meno avvertiti, il punto di arrivo, dopo avere sbrogliato le varie matasse, espunto le false tracce, è sempre una critica, in nome dell’etica sia individuale che sociale, dei comportamenti umani».
«E perciò c’è questa riflessione su Pavese … », riprendo di rimando.
«Beh, si … non è proprio esplicita, ma chiara, –  ritornando su terreni noti – per me Pavese è un grande poeta: la cui ispirazione è drammaticamente tesa dal grande dissidio con se stesso, per non aver avuto il coraggio, al momento opportuno, di darsi alla Resistenza … Come se, avendo perso quel grande appuntamento con la Storia, si fosse sempre sentito colpevole … »
«Eppure – continuo io – è l’ispirazione lirica la chiave stilistica dei tuoi dialoghi in prosa: in questo sono molto pavesiani».
«Si: la scrittura di Cesare Pavese è parte integrante  del mio sentire la letteratura. Quel suo continuo, lucido, disincantato e malinconico nello stesso tempo attraversamento della memoria lo rende assolutamente unico.
Lui viaggia continuamene dal profondo dei sentimenti stilisticamente individuati, e li porta all’immediato confronto coi tempi: i suoi tempie le contraddizioni in essi presenti; affrontate con la più grande, dolorosa e spesso scarnificante onestà intellettuale possibili».
Al che aggiungo: « Molto opportunamente, tu non hai voluto “dimostrare” nulla: hai solo messo in chiave di dialoghi le riflessioni spesso contraddittorie dei personaggi …    »
«Si, ho cercato di farli parlare: loro, debbono (dovrebbero), secondo le dinamiche psicologiche che io ho costruito in loro,  essere i portatori dei comportamenti che alla fine portino i lettori a fare proprie le mie tesi».
«Sono spesso dialoghi serrati», m’introduco io…
«Si, perché gli scambi sono fortemente intrisi di sentimenti o di memorie basate su quelli: i veri, fortemente e intensamente provati, che solo in minima parte vengo scoloriti e attenuati dal tempo …
Sono come i fantasmi, che in francese si chiamano revenants, cioè i ritornanti: col loro carico di attualità ancora “inespressa”, che dal passato si apprestano a vivere nell’ora e adesso».
Cambio registro: «A me il viaggio ha fatto pensare anche a Elio Vittorini di “Viaggio in Sicilia”: solo che lui va nel sud … »
«Si ma è un sud che un intellettuale del nord, nato al sud, cerca di reinterpretare, con strumenti non solo sociologici, ma di pura escursione nella sfera esistenziale: di qui il mito che qua e là fa capolino, pur all’interno di una dimensione sostanzialmente realistica.
A me ha colpito la sua dimensione di connessione tra i diversi elementi stilistici … »
«E non manca la pura dimensione sentimentale –  incalzo – o è un cedere alle pressioni editoriali: mettiamoci ‘na bella storia d’amore per addolcire il tutto … »
Lui mi fa un sorrisino sardonico: ma anche un po’ complice: « Ma che c’entra? – soggiunge – la storia d’amore l’ho messa perché l’ho sentita …
E poi è uno sfondo “attivo” che fa meglio comprendere che le dinamiche di base sono, o dovrebbero essere, sempre sorrette da slanci sentimentali … »
Abbiamo parlato a lungo: le ombre della sera ci stanno circondando: senza che ce ne accorgessimo hanno preso il posto del sole dell’inizio della conversazione.
Le ultime parole quasi si perdono nel buio, e così la presenza di Antonio …
Ma resta il suo libro.
(Foto : web)

Francesco “Ciccio” Capozzi