L'intervista: la scrittrice argentina Gladis Alicia Pereyra

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ROMA – Gladis Alicia Pereyra (foto), di madre italiana, è nata  a Cruz del Eje, una cittadina della provincia di Cordoba in Argentina e vive in Italia da moltissimo tempo.
La Pereyra è una donna di cultura e di grande sensibilità legata ad entarmbi i Paesi; non poteva certo rimanere indifferente all’elezione di Papa Francesco.
Racconta in una lunga intervista cosa ha provato per questo grande evento.
Perché secondo lei, studiosa di storia e di religioni, Papa Ratzinger si è dimesso?
«Credo che Papa Ratzinger abbia chiaramente detto il perché della sua clamorosa decisione: non si sente più né fisicamente né psichicamente in grado di far fronte al suo ministero e per il bene della Chiesa si ritira, lasciando lo spazio perché un altro, più idoneo, prenda su di sé il compito per lui ormai troppo gravoso. Su quanto abbiano pesato in questa decisione lo scandalo Vatileaks, lo IOR e i problemi della curia romana, non sta a me fare congetture.
In ogni caso, Papa Benedetto con il suo gesto ha dato un esempio di umiltà che mette ancora più in evidenza, per contrasto, la superbia e la tracotanza della maggior parte dei nostri politici, soprattutto di molti nuovi eletti che si attribuiscono l’incarico di salvare il mondo».
Perché come suo successore è stato scelto Jorge Mario Bergoglio?
«Secondo il parere degli osservatori non era tra i preferiti; quello che realmente pensassero i cardinali non possiamo saperlo. Tendo a credere che abbia convinto il Conclave a eleggerlo per le stesse ragioni per cui ha conquistato tutti noi».
Come ha reagito quando ha saputo che il nuovo papa era argentino?
«Sono rimasta sorpresa, quando poi si è mostrato alla folla con la talare bianca e la sola mantellina, senza la mozzetta e la stola e ha iniziato il suo discorso dicendo: “fratelli e sorelle, buona sera” ho capito che era l’uomo giusto».
Che innovazioni porterà?
«C’è da chiedersi piuttosto che innovazioni non porterà, perché finora ogni suo gesto è innovativo. Penso che cercherà di riportare la Chiesa verso l’apostolato e di indurla a proseguire nella via dell’ecumenismo rendendola ancora più percorribile. Lo ha detto con il suo stile semplice, chiaro, ricordando l’etimologia della parola pontefice: pontefice è colui che costruisce ponti e Papa Francesco vuole costruire ponti verso tutti, anche verso chi non crede in Dio.
Non ha portato la spada che divide, ha portato la croce e la cosa che ho notato e mi è sembrata bella è che andando nel corteo verso la cappella Sistina a dire la prima messa, si appoggiava alla croce che portava come se fosse un bastone o meglio un pastorale.
Ho trovato l’immagine rappresentativa di un Papa che si ritiene principalmente un pastore e il suo sostegno è la croce. Un pastore sì, ma che saprà guidare con mano ferma la sua Chiesa. Quali siano le premesse perché Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, possano dirsi discepoli del Signore lo ha manifestato, senza lasciar spazio al dubbio, nell’omelia della messa nella Cappella Sistina davanti al Collegio Cardinalizio.
Rispetto al divorzio e ai matrimoni gay non credo che apporterà innovazioni di rilievo nella linea  finora mantenuto dalla Chiesa; anche se in questo campo potrebbe esserci qualche tipo di apertura, senza arrivare, ovviamente, all’accettazione».
È proprio dall’altro lato del mondo l’Argentina?
«Geograficamente è molto lontana dall’Europa, i suoi territori finiscono nell’Antartide, proprio alla fine del mondo. Per tradizione e cultura invece è molto vicina, specialmente all’Italia, non dimentichiamo che quasi metà della popolazione è discendente di emigranti italiani».
Cosa mancherà al Santo Padre della sua?
«Non saprei, i parenti, gli amici, i confratelli, forse la lingua e le strade di Buenos Aires, qualcuno dice anche il San Lorenzo di Almagro, la squadra di calcio di cui è tifoso».
Cosa trasmetterà al mondo?
«In Argentina l’esistenza di una parte della popolazione ridotta in grande povertà ed emarginata nelle cosiddette villas miseria, ha fatto sì che molti sacerdoti scegliessero di vivere in queste baraccopoli dove mancano i servizi più elementari e di costruirvi una chiesa.
Il successo della loro missione si può misurare, purtroppo, dalle minacce che ricevono, in passato dalla dittatura militare e oggi dalla malavita organizzata e più di uno ha pagato con la vita il suo impegno.
La povertà porta spesso al degrado morale e da questo traggono profitto le associazioni criminali; porta anche all’inerzia, alla non reazione e di ciò si avvantaggiano le dittature. Credo che Papa Francesco voglia trasmettere l’esempio di questi preti coraggiosi: la Chiesa deve scendere tra gli ultimi a portare loro speranza, a trasmettere loro l’idea di avere diritto alla dignità umana, lì dove questa dignità viene negata».
Qual è l’importanza del nome scelto dal Papa?
«Confesso che quando ho sentito che il nuovo Papa aveva scelto di chiamarsi Francesco, ho esultato.
Finora nessun papa aveva scelto di portare un nome così carico di significati e credo che, in questo momento di smarrimento collettivo, in una società dove si è creato un grande vuoto di valori morali e culturali, aggravato dalla crisi economica che altro non è che il risultato di questo vuoto, la figura del Poverello da Assisi potrebbe essere un esempio, una guida, anche per chi non professa una fede religiosa.
La crisi dei valori ha lanciato l’uomo contemporaneo in uno sfrenato materialismo, in una sterile ricerca della felicità attraverso l’accumulo di beni di consumo e di piaceri del corpo. La spiritualità sembra qualcosa di obsoleto, una debolezza di altri tempi.
L’uomo di oggi è affamato di spirito e non lo sa, ha tagliato metà di se stesso e tenta disperatamente di costruirsi un’identità con la sola metà rimasta, da qui lo smarrimento.
Francesco da Assisi rappresenta tutto ciò che manca alla società odierna: la profonda spiritualità, l’amore per la natura di cui si sentiva parte e non padrone e di conseguenza il rispetto per tutte le creature, la speranza, l’umiltà, la carità e la gioia. Sono valori questi che Papa Francesco propone esplicitamente, con parole semplici come è il suo stile, per essere capito da tutti.
Se il suo messaggio venisse accolto si produrrebbe una vera rivoluzione. Se questo avverrà si saprà con il tempo; passato il primo momento di entusiasmo, resto in bilico tra la speranza e il pessimismo».
Gli argentini seguiranno il consiglio del Papa di non venire in Italia per trovarlo ma di spendere quei soldi per i bisognosi?
«Ho i miei dubbi; chi sarà in grado di permetterselo non si lascerà sfuggire l’occasione di venire a Roma a vedere il conterraneo diventato Papa, d’altronde molto amato in Argentina, specialmente a Buenos Aires, la sua città e a Cordoba, dove ha passato molto tempo».
Cosa manca di più ad un italo-argentino quando è in Italia e viceversa?
«Quando è in Italia gli manca lo spazio: le pianure sconfinate della Pampa. Quando è in Argentina gli manca il tempo: gli strati di storia e bellezza accumulati attraverso i secoli».
Foto e fonte Ufficio stampa