Quando muore un artista nazionale si sprecano le parole di commiato. Per una serata e forse poco più, si trasmettono, se questi apparteneva al mondo del cinema, le sue interpretazioni più famose e poi lo si passa all’oblio degli archivi o alla cura del ricordo di chi li ha apprezzati ancora in vita.
È successo pochi giorni fa con Mariangela Melato, poliedrica e apprezzata artista ma pressoché sconosciuta alle nuove generazioni, abituate più ai reality che al cinema e al teatro.
Lo stesso accadde per Fellini anni fa, il quale, nonostante i suoi 5 oscar (ammesso che questi valgano qualcosa!) e una fama internazionalmente riconosciuta, sfumata l’eco della sua morte, non si è più capaci di vederlo sul piccolo schermo.
Crediamo che sia realmente difficile trovare uno dei suoi capolavori nei palinsesti del panorama televisivo italiano, sia in quelli in-chiaro e forse neanche in quelli a pagamento.
Questo può valere un po’ per tutte quelle figure della nostra italica arte e che purtroppo non sono più declinabili in contesti volti al consumo immediato o privi di una riflessione approfondita su ciò che ci circonda.
Chi vi scrive non ama la televisione ma ne fa comunque un uso contenuto, pur essendo un amante della radio, vivo con la mia famiglia e non posso quindi fare a meno di notare i pregi e le purtroppo molte aberrazioni del mezzo televisivo.
Senza demonizzarlo più di tanto, bisogna però sottolineare che questa non è altro che il mezzo principe di quel senso comune che ci vuole assopiti consumatori, acquirenti di un qualcosa che non è sempre nostro e che qualcuno dall’inglese facile definirebbe un format, ma un format, un prodotto in senso lato, internazionalmente diffuso e internazionalmente vendibile e con tanto di marchio registrato come la Coca-cola, che in un modo o nell’altro, si è imposta ovunque come bibita per eccellenza. Questo alla faccia del libero mercato e della democrazia!
Lo stesso accade con i film. Durante l’anno solare infatti, a prescindere dalla produzione mondiale, cinematografica o televisiva che sia, e alla qualità di ciò che ci si propone, per non parlare poi di quella musicale, siamo letteralmente sepolti da prodotti statunitensi o ascrivibili al mondo anglosassone che, grazie alla lingua comune, riesce più facilmente ad usare i vettori della distribuzione a stelle e strisce.
Basti pensare che, contrariamente agli altri festival internazionali, l’assegnazione degli oscar, gli Academy Award, vanno tutti a quei film che sono in lingua inglese, escludendo generalmente tutti gli altri che concorreranno appunto solo alla migliore pellicola straniera, perché girati in una lingua che non è quella inglese: – e grazie! –
Questo è stato così da sempre, salvo esempi recenti come quello della Miramax che ha prodotto film che definirebbero esotici! Ma la produzione rimane sempre U.S.A. e per questo, solo per questo, proposti secondo standard locali, yankee, per intenderci.
Il problema fondamentale è che, non solo ci perdiamo il resto della cinematografia mondiale, ma addirittura quella locale e in questo ci andiamo a perdere come consumatori e come cittadini, perdendo la nostra varietà di scelta, sia commerciale che culturale.
Infatti, mentre da ragazzo ebbi la fortuna di assistere, da telespettatore, al meglio della cinematografia dei grandi maestri, nonostante la censura filodemocristiana dell’epoca, spesso più realista del re, ma dove si riuscivano a vedere, oltre ai maestri internazionali, i film di Pasolini e di Fellini, di Pontecorvo, di Rosi e di Montaldo, ma anche le commedie di De Sica e i film dell’Albertone nazionale e di tanti, tanti altri, oramai censurati dal diktat del mercato imposto.
E fosse solo questo! C’è anche la logica delle repliche, una logica tesa al risparmio, al massimo guadagno con la minore spesa, perché si ricordi, che la tivù, se esiste, lo è perché deve far soldi, non per far beneficenza alle masse desiderose di fiction.
L’elettrodomestico ti propone più volte all’anno e non solo a Natale; Mamma ho perso l’aereo; film divertente, certo, ormai un classico come La vita è una cosa meravigliosa di Frank Capra, che la Rai trasmetteva ogni anno a Natale, ma potrebbero essercene ancora altri a dilettare le nostre serate televisive anche perché di reti ce ne sono molte di più.
Sempre da ragazzo, la tivù trasmetteva i cicli su Totò, ma sapevo anche chi era Gilberto Govi, Renato Rascel e Macario; oggi, Totò, lo si vede solo sulle nostre reti private, intendo quelle locali a conduzione semi-familiare.
Spesso ho posto una domanda a chi promuove e a chi fruisce delle trasmissioni televisive, chiedendo il perché, una volta, in televisione c’era la letteratura e oggi ci sono invece solo veline, medici e poliziotti e chiedendo anche il perché si vedesse sempre meno italiano in giro. Spesso mi è stato risposto che il pubblico, quello vuole! E chi pubblico era rispondeva: – quelli questo ci propongono! –
Secondo me i problemi sono due. Un primo problema è quello legato al fatto che siamo talmente legati al canone cinematografico americano che non ne riconosciamo altri, tanto di considerarlo non solo come mezzo di divertimento ma anche informativo.
Questo potrebbe anche starci, il messaggio artistico dà anche un’informazione ma fino a che punto eravamo convinti che i cow-boy erano vittime e non carnefici degli indiani?
Quando poi la televisione era di stato, quando lo era veramente, aveva anche una funzione educatrice, ci permetteva, con l’ottica dell’epoca, di avere un’offerta più variegata di oggi.
Si conosceva il presente ma si conosceva anche il passato, quello che avevano visto i nostri genitori, oggi purtroppo no! Forse solo se hai la parabola o una scheda puoi accedere a qualcosa di più, altrimenti devi assistere al nulla continuo, al giovanilismo estremo di un mondo che è invece sempre più vecchio e alienato, oppure no!
Magari si potrebbe scegliere di andare fuori, uscire e andare a teatro o semplicemente passeggiare per le nostre deserte strade, nelle nostre miti serate invernali e guardar sorgere le stelle.
(Fonte foto: web)
Ciro Teodonno