La divina velocità, il culto dell’automobile e il nuovo animismo

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Da un po’ di tempo circola nella rete un video, dove si mostra un uomo di mezz’età alle prese con un’astrusa manovra che lo blocca in un vicolo di Cardito.
Il video, a primo acchito, risulta divertente, quasi surreale, tanto da farlo sembrare una montatura, e forse lo è, forse è un fake, come oggi lo si vuol definire con un termine più telematicamente in.
La cosa che però colpisce, nel presunto resoconto della disavventura di un imbranato al volante, non è il video in sé ma i commenti che vi si leggono a margine, che come al solito, nel ruffiano e spesso anonimo e consolatorio spazio della rete, si prendono la licenza insulsa dell’invettiva e talvolta del linciaggio morale. Sì perché di realistico, quel video, c’ha il fatto che tutti i presenti se la prendono col malcapitato autista, dandogli consigli e sfottò ma soprattutto dandogli addosso verbalmente e nessuno, ma proprio nessuno, pensa di rimuovere o far rimuovere le quattro auto che ne bloccano la sterzata.
Se invece di una 500 ci fosse stata, in quella stradina, un’ambulanza o un camion dei pompieri, impegnato in manovre d’emergenza, come avrebbe potuto farlo con carreggiata e marciapiedi occupati dalle auto in divieto di sosta? E invece no! Qui da noi si è talmente abituati al dolo e all’infrazione che li si considera normale realtà quotidiana, tanto da non meravigliarsi più al loro cospetto.
Anzi, ci si sofferma sul futile e si ride, come in un film di Fantozzi, delle disavventure altrui. Sarà che non vogliamo piangere delle nostre?
La strada quindi come metafora di vita e le auto scatole di rancore ma anche la strada della morte, la strada killer, la strada assassina ma per quante volte ancora dobbiamo sentire questi nomi riferiti a esseri inanimati quali sono effettivamente le nostre vie? Ma la stampa quotidiana non lesina questi termini quando deve riportare la triste cronaca stradale.
Eppure se ce ne andiamo salterellando lungo il bordo di un precipizio e malauguratamente ci caschiamo dentro, la colpa non è della concavità ma ovviamente nostra!
E allora, perché, se corriamo lungo le nostre pur malandate strade, infischiandocene delle leggi e delle regole del buon senso, se ci va male ce la prendiamo con le stesse? Certo potrebbero essere migliori, se consideriamo ad esempio le nostre superstrade, sono assai rovinate, dall’incuria del tempo e di autorità cieche e sorde agli stimoli della cronaca e dei fatti.
Ma andrebbe anche detto che c’è chi scambia le nostre vie per discariche a cielo aperto, dove c’è chi lascia impunemente il suo sacchetto o approfitta delle tenebre per riempire le piazzole di sosta di rifiuti speciali e anche in questo caso a partorirli non è la strada animata ma l’uomo.
Un caso su tutti può essere emblematico, ed è quello la nostra SS 268, la Statale del Vesuvio. Quest’anello, che circonda il Cratere, fu previsto per facilitare l’evacuazione in caso di evento vulcanico ma è stato fin da subito chiaro che, la strada in questione, non era capace di gestire l’ordinario flusso dei veicoli, figuriamoci poi quello straordinario, ipotizzabile in caso di eruzione o in una sua paventata ipotesi.
Sta di fatto che purtroppo, sulla 268, si muore, si muore allo svincolo di Somma, ma anche su quello di Ottaviano e così via con la cronaca settimanale di incidenti più o meno gravi, soprattutto il sabato sera, quando le Smart, le Mini e le 500 dei rampolli vesuviani sfrecciano, nella più totale impunità lungo la carreggiata unica della superstrada.
Non che i più anziani diano il buon esempio, i padri, le madri e i nonni di questi arroganti giovani, danno prova della provenienza della tracotanza dei loro parenti più giovani e via col SUV o con l’auto ipertrofica, via libera alla prepotenza dei cavalli motore e alla lotta di classe della cilindrata.
Ma in tutto questo c’è da chiedersi: dove sono le forze dell’ordine? Dov’è la Stradale? Chi funge da deterrente per chi infrange la legge e chi protegge chi la rispetta? E invece loro sono sempre là, pronti come i becchini, talvolta vestiti di nero come loro, col metro a nastro in mano, a fare  rilevamenti e relazionare sul caso e contemplare passivamente quel sangue sull’asfalto, contenendo le strazianti smanie di chi ha un caro che la vi giace ormai esanime.
Ma si sa, è la strada che uccide, loro che ci possono fare? Mica possono combattere contro i serpentoni di bitume e cemento? La strada è assassina!
Un’altra cosa poi colpisce profondamente, soprattutto a chi cerca di mantenersi al di fuori del senso comune e cerca di mantenersi entro i limiti del buon senso, ovvero quell’atteggiamento tutto mediterraneo, di considerare il portare l’auto come un elemento di alta virilità e che contempla la completa denigrazione di chi va piano o mostra un minimo di prudenza.
È vero, siamo il paese della Ferrari, dove tutti si credono un po’ piloti, dove uomini e donne, indistintamente, riversano le loro frustrazioni sulla strada, sentendosi ben protetti nei loro più o meno tecnologici involucri, ma chi pagherà le spese sociali delle vittime della strada, non certo Montezemolo ma ovviamente noi, contemporaneamente vittime e carnefici sull’altare della divina velocità.
(Foto: web)

Ciro Teodonno