In ricordo di Gae Aulenti

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Gae Aulenti

Prospero Ponziopi, che nonostante il nome di battesimo non era felice e non se la passava granché bene, a 37 anni era ancora un “giovane” giornalista di cronaca free lance per dei quotidiani ed emittenti tv della città di Napoli.
Era single e viveva ancora con i suoi  nella sua cameretta. Nessuno lo pagava decentemente, né sotto forma di lavoro precario che in formule di apprendistato, per cui vendeva i suoi servizi al miglior offerente.
Sempre in cerca di quello scoop, “come un cane da tartufo”, diceva di sé, che gli avrebbe permesso un contratto decente.
Aveva questa storia, ma non sapeva come servirsene: comunque ecco il testo dell’intervista.
«Mi chiamo De Gaetano Gaetano (bella fantasia ‘e patemo, eh?), ma mi chiamano Nino. Lavoro per  “La Sempre Vigile”, che fa la security nella stazioni della nuova Metro di Napoli, la Linea 1. Ero di servizio notturno alla Stazione Dante: erano le tre ed ero solo. Tornavo dal giro sui binari e stavo nell’androne, quando ho sentito come una specie di vento che dapprima debolmente, poi sempre più forte, emanava una voce.
No, non era una voce, ma un gorgoglio basso e continuo…lento…ma sottotono.
Là per là non ci faccio caso: erano state giornate di tempaccio, e ho pensato a un ritorno del cattivo tempo: ma, guardando  fuori dalla vetrata aperta, vedo una splendida luna, immobile  in cielo e tutto fermo e silenzioso :  non c’era un sospiro di vento…nel mentre mi rendo conto di questo, mi si gela la paura dentro…
Il sussurro  continuava, anzi, era più nitido … Anzi, sembrava che mi raggiungesse e camminasse con me,  insieme a me, attorno a me!
Mi sembrava di non controllare più  niente…Un senso d’impotenza s’impadronì di me…
Era un vento, lo sentivo tale!, ma non sollevava polvere, né quei piccoli oggetti lasciati dalla gente…
Era come se vorticasse intorno a tutto l’androne, e io non ne stavo al centro, pur essendone coinvolto … e una volta che ero riuscito a controllare il panico, avvertivo come se quel gorgoglio fosse  una voce, bassa ma piena di echi concentrici e parlava e diceva …
E, facendo ancora più attenzione, capivo che si lamentasse…ma, “Dio mio! Chi era?” dicevo gridando, ma solo dentro di me, cercando di non perdere ancora una volta il controllo …
Eppure era tutto fermo, che so, nessuna finestra sbatteva, nessun arredo si spostava … Era come se dal vento uscisse un mormorìo, sempre più denso, sempre rimanendo basso …
All’inizio non capivo, ma mi sembrava che dicessero, come in un lamento qualcosa  come ”Gae … Gae … Gae”; poi lentamente si  attutiva, fino a spegnersi; si fermava ; poi usciva  in un altro posto del vasto spazio dell’androne davanti a me; oppure si udiva separatamente  in diversi posti, di nuovo con un’intensità via via crescente, fino a raggiungere la stessa vivacità di prima, o superandola, come in un lamento profondo, sempre più nitido, questo  suono: “Gae … Gae… Gae …”.
Era come se il suono rimbalzasse sulle piastrelle delle pareti, sulle mattonelle lucide del pavimento; trascorresse con velocità  da un punto ad un altro dell’intera stazione, come venendo su da tutta la zona in luce prima, che iniziasse il buio del percorso dei binari.
Era una voce di dolore, quasi disperata …”Gae … Gae … Gae”: era impressionante …
L a paura era scomparsa; ascoltavo distintamente quelle voci di sofferenza che svolazzavano come alati attorno a me …
Allora, trovo il coraggio di gridare: “Ma chi siete? E chi è Gae?”.
Appena rimbomba il suono un po’ stridulo della mia voce, tutto si ferma all’improvviso, come una fulminea bonaccia nel cuore di una tempesta.
Tutto diventa immobile: è un’immobilità che si scopre come scoppiata nel cuore di un temporale.
È come  se tutto diventasse preda di un brusco e inaspettato evento che sconvolgesse, sorprendesse e mutasse tutto ciò che stava avvenendo poco fa.
È qualcosa che irrompe con la stessa forza di quel vento  e di quelle voci che si arrestano, tutte e tutte insieme, d’incanto.
Cade il silenzio; che è solido e penetrante come il buio, anche se in piena luce.
Da una specie di lento mulinello d’aria, vicinissimo a dove stavo io,  sento una voce, bassa e un po’ disarticolata, ma comprensibile, anche se con uno strano, indefinibile accento dal suono antico: “Ma  allora ci senti?”, fa.
“Certo che vi sento…Perché? non dovrei?”
“No, gli umani che ci attraversano è assai raro che ci sentono…”
”Si, ma chi siete?”
“Noi siamo le forze di questo luogo; i vostri antenati latini ci chiamavano il Genius Loci…”
“Ma come? Qui, sottoterra?..”
“Ora, sottoterra: qui una volta, secoli fa pulsava di vita; era stato sommerso da valanghe di terriccio e di storia: case, strade, umani, eventi, in uno strato sopra l’altro ci ha sommerso.
Ma ogni strato portava un pezzo di vita, un brandello di vita collettiva che non si perdeva nel nulla, ma che restava attaccata a quella parte di spirito degli altri che riusciva a i sopravvivere, sommandosi e amalgamandosi  a questi grumi di vita sopravvissuta, formando col tempo una voce sola …”.
E, mentre parlava, io avvertivo distintamente come questa voce fosse composta, in realtà, da tante piccole voci che pur sovrapponendosi,venivano emesse  dicendo una cosa sola: facce, destini, desideri, fatti, sentimenti: era qualcosa di indescrivibile nella molteplicità che veniva espressa: ma tutto così chiaro e distinto.
“E ch’è questo Gae?, il mio nome (Gaetano)? E come fate a saperlo?”
“Non lo sai? Noi piangiamo con dolore la morte di Gae (Aulenti), colei che ha ricreato  questo spazio così luminoso…Ha fatto ritornare a vita e luce questo tombario …
È lei che ha saputo individuare con chiarezza in questo nulla profondo, buio, freddo e silenzioso, le linee che formavano i nostri spazi vitali. Come per miracolo ha saputo interrogare gli spiriti che aleggiano nel suo vasto cuore, e ha ricostruito quelli che erano i punti del nostro vivere di una volta, almeno dei più antichi tra noi.
Abbiamo sentito che la sua mente era vasta come il suo cuore, e la bellezza che ci ha donato ce l’ha fatta sentire vicina noi, alla nostra memoria collettiva: lo stesso sta capitando alle presenze antiche dell’altro posto che lei ha progettato (la stazione Cavour), qui in questa antichissima città che voi chiamate Napoli .
E oggi sappiamo che non è più pulsante sulla Terra il suo spirito vitale. E ora lasciaci al nostro dolore… “
Ho pensato che era meglio che me ne andassi …»
E qui finisce la registrazione del colloquio con Rino, riportata da Prospero.
Poi, forse, i “Monacielli”, come dicono a Napoli, o gli Spiriti Antichi, come diceva lui, gli si erano rivelati perché aveva, diciamo così, una certa qual propensione ereditaria a dialogare con gli spiriti: una sua zia dava le carte … Ma su questo è stato generico.
Certo che il povero giornalista non sapeva che farsene di questo presunto scoop: bene ha pensato di darlo ad un suo amico scrittorucolo che forse poteva bersi queste panzane …
(Fonte foto: web)

Francesco “Ciccio” Capozzi