La prima volta in Finlandia ai confini del circolo polare artico

 

Oramai sono passati più di trent’anni.
Con un volo da Milano Linate ad Helsinki, l’aereo non lo ricordo ma senz’altro era un C 130.
Hostess bellissime, gentili, seducenti, giovani, bionde, finniche, una più accattivante dell’altra.
Comunque volo buono, atterraggio eccezionale, se si pensa che era la prima volta che volavo.
Arrivo ad Helsinki aeroporto, una costruzione su due piani adatta al traffico di quei tempi, in cinque minuti si era fuori verso la zona dei voli interni; la ripartenza poi con un volo interno Oulu-Rowaniemi.
Ad attenderci troviamo il personale dell’albergo, presso il quale l’agenzia aveva fissato la nostra permanenza, l’Ounasvara, un hotel nuovo, fatto tutto di legno, una novità per noi a quel tempo.
L’esterno dell’albergo era ricoperto da pannelli in alluminio a canne d’organo, illuminato nella notte faceva un certo effetto, l’interno era ottimo stanze con bagno, già a quel tempo i finlandesi erano avanti con i progetti molto più di noi.
Naturalmente le cameriere erano giovani e belle, e neanche a dirlo, ci ho provato con una delicata biondina: lei  mi rispondeva: «Nau?» (now); io da buon italiano, ignoranza della lingua inglese, capivo no, quindi lasciai perdere.
Dopo alcuni anni sento dire la parola nau in una trasmissione televisiva, chiedo a mia moglie cosa vuol dire e mi risponde adesso. 
Mi sento un idiota, mi sono giocato per ignoranza l’unica possibilità che negli anni si è presentata favorevole; per quella sera mi sono consolato, con una mezza bottiglia di vodka e una mezza bottiglia d’acqua minerale, bevuta tutto solo in un angolo della sala poi a letto, domani si va a caccia.
Abbiamo trascorso cinque giorni di caccia, non eccezionalmente fruttuosi. Si trattava di selvaggina artica,  quasi tutti  Rieki, una specie di pernice bianca,e femmine di gallo forcello.
Ricordo un pomeriggio di essere capitato in mezzo ad un volo di galline forcelle, partivano da tutte le parti.
Sono riuscito a fare un doppietto: non è raro nella foresta finlandese imbattersi in questi gruppi così numerosi: più volte mi è capitato in seguito di involare numerosi  galli forcelli, tutti assieme.
La nostra caccia in Italia, al tempo, era in prevalenza alla pernice bianca. La si faceva in Alto Adige
nella più bella riserva di caccia che esisteva in Italia, ad altitudini di più di 2000 metri sul livello del mare, e in quelle cinque o sei uscite nel mese di settembre, a volte anche nei primi di ottobre, se il tempo lo permetteva, riuscivamo a fare sempre tra le 8-13 pernici  al giorno.
Certamente sulla morena e sul ghiacciaio la caccia è diversa, ma non ci lamentiamo.
La Finlandia è un’esperienza nuova; si cammina tutto il giorno su di un cuscino di mirtilli rossi e neri, e quando poi starni una preda abbattuta, nel pulirla ti rimangono le mani blu perché le sue interiora sono sature di mirtilli, bacche  che fanno  parte del pasto principale estivo dei tetraonidi.
Si cammina tanto durante il giorno in mezzo alla foresta, senza vedere un volo, sono alberi e alberi, poi verso sera ci si avvia verso la strada bianca, un gruppetto di pernici, una gallina forcella: in mezz’ora si fa carniere.
Un po’ alla volta si capisce che gli animali amano la sabbia della strada.
Però la giornata successiva la guida ci riporta nella foresta e così via per tutta la settimana.
La sera facciamo la sauna, per me è una novità. All’uscita dalla sauna ci si  dovrebbe tuffare in piscina, gli altri lo fanno ma io ho paura dell’acqua.
Scendo piano, piano, e mi raffreddo e così prendo una bella tracheite che mi porterò appresso per parecchi anni. Forse è stato anche il fatto che, al mattino nella foresta, sono finito in un occhio di palude e ho avuto tutto il giorno il piede bagnato, fra l’altro camminando  sotto una fitta ma leggera pioggerellina, che a quei tempi cadeva spesso nei paesi nordici.
Ora anche in Finlandia il tempo è cambiato e piove spesso a rovesci.
La settimana è passata in fretta. Ho visto per la prima volta l’aurora boreale, che spettacolo meraviglioso della natura, mille luci, mille colori, lampi che viaggiavano nell’universo stellato freddo; difatti  l’aurora si manifesta solo nelle notti stellate molto fredde.
Il rientro in aereo con la selvaggina nei contenitori non è un problema, il problema nasce dalle perturbazioni dei vuoti d’aria che l’aereo subisce … Silenzio in fusoliera.
Noto qualche posto più avanti una giovane finlandese sola e impaurita, e penso bene di andarle a fare compagnia. Vi assicuro che la tensione del volo fa fraternizzare in fretta, e così è stato.
Poi il viaggio prosegue fino a Milano in perfetta compagnia. All’arrivo l’altoparlante chiama la coincidenza per Roma dove è diretta la ragazza: l’aereo è già in pista e attende gli ultimi passeggeri in ritardo, un ultimo saluto e tutto passa nel deposito ricordi.
Cosi e la vita!
Passano poi due anni senza andare in Finlandia, peccato.
L’autunno prima volevo ritornare con la stessa agenzia, assieme ad un amico di Asiago; purtroppo l’agenzia dopo averci fatto pagare le quote in anticipo, ha cominciato con il procrastinare la partenza per il maltempo dicevano, prima una, poi un’altra settimana, alla terza era sparita l’agenzia con i soldi versati da noi ed altri cacciatori: il maltempo era venuto in Italia e non in Finlandia!
Comunque la voglia di tornare a quello che sarà per sempre il mio paese dei sogni è grande.
Convinco un altro amico di nome Modesto a seguirmi nell’avventura: questa volta si va  in auto.
Volevo  conoscere il Paese, trovare agganci del luogo ed essere più indipendente.
Comincia l’avventura di due italiani che ignorano la lingua straniera, ma che hanno tanto coraggio e tanta passione.
Si partì con l’auto, un’ottima Mercedes 2000 a benzina, comoda e sicura.
Trento, Bolzano, Austria, Monaco, autostrada per Amburgo. Arriviamo a Lubecca la sera, il primo albergo sarà nostro. Ci fermiamo due notti. Al mattino  di buon’ora ci alziamo per fare visita alla città di Amburgo, e dopo aver camminato per qualche tempo, ci imbattiamo in un enorme Centro commerciale.
Vi si poteva trovare  già allora, dall’ago all’aereo.
Ci passammo dentro quasi tutto il giorno, poi,  verso sera,  un salto al porto  per vedere come poter acquistare un biglietto per il traghetto che ci  avrebbe portato in Finlandia.
All’entrata del  porto c’è un signore che parla solo tedesco mi trovo in difficoltà, non riesco a spiegarmi, momenti di panico! In quel mentre arriva un camionista spagnolo, il quale gentilmente ci fa da interprete, mi chiede: «Abla espagnol?» 
Da buon veneto gli rispondo: «Parla pure che te capiso» – il dialetto veneto è similare allo spagnolo, per fortuna –  e con il suo aiuto comprendo dove andare a fare la prenotazione: tutto ok, si parte il giorno dopo.
Al pomeriggio del giorno seguente, verso sera, siamo al porto in orario per l’imbarco. Abbiamo tutto il tempo di visitarlo e di vedere immense distese di rotoli di carta vergine, accatastati sotto le tettoie. Quei rotoli provengono dalla Finlandia.
I traghetti che fanno la spola Germania – Finlandia e ritorno trasportano anche la carta che poi è diretta in tutta Europa, caricata su autotreni che arrivano e partono in continuazione:  parlo di trent’anni fa e più, allora non c’era crisi.
Il nostro traghetto viene stipato di rimorchi per bilico, di auto, di merci; alla fine carica un camion che trasporta cavalli da corsa e per ultima la nostra auto. Ho scordato di dire che  nel portabagagli ottimamente  attrezzato per l’uso,  alloggio il mio più grande amico, il cane Dick, bracco tedesco che mi ha seguito in tutte le avventure venatorie. Non ha fatto la quarantena d’obbligo, ma  l’ho fatto vaccinare. Viaggia in incognito.
Si parte la sera finalmente.
Nella sala da pranzo per i passeggeri ci servono un’ottima cena a base di salmone, e in quel tempo non si mangiava spesso salmone dalle nostre parti. Tutto ottimo, la cabina comoda, il servizio buono.  La notte trascorre tranquilla.
Il giorno seguente visita al ponte di comando, alla sala motori del traghetto. È stato  interessantissimo vedere il motore navale enorme in funzione.
Si viaggia veloci verso il Golfo di Finlandia, verso Helsinki. Il mare sempre mosso, il tempo cupo, la notte poi passa veloce.
Al mattino presto arriviamo in porto. Il traghetto attracca e il primo a sbarcare è il camion con i cavalli da corsa. La polizia portuale finlandese si piomba su quel camion, colgo l’occasione per tagliare la corda: ho una fifa boia che mi trattengano Dick in quarantena.
Si viaggia verso nord 900 km per arrivare a Rowaniemi, la capitale del Nord.
La strada è perfetta e quasi tutta diritta; di tanto in tanto un villaggio, qualche rara città, poi i boschi e laghi, boschi e laghi, poche  case colorate, molto piccole, giusto l’indispensabile.
La classica vegetazione del Nord: pini e abeti betulle, qualche prato di tanto in tanto.
Ad un certo punto vedo in lontananza un poliziotto con la paletta alzata, sarà stato lontano almeno sette, ottocento metri: mi viene freddo.
Viaggio veloce e tranquillo, non vi è anima viva sulla strada, si incontra un’auto ogni mezz’ora o anche più, però nelle vicinanze di un villaggio, di un incrocio, che porta ad un paese c’è l’obbligo della velocità ridotta da osservare, ma da buon italiano si va  sempre via diritto e veloce.
La pattuglia aveva già a quel tempo la possibilità di monitorare la mia velocità.
L’alt della polizia che mi fa scendere e mi fa sedere entro la loro macchina.
Il mio amico Modesto si sente morire, non ha mai fatto un viaggio fuori d’Italia, solo viaggi con me per andare a caccia, questo spesso.
I poliziotti parlando inglese si sforzano di farmi capire che viaggiavo troppo veloce, questo l’avevo già capito da me ma faccio il finto tonto,  fingo di non capire e alla fine, dopo essersi consultati fra loro mi mettono nelle mani un bollettino per una multa da pagarsi al primo ufficio postale.
Sempre da buon italiano mi porto appresso la multa che non pago. Fortunatamente non sono più ritornato in auto in Finlandia, perché sono sicuro che il mio nome è stato iscritto per anni nei registri della polizia a cui devo ancora 60 mk.
Comunque con grande sollievo di Modesto il viaggio continua e arriviamo a Rowaniemi. Sosta all’hotel Pojanovic.
È quasi sera e ci diamo subito da fare per trovare un interprete.
Con l’indirizzo datomi da un amico che anni prima era salito su al Nord a caccia, e con l’aiuto di un tassista della città, troviamo la via ed il numero della casa della persona indicatami.
Salendo le scale avevamo incontrato una ragazza molto bella, che poi è risultata essere la figlia della signora che ci era stata indicata come interprete.
Suonato il campanello, ci risponde una voce femminile senza aprire la porta, parlando naturalmente italiano le spiego la nostra necessità. La signora in malo modo  risponde che non vuol saperne di italiani, perché vogliono solo andare a letto e poi spariscono.
Ci chiede di andarcene ma io cerco di insistere: non c’è niente da fare, è un momento di panico a 3000 e più kilometri da casa, senza un minimo di conoscenza della lingua finlandese e dell’inglese. Che fare?
Tornati in albergo, senza perdermi d’animo mi faccio intendere in qualche maniera dalla hostess addetta al ricevimento, la quale mi indirizza al di là della strada, dove c’è un’agenzia turistica aperta da poco.
Trovo subito il proprietario, un giovane cordiale ma che non sa una parola d’italiano, mi fa cenno di attendere e dopo un po’ la salvezza: arriva una giovane, alta, cascata di capelli rosso tiziano, naturali,  non bionda come tutte le altre, slanciata non minuta stampata: non è  una copia  come tutte le altre lapponi. Il suo nome è Kaisa.
Se vi capita di andare a Rowaniemi, andate all’agenzia di viaggi interni turistici “Lapin Safari” e  chiedete di Kaisa o di Seppo e dite loro di aver letto il racconto di Gilberto: sono sicuro che vi tratteranno molto, molto bene. Fortunatamente Kaisa parla molto bene l’italiano e così ci mettiamo d’accordo per l’organizzazione della caccia. Ci trovano una guida e anche un interprete. Da allora siamo sempre rimasti molto amici.
Partenza il giorno successivo!
L’interprete è una signora di mezza età, superato la cinquantina – contro ogni tentazione! – ma parla correntemente in italiano e insegna italiano ai finlandesi.
Il suo nome è Emma Leinonen e sarà la nostra guida anche per alcuni anni successivi. Cammina come una giovane di vent’anni, chiacchiera come una maestra di 70.
Poi arriva la guida di caccia: un uomo alto e slanciato con lo sguardo sicuro, molto sveglio è in gamba, mi piace subito, nome Jussi Tiitola.
Saliamo in auto una piccola Suzuki, fornita dall’agenzia, prima tappa a casa di Iussi
La guida, per salutare moglie e figli, due ragazzi di 8 e 10 anni, ci porta a casa sua.
Dobbiamo attraversare il fiume che costeggia Rowaniemi e allo scopo ci imbarchiamo su di una chiatta fatta di tronchi d’albero, trainata da un verricello a motore.
La casa di Jussi è situata in mezzo alla foresta. Dove poteva poi vivere un rennerman come lui? Solo in mezzo alla foresta.
Moglie e figli,  abituati alla solitudine, in qualche modo fanno un po’ di festa,
Iussi ci fa assaggiare la carne d’orso lessata e messa in barattoli sottovuoto, orso che aveva ammazzato fuori casa l’inverno prima, dopo che gli aveva sbranato il cane legato alla cuccia.
La carne ha un gusto forte e selvatico, non facile da mandare giù.
A quel punto Jussi tira fuori, da quello che poi diventerà il suo famoso sacco di pelle di renna, la zampa dell’orso e la fa annusare a Dick che era tutto pimpante arzillo e felice. Come sente l’odore dell’orso diventa triste, abbassa le orecchie e si raccoglie sotto le mie gambe in cerca di protezione. Dick era un bracco tedesco pieno di vita, l’ultimo nato della cucciolata, sveglio e intelligente bravissimo alla ferma e alla cerca del cedrone, della lepre. Soprattutto amava il beccaccino che cacciamo in autunno, anche in zona Prato Stelvio, facendo parecchi capi ogni volta che andiamo lassù.
Si riparte in tarda mattinata. Dopo pochi chilometri di strada,  Iussi dice ad Emma che ci saremmo accampati in riva ad un lago per cacciare le oche.
Con la fuoristrada scende in mezzo alla foresta formata da piccoli pini e betulle, probabilmente ripiantati solo da qualche decina d’anni: lassù, al Nord, la natura cresce molto poco.
La crescita degli alberi è inferiore al millimetro l’anno; per formare una pianta con  25 – 30 cm di diametro ed un’altezza che va dagli 8/11 metri, il massimo dell’altezza che riesce a raggiungere un albero, ci vogliono almeno 300 anni.
Poi quando muore la decomposizione organica della stessa pianta dura più o meno altrettanto.
Con l’auto si fa strada sradicando i piccoli alberelli, per farci vivere l’avventura da turisti di città che per la prima volta vedono una foresta.
Iussi non sa che sono nato in mezzo ai boschi, al legno, e che lo lavoro. Per fargli capire che non sono un novellino,  lo invito a fermarsi, e sfilata la motosega dai bagagli posti sopra l’auto,  incomincio a tagliare i piccoli fusti che intralciano il cammino della Suzuki.
L’uomo è intelligente, capisce al volo che non siamo i soliti turisti, gira l’auto e ripartiamo verso una vera foresta, dove per alcune ore camminiamo su un  tappeto di mirtilli.
La selvaggina però è scarsa.  Dick ferma una femmina di cedrone che abbattiamo, poi scappa via veloce una lepre bianca che si salva, più tardi avvistiamo un altro animale che non riesco a riconoscere e che se ne va salvo.
Cammina, cammina, ci viene una forte sete.  Come bere l’acqua dei fiumi così scura. Non mi fido a berla,  fra l’altro non avevamo fatto spesa, non avevamo alcun disinfettante, mi  fidavo dell’organizzazione,  che però è stata scarsa.
Allora,  la sete era tanta,  proviamo a bere: mai ho provato tanta delizia: l’acqua era  sì scura ma  scorrendo  sulla torba, una volta assaggiata, si vorrebbe berla a fiumi,  è fantastica.
Arriva la sera e si rimonta  in auto. Ci si avvia per non si sa dove. Arriviamo in una radura dove c’è un fabbricato, sempre di legno, situato immancabilmente vicino ad un lago, anzi a due laghi molto vicini e ci fermiamo per la notte.
Chiedo ad Emma se ne abbiamo il permesso. Iussi dice che è di un amico no problem. Trovato il nascondiglio della chiave, entriamo e ci disponiamo per la notte.
Iussi accende il fuoco per cena, ci sarà carne di renna e patate. Incominciamo a gustare la cucina del rennerman.
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Iussi Tiitola, un grande pignattone di alluminio, fuori  nero di fuliggine, dentro acqua, carote, cipolle e patate, pezzi di carne di  renna, (in seguito a volte ci sarà anche il pesce appena pescato nel lago), il tutto bollito un paio d’ore, poi si mangia, e che buono che è.
La fame dopo una giornata nella foresta è grande, va bene tutto, poi siamo giovani.
Fortunatamente arriva in tavola anche la birra Lapinkulta, una marca che apprezzeremo ogniqualvolta si andrà  al Nord.
Si dorme tutti in un’unica stanza, sdraiati su giacigli di fortuna. La notte breve, riscaldata dal fuoco nel camino, ogni tanto apro gli occhi e do una sbirciata ai miei compagni d’avventura, a Dick che dorme tranquillo vicino ad Emma che lo coccola.
La mattina arriva presto, fuori c’è la bruma, un po’ di nebbia sui laghi, svelti usciamo per controllare se ci sono oche o anatre da cacciare, ma dopo una piccola perlustrazione non vedendo nulla chiediamo di lasciare il posto.
Iussi decide di farci cambiare aria e andiamo a Saariselka, chissà dove sarà.
Siamo già sulla stessa sintonia, sulla stessa onda io e lui, già cominciamo a capirci, ed è nato un sentimento di rispetto e di affetto che ci accompagnerà poi negli anni a venire.
La strada per arrivare al sito che abbiamo scelto è lunga parecchie centinaia di chilometri, si trova in provincia di Oulu, quasi ai confini con la Russia.
Tramite Emma, sempre guidando, mi spiega che laggiù dove stiamo per recarci c’è la proprietà di un fratello e sono parecchi anni che nessuno ci abita.
Ad un tratto lungo la strada attraversa un alce grande come un cavallo, riesce a schivarla, ma che spavento: se colpita sarebbe stato un disastro per noi e l’auto. Tutto bene però.
Arriviamo alla proprietà, naturalmente dopo un grande tratto di strada bianca che finisce in una radura alberata di piccole betulle.
Attorno sempre e solo foresta, grande e piccola, s’intravede solo un piccolo sentiero, un viottolo, chissà dove ci porterà. Fucile a tracolla, valigie, spesa che nel tempo avevamo effettuato in una botteguccia lungo la strada.
Al tempo c’erano pochi negozi, non esistevano ancora i supermercati e ci si doveva accontentare di quello che si trovava, fortunatamente la birra, bene di Stato come tutti gli alcolici in Finlandia, non manca mai.
Ci avviamo lungo il sentiero che non è breve ma si dipana per più di 500 metri, fino ad una radura nel bel mezzo della quale troneggia una grande costruzione in legno, che avrà calcolo io più di 200 anni.  Più in basso, oltre il prato,  un grande lago circondato da una foresta dai 1000 colori, uno scenario fantastico, una vista a non finire.
Il terreno era leggermente rialzato;  scostato dalla casa un piccolo fabbricato conteneva il bagno, si fa per dire, un cesso rialzato con  una finestra rivolta verso il lago:  credetemi c’era più gusto a star lì seduti che andare in giro a camminare, tanto era bello lo spettacolo.
Dietro la casa ecco  la sauna:  una costruzione formata da pietre e tronchi di legno, ermeticamente chiusa e la sauna a fumo. Il fuoco viene acceso all’interno di un cumulo di pietre poste a volta, il fumo esce da una piccola fessura alla base del tetto di legno.  Una volta raggiunti i 90° interni, più o meno in un’ora di fuoco, consumate le braci prodotte dal legno di betulla, si entra muniti di un secchio d’acqua fredda ed un mestolo di legno di betulla, che servirà per gettare l’acqua sulle pietre incandescenti e formare così il vapore. Una nuvola di vapore avvolge la stanza, brucia il respiro, il corpo suda , si liberano le tossine.
Il calore è molto forte, Modesto riesce a stare dentro otto o 10 minuti,
Iussi ed io  più o meno qualche minuto in più, quindi si esce.
Di regola si dovrebbe correre al lago e gettarvisi dentro,  oppure come a Saariselka ci si dovrebbe gettare in una specie di occhio di palude appositamente scavato fuori dalla sauna.
Noi  bravi italiani,  preferiamo sollevare in alto un grande secchio d’acqua, attinto dal lago prima di entrare in sauna, e fare una doccia potente, fredda. Come ci si sente dopo? Ti pervade  un indescrivibile senso di benessere,  di piacere e rilassatezza, e a completare l’opera, godiamo di  un tramonto sulla foresta dai colori azzurro, rosso, giallo, viola, e le betulle ingiallite dei primi giorni  di settembre, il rosso vivo  delle foglie, il verde dei pini e degli abeti, i colori pastello dei cespugli, e ancora  il verde intenso dell’acqua del lago e gli sprazzi dell’ultima luce del sole che tramonta:  il tutto è magia del Nord, pura e semplice meravigliosa magia.
La sera al lume di candela prepariamo la cena,  questa volta non renna bollita bensì renna cotta in tegame,  naturalmente con patate, pane, formaggio e vino portato dall’Italia. Per  finire una bottiglia di whisky, sempre portata dell’Italia. Incomincia a venir fuori la verità:  i finlandesi bevono come spugne.
Fortunatamente Emma non beve solo acqua, accetta qualche goccio di birra, ma Iussi ci dà dentro con la bottiglia di whisky e si ubriaca. Allora era ancora giovane e teneva bene l’alcol, una buona dormita e al mattino era come nuovo.
Accende il fuoco,  prepara la colazione con pancetta affumicata, carne di renna tagliata a fettine, formaggio, quello non manca mai, pane in cassetta, caffè fatto con la cuccuma da bosco, buonissimo, e si parte per la giornata di caccia.
Usciti da casa ci imbattiamo in escrementi freschi di orso. È venuto a curiosare, a vedere chi è turba la quiete dell’eremo sperduto tra foreste e laghi, dove lui e i lupi sono, assieme all’aquila reale che ha il nido da anni su di un pino non molto distante dalla casa,  i veri padroni della foresta.
Ora spiego come ho scoperto il nido dell’aquila.
Quel mattino tutti assieme saliamo la collina dietro casa, quando si dice collina in Finlandia si deve immaginare un tratto in salita solitamente leggera, che sale per tratti lunghissimi, in genere s’impiega meno di un’ora per arrivare alla cima e altrettanto tempo  per scendere.
Saliamo in ordine sparso per coprire più territorio possibile, quindi fare involare qualche animale, Un paio di galli forcello partono lontano, non riusciamo a sparare.  Ci fermiamo qualche minuto per osservare lo scenario meraviglioso che abbiamo alle spalle: la vista riempie gli occhi,  la foresta è sterminata. Il lago, è un buon mattino limpido,   si vede molto lontano, lo scenario è stupendo, ti toglie il fiato.
Sempre avanti.  Siamo sulla cima,  se così si può definire una distesa piatta, intercalata da pini e abeti molto radi, ed incominciamo a scendere sulla destra. Dick segue una pista, capisco che può essere di un  gallo cedrone, che solitamente vive nei punti più alti per potersi involare senza fatica. Il cane va alla ferma, qualche attimo e parte il cedrone maschio con grande fragore di sbatter d’ali, di piccoli rami che si spezzano. Vola veloce,  gli sparo due colpi di fucile in sequenza, lo vedo colpito ma non mortalmente, continua il suo volo per altri 300 metri circa, lo seguo con la vista attraverso gli alberi poi noto che si ferma su di un abete.
Sempre tenendolo sotto controllo, scendo la costa, che non è poi così facile per la presenza di sassi ricoperti da muschio e arrivo sotto un abete dove l’ho visto fermarsi. Cerco fra i rami  molto fitti, guardo e riguardo: nulla. Alla fine mi stanco, richiamo Modesto ed il cane e ricominciamo a cacciare.
Nel frattempo  lussi ed Emma, che ci seguiva sempre,  si sono già avviati verso la palude sottostante, spiegandomi il percorso da fare ed ecco che  nel folto del boschetto di pino silvestre sento il chiocciare di una femmina di gallo cedrone.  La  individuo un attimo prima che questa  voli da un ramo d’albero e con una fucilata la abbatto. Si rincomincia a cacciare ma la caccia è poco fruttuosa a causa della brutta primavera di quell’anno.
Alla schiusa delle uova il tempo è stato molto inclemente, ha perfino nevicato causando così la morte dei piccoli tetraonidi. Se non vi sono zanzare, mosche, insetti  in quel periodo non ci sono proteine necessarie e disponibili allo sviluppo dei piccoli che nascono;  per di più si blocca la vegetazione delle bacche di palude, dei mirtilli e manca cibo per tutti gli animali, soprattutto per i giovani che non sanno dove trovarlo, e neanche ne hanno la forza per cercarlo a lungo.
Continuiamo a camminare lungo la palude, come indicatoci da Iussi, finché non scorgiamo i nostri amici, guida ed interprete, seduti sotto un grande pino sulla cui chioma troneggia un colossale nido d’aquila. Ci fermiamo ad ammirare quella maestosa  bellezza della natura e la nostra guida  racconta, sempre tramite interprete,  che un giorno di molti anni addietro, quando la casa in cui ci siamo per così dire accampati era ancora abitata, un bimbo di poco più di un anno ai primi passi, era fuori che giocava nell’erba. L’aquila era in volo sopra quella zona, lo vede e si lancia per ghermirlo. Fortuna volle che proprio in quel momento la madre uscisse da casa per controllare il bimbo, vede l’aquila in picchiata e gridando, correndo verso il piccolo la spaventa e lo salva all’ultimo istante.
 
Mi viene da rabbrividire ancor oggi al pensiero di quel fatto,  di quei momenti.
Lasciamo il sito dopo aver a lungo contemplato il nido e ci spostiamo verso un’altra zona.
Dick abituato agli acquitrini si dà da fare come un pazzo nella palude, ma invano, già gli uccelli acquatici hanno lasciato queste zone, fra pochi giorni può cadere la neve e gelare tutto. Camminiamo parecchio per un sentiero senza alzare un volo.
In un bosco di abeti sentiamo il classico richiamo del francolino di monte, ci dedichiamo alla caccia riuscendo ad abbatterne qualcuno, senza fare  grossi danni alla covata che era numerosa .
Cammina, cammina si è avvicinata la sera e dobbiamo riprendere la via di casa, ritorniamo alla baita.
L’indomani, sempre di buon’ora ma non troppo, si fa ancora lo stesso giro del giorno precedente.
La zona non è molto vasta realmente, sembra che si debba cacciare entro la proprietà, pertanto la solita risalita della collina infinita, i soliti  galli forcelli che si involano lontani, poi la discesa.
Jussi e l’interprete non ci hanno seguiti nella salita ma ci aspetteranno sotto il nido d’aquila: speriamo di ritrovarli, perché in quell’immensità di foresta non è facile orientarsi senza bussola, né carte. Ripercorriamo il tragitto che ha fatto il gallo cedrone del giorno prima.
Modesto, il mio amico cacciatore, mi precede di qualche decina di metri. Ad un tratto sento uno sparo, corro a vedere, e lo trovo con un cedrone nelle mani: è  tutto eccitato, quasi confuso, è il suo primo re della foresta che abbatte. Mi racconta di averlo notato a terra sopra un albero abbattuto che si dondolava ma non partiva. Passata la  sorpresa gli aveva sparato. Era il cedrone da me colpito il giorno prima che, sceso dall’albero all’alba per nutrirsi come di consueto, probabilmente sentendoci arrivare si è portato sopra l’albero per potersi involare meglio ma non ce l’ha fatta, e quindi è finito nel carniere del cacciatore per farlo felice.
Sembra una cosa cattiva abbattere un re della foresta, la preda più ambita,  ma per un cacciatore è il massimo della soddisfazione.
In uno dei miei numerosi viaggi in terra di Finlandia, ho conosciuto un signore finlandese, di mezz’età, ex colonnello dell’esercito, appassionato cacciatore, che una volta ci ha accompagnato in una battuta di tre giorni nei dintorni del lago di Inari nel nord della Finlandia.
Ci raccontava che in vita sua non era mai riuscito ad abbattere un cedrone maschio. Quel signore lo abbiamo ritrovato dopo alcuni anni, nei dintorni di Kuusamo, dove ultimamente cacciamo, venendo a scoprire che era proprietario di una parte della foresta dove  solitamente andiamo a caccia.
Ci ha fatto molto piacere  rincontrarlo ed avere il suo permesso per la continuazione del nostro sport preferito.
Il gallo cedrone per le sue prerogative di animale solitario, per la sua maestosità nel portamento, per il piumaggio che con i suoi vari colori lo rende unico e in più per la sua stazza, è definito il re della foresta. E’ naturale quindi che sia la preda più ambita da un vero cacciatore di montagna; sarebbe meraviglioso poterlo cacciare ed una volta abbattuto rilanciarlo in aria facendolo rivivere.
Credo che il migliore risotto che ho mangiato in vita mia sia stato un risotto al sugo di cedrone preparato in un ristorante di Treviso, in una cena organizzata da zio Piero, il nostro grande compagno  di tante avventure venatorie al Nord, cena organizzata per celebrare insieme ad altri amici la fruttuosa avventura di caccia in Finlandia di quell’anno.
Ritrovati Iussi ed Emma sotto al famoso pino dell’aquila, riprendiamo la caccia senza però avere alcuna soddisfazione di involo di altri animali.
Ci fermiamo per uno spuntino a mezza giornata. Iussi accende un bel fuoco, infila nel terreno dei rami secchi, appuntiti alle estremità con il coltello, dove conficca dei wurstel molto grossi per rosolarli. Su di un ramo sospende la famosa cuccuma per il caffè e noi  ci diamo da fare con le vettovaglie che aveva portato ed  una buona bottiglia di Lapinkulta, la stupenda birra finlandese lappone.  E’ ora di togliere i wurstel dal fuoco, ne assaggio una piccola porzione ma non sono di mio gradimento, non mi fido, non era un cibo  abituale nella nostra famiglia, pertanto mi accontento di pane e formaggio portati dall’Italia.
Il mio amico cacciatore invece ci dà dentro, la fame tanta, mangia anche volentieri, poi siccome eravamo accampati nelle vicinanze di un piccolo specchio d’acqua, si alza per attingere una gavetta d’acqua per  bere. Lo avevo seguito nella sua mossa, immaginando cosa volesse fare conoscendolo, lo tengo d’occhio. Non contento dell’acqua limpida e pura che c’è a riva, lo vedo alzare lo scarpone con l’intento di entrare nell’acqua per attingere la gavetta più al centro dello stagno, salto in piedi con un balzo lo prendo al volo prima che mettesse giù lo scarpone nell’acqua.
Non s’era accorto che era un grande occhio di palude fatto ad imbuto: se fosse entrato sarebbe ancora lì a cercare di riempire la gavetta,  anche perché al tempo non sapeva assolutamente nuotare .
Ormai è pomeriggio, i giorni di caccia sono finiti e dobbiamo rientrare a Rowaniemi.
Ci mettiamo sulla via del ritorno, verso la casa di caccia. Fatta la sauna, la doccia con il secchio d’acqua attinto nel lago, diamo l’addio al panorama e alla casa e ci avviamo verso l’auto, lungo il sentiero di ritorno.
A sera siamo tornati alla base. Salutiamo i nostri amici, Kaisa,  Seppo e  Iussi, con la promessa che l’anno prossimo saremmo tornati.
Ritorniamo all’albergo Pohianovic dove passeremo l’ultima sera in compagnia di Emma, la nostra interprete che per l’occasione si è messa un vestito molto elegante.
Come al suo solito, è molto loquace,  ci intrattiene sulle usanze e costumi del Nord.
La cena è a base di filetto d’alce, verdure cotte al vapore e qualche boccale di birra .
Il giorno appresso, sempre in compagnia di Emma, si fa  una visita culturale ai musei del luogo, alla Chiesa anglicana e ad alcune case in costruzione, tutte di legno,  per capire e conoscere bene usi e costumi, sistemi di costruzione adatti a quella latitudine:  nel pieno inverno la temperatura scende  tra i 30° e i 40° sotto lo zero.
Nel pomeriggio, salutato Emma,  ci avviamo alla stazione dei treni e, caricata l’auto su un vagone, ci sistemiamo in cuccetta: si va,  via, verso Helsinki.
Arrivo ad Helsinki di mattino presto e  ritirata l’auto ci avviamo immediatamente al porto, dove ci aspetta già il traghetto per Lubecca,  già carico di rotoli di carta, di rimorchi per bilico, ed altre merci ed auto.
Si parte, la giornata è noiosa nel ritorno sul Mare del Nord. A sera la sauna, poi c’è la pompa  d’acqua,  non il secchio, con un getto forte sul corpo  sudato per la reazione.
Tutto bene, si va a letto presto, siamo molto stanchi  dai giorni faticosi di grandi camminate trascorsi su al Nord e dobbiamo riprendere le forze.
A mezzanotte, o giù di lì, comincia la comica: il mio amico Modesto si sveglia con grande caldo, sente  quasi un fuoco sulla schiena, è tutto rosso per  uno sfogo cutaneo.
Dopo neanche 10 minuti lo sfogo passa ad una coscia, non più sulla schiena, poi ad un braccio e così via, su tutto il corpo per tutta la notte. A parer mio  i würstel hanno gli hanno fatto effetto, una forte intolleranza alimentare, (una volta a casa lo porterà ad assumere del cortisone per guarire).
Il mattino seguente si arriva a Lubecca, il tempo discendere con l’auto, passare la dogana e poi via, verso Monaco, verso casa.
È ormai sera, sono tante le ore di guida. Entrati in Italia attraverso il  Brennero, arriviamo a Vipiteno ed  entriamo in autostrada.
Parto velocemente. Nel frattempo Modesto, come sua abitudine, per tutto il tragitto da Lubecca  a Vipiteno, non aveva mai cessato di parlare, il che era anche un bene perché mi teneva sveglio.
Dopo poche centinaia di metri, viaggiavo già a 180 km orari, mi trovo improvvisamente davanti uno sbarramento della strada con una intersezione della stessa a sinistra.  Ho pochissimi metri per reagire.
È notte  e nel buio non m’ero accorto dei segnali,  anche perché distratto dalle chiacchiere, ma con  una manovra veloce  riesco a svoltare all’ultimo momento mandando il mio amico a sbattere sul finestrino di  lato.
Non vi dico quanta paura abbiamo preso, tanto che mi è rimasto impresso quell’attimo e lo rivedo oramai a più di trent’anni dopo, ogni volta che il mio pensiero va alla Finlandia.
L’aria  di casa mi sveglia, mi emoziona.
Non vedo l’ora di rivedere i miei figli, mia moglie … Nel contempo però  continuo a pensare ai giorni trascorsi, alle forti emozioni vissute: l’aurora, i boschi, la selvaggina, gli amici conosciuti, Jussi …
Già capisco che un altra passione si è impossessata del mio animo.
“Il mal di Finlandia” non è un male è un amore e non passerà più.
Una bellissima avventura poteva finire molto male, proprio alla sua fine.
Arrivederci alla prossima.

 Gilberto Frigo, l’uomo del Nord.