Dallas Buyers Club

Dallas Buyers Club1985: a Dallas, Ron, cowboy machissimo e omofobo che più non si potrebbe, prende l’AIDS. Rifiuta il verdetto di morte in 30 giorni, e apre la strada a cure alternative spezzando il rigido diktat delle case farmaceutiche.
Numerosi i motivi d’interesse di questo film (USA, ‘13). Il tema è tra i primi: erano anni, infatti, che non si parlava dell’AIDS. Sembrava che fossero scomparse, sia la malattia che le opere che ne parlassero.
Per la prima, sappiamo che non è così, anche se la prevenzione ha fatto moltissimo; per le seconde, è evidente che ai guru delle Majors è sembrato un tema che non ha richiamo, in termini di pubblico.
Ci sono voluti un gruppo di produttori indipendenti per farlo, anche supportati da due star che hanno creduto in questo film, tra l’altro sceneggiato da due esordienti (Craig Borten, MelisaWallack).
Quindi il doppio azzardo l’hanno fatto le star: Matthew McConaughey, soprattutto, e l’altro protagonista Jared Leto; comunque premiato dagli incassi: costato 6mln di dollari, ne ha incassati solo in USA più di 20.
McConaughey, attore associato ai ruolo di “figone”, ha deciso di cambiare radicalmente la sua presenza fisica, dimagrendo di ben 23 chili, per fare un credibile malato di Aids; Leto pure si è smunto, ma interpreta il transgender, divenuto suo amico, sempre in abiti e movenze femminili.
Insieme danno una prova d’attore incredibilmente efficace, degna dell’Oscar. Ed è comunque risaputo che le radicali trasformazioni fisiche, sostenute da attori o attrici glam, aprono le strade all’ambita statuetta: tanto è vero che  tutti e due stanno in Nomination per il 2013.
Ma è molto interessante l’angolo visuale assunto dal film sulla malattia: la trasformazione in un uomo che mai avrebbe pensato di prendere la sindrome “dei froci”.
La distruzione di un banale pregiudizio avviene all’interno di un sofferto percorso esistenziale, né gridato né pippato filosoficamente, ma “semplicemente” vissuto.
La forza e la rude bellezza di questo film vengono dall’assunzione di questo personaggio, probabilmente, in condizioni “normali”, un border-line o un sesso-dipendente, un po’ sullo squalliduccio, ad una considerazione di umanità profonda: proprio perché combatte, con tutte le sue forze, fino alla sconfitta, ma “in piedi”, con onore e dignità contro la malattia.
Per intenderci, non stiamo dalle parti di Philadelphia, dove una vittima remissiva -verso la malattia, non certo verso i suoi odiosi e ipocriti datori di lavoro -, e “condannata” esprime il suo flebile lamento.
Qui Ron – Matthew McConaughey combatte come su un toro, metafora spesso usata, perché lui sta nell’ambiente dei Rodei, contro il destino: e in sottotraccia, ma nemmeno tanto, contro quelli che ci speculavano, sulla malattia.
Il film si riferisce al Big Pharma, le potenti finanziarie farmaceutiche che avevano “convinto”  – capisce a me … – o condizionato la FDA, l’ente federale Usa per il farmaco, a usare la molecola ATZ come rimedio unico control’AIDS, opponendosi strenuamente ad altre terapie o sperimentazioni.
Ed su questa evidente soperchieria, allorché si rende conto che questa sostanza ammazza tutte le cellule del corpo umano, non solo le malate, ma anche le sane, che lui ingaggia la sua personale battaglia: crea un “club di compratori di Dallas”, questo è il senso del titolo, che fornisce ai suoi “soci” quei medicamenti proibiti dalla FDA.
Chiaramente è guerra aperta contro l’establishment ospedaliero-farmaceutico. Ma la drammaturgia e la regia del film, del quebecchese Jean-Marc Vallée, riescono sempre a essere concentrate omogeneamente e coerentemente sulla psicologia, magari un po’ cafonal, ma umana e forte del protagonista, che si ispira ad un personaggio realmente esistito, nonché sulla precisa  visualità ambientale e storica che gli fa da incisiva cornice.

Francesco “Ciccio” Capozzi