Possesso palla

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Sono in ventidue.
No! Per l’esattezza sono ventitré al centro, più due sulle linee parallele a bordo campo.
Corrono avanti e indietro, sudano, cadono, spingono, fanno acrobazie e costruiscono geometrie perfette dal niente.
Corrono, tutti insieme, inseguendo lei. Palla.
Intorno a loro sono in trentamila. Sono accatastati fino a formare un unico corpo, un’unica voce urlante. Fuori sono milioni e milioni di teste pensanti cui per novanta minuti viene evitato di pensare.
Sono là, davanti allo schermo: nei salotti, nei bar, nelle pizzerie.
Tra nuvole di fumo, risate, unghie mangiate fino alla carne, litri di birra e quintali di pasta per pizza bruciata nei forni nello stesso momento.
Commenti, palla che gira,  marcatore di turno, conteggi di milioni di euro pagati per l’ultimo acquisto: un ragazzino di vent’anni dallo sguardo stupito. Speranza, dolore, passione di tanti milioni di loro. Viene dalla povertà, la palla lo ha reso milionario. Ubriaco di ricchezza.
Un fischio, acuto, trillante. Di colpo il silenzio. La città si ferma, deserta.
Milioni di occhi puntati sulla sfera.
È piccola, di circonferenza  68-70 cm.  Pesa poco meno di mezzo chilo. In quell’attimo è più grande e pesante della Luna. È ferma. Immobile sul dischetto bianco. Nove metri di distanza. Un rettangolo disegnato con pali bianchi di soli  7,32m in lunghezza e 2,44m in altezza.
Sembra piccolo, ma è enorme per chi lo difende. Sembra enorme, ma è un buchetto piccolo per chi deve tirare.
La guardano, ipnotizzati, stregati, ammaliati, drogati, milioni e milioni di occhi. In quel momento nulla è esistito, nulla esiste, nulla esisterà. In quel momento l’universo intero, lo spazio e il tempo, si concentra come in un buco nero in quella sfera. Palla. Quel momento si dilata, tende all’eternità.
Il ragazzino di vent’anni pagato milioni di euro dalla squadra del cuore deve tirare.
Nel suo piede si concentra l’attenzione di una città, di una nazione. Quattro passi più indietro. L’arbitro fischia. Abbassa la testa. Il suo corpo, modellato e allenato come fosse una macchina, si piega in avanti  leggermente.
Avanza, il primo passo, il secondo, velocemente il terzo, il quarto e per un istante si ferma davanti alla palla, mentre alza la gamba per prendere forza, calibra la posizione del  piede destro. Tira.
Da solo nella sua stanza davanti alla TV chiude gli occhi stringe le sue mani sulla testa. La palla si alza, si alza, si alza, lentamente per poi abbassarsi seguendo la linea di una perfetta curva geometricamente disegnata nell’aria che congiunge il dischetto ad un angolo del rettangolo.
Il portiere da un lato la palla dall’altra. Entra, affonda gonfiando la rete e un urlo invade il silenzio della città.
Apre gli occhi, urla, sorride sudato e tremante.
Poi tutto ritorna. Lo spread si alza, ma che ce ne frega, dopodomani c’è un’altra partita.
(Fonte foto: web)

Mario Scippa