È Napoli, signori miei!

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Napoli è una straordinaria potenzialità che vive da sempre all’ombra di una  montagna di fuoco,  e su un terreno ardente di arroganza.
È  Napoli, signori miei!
La città del sole, cantano le canzoni. Ma in quei vicoli del centro il sole fa fatica ad entrare.
Per arrivare fino in fondo devono scendere diritti, rasente le pareti di tufo, tenute discoste da fili di ferro, tesi da finestra a finestra, che traversano la striscia di cielo azzurro terso.
Scendono diritti sui quei muri con tracce di intonaci colorati di giallo ocra, rosa pallido, arancione pastello; dove crescono cespi di piante di fico nate sul perenne umido di colonne pluviali da semi lasciati dallo sterco di colombi assetati.
Attraversano illuminando  inferriate bianche di piccoli balconi  con  persiane verdi, spalancate. Esigenza semplice. Bisogno di colore, di luce.
Scendono diritti, i raggi del sole, fino ad illuminare i blocchi di pietra, usati da secoli per il selciato. Pietra lavica. Pietra tagliata dalle rocce vulcaniche della grande montagna di fuoco, che in una sua eruzione, duemila anni fa, seppellì lo sfarzo, la ricchezza, gioie, tormenti, piaceri, credenze e miti di Pompei.
I vicoli di Napoli dove per secoli ha vissuto la Napoli popolare hanno subito e stanno subendo una grande trasformazione: sono  popolati da extracomunitari: africani, arabi, cinesi trapiantati in questi bui vicoli ricchi di storia e di fascino, da realtà completamente differenti, abbandonando i propri paesi di origine nella  speranza di una vita migliore, sull’onda di questa epopea migratoria che sta caratterizzando l’ingresso di questo nuovo millennio.
Una trasformazione dovuta all’abbandono, al degrado cui erano e sono sottoposti quei quartieri, dove tutto è storia.
Dove sono quei progetti di qualche anno fa quando ero studente alla facoltà di architettura che prevedeva la trasformazione in luoghi eleganti, di attrazione turistica?
Li criticavo perché li vedevo come progetti aberranti, prevedevano prima di tutto di deportare le popolazioni nelle immediate periferie, in edifici dormitori, senza alcun passato.
Qualcosa gli amministratori fecero, poi il vuoto, il silenzio, il degrado, l’abbandono.
Negli ultimi venti anni, sventati quei progetti, purtroppo niente, quasi niente è stato fatto seriamente per salvare la Napoli antica dal degrado.
Napoli non solo è interessante per i monumenti nudi e crudi, ma anche per la loro mescolanza, per la stratificazione che nei secoli si è avuta e che l’ha resa una città unica al mondo.
Unica al mondo anche per gli esseri umani che l’hanno abitata per secoli, per le tradizioni e anche per quel pizzico di follia che li ha sempre contraddistinti. Distruggere questo e far diventare il tutto una specie di museo a cielo aperto, sarebbe stato come distruggere definitivamente una singolarità.
Se quei progetti di qualche anno fa fossero stati realizzati  si sarebbe svuotata tutta Napoli del centro, della sua gente, al loro posto si sarebbe imposta la presenza di creativi, scrittori, registi, al posto dei bassi che vendevano di tutto, ci sarebbero stati negozi di grandi firme.
Napoli sarebbe sicuramente diventata una città moderna. Moderna, fresca, come un morto nella sua stanza, sul suo letto, vestito bene e con tutti, ben vestiti ed eleganti, che andavano a fare le onoranze.
Ma Napoli non va bene nemmeno così com’è, lasciata al suo destino, abbandonata a se stessa senza alcun progetto concreto che tenga conto della totalità della storia, dell’architettura, dell’urbanistica, ma anche della storia antropica, senza la quale Napoli non sarebbe stata sicuramente la stessa città.
Oggi in quei vicoli di Montesanto, in quelli della Sanità, in quelli del quartiere Mercato, San Carlo all’Arena, Materdei, si possono incontrare realtà sociali differenti tra loro ed estranee al contesto, che hanno abbandonato il loro mondo nella speranza di trovare una vita migliore, insediate con prepotenza in questa realtà ricca di storia, trasudante di vita vissuta, dove ognuno di quei palazzi, di quei bassi, di quei balconi, di quelle finestre, parla, racconta la propria storia.
Napoli, un libro di storia scritto con le pietre e mostrato a cielo aperto.
(Fonte foto web)

Mario Scippa