Il coraggio e la speranza delle donne: Malala Yousafzai

Malala YousafzaiNonostante le numerose versioni sull’origine di questa festività, la Giornata Internazionale della donna è la commemorazione dei diritti delle donne, dei soprusi e delle violenze da loro subite nella storia e che ancora oggi continuano a subire in diverse comunità del mondo.
Una prima celebrazione fu negli Stati Uniti nel 1909, poi negli anni successivi cominciò ad essere festeggiata anche in Europa e in Russia in giorni differenti fino al 1977 quando l’ONU ufficializzò la Festa delle donne scegliendo l’8 marzo.
Vessata dalla storia, la donna è stata messa ai margini della vita sociale, economica e politica già presso gli antichi Greci. Meglio andò alla matrona romana, mentre in Europa, nel Medioevo e poi tra Cinquecento e Seicento, in un clima di forte oscurantismo culturale di certo alimentato dalla retrograda mentalità cattolica del tempo, la donna è stata vista come strumento di perdizione, di allontanamento dalla fede, di seduzione diabolica. Molte di queste “creature del diavolo” furono tacciate di stregoneria e arse vive.
Dalla fine dell’Ottocento e poi nel corso del Novecento le lotte femministe hanno portato la donna a traguardi importanti, alla conquista di una certa parità di opportunità rispetto al genere maschile, ora nell’ambito delle professioni, ora in quello socio-politico, ma, malgrado ciò, ancora nel XXI secolo sopravvivono anche in Occidente i pregiudizi di quella società patriarcale otto-novecentesca. Purtroppo è devastante la situazione in quei Paesi del mondo sottosviluppati, quelli del cosiddetto Terzo Mondo, dove vige una cultura misogina dell’esclusione spesso dettata da un’errata interpretazione e lettura della religione.
È il caso del Medio Oriente islamico, dove la donna è sempre più oggetto di discriminazioni, emarginazione sociale, violenze, conseguenza dell’estremizzazione del codice etico-religioso della cultura musulmana.
Malala Yousafzai è l’emblema appassionato della condizione di tantissime giovani donne del Medio Oriente e della loro volontà di affermare i propri diritti. Premio Nobel per la Pace nell’ottobre del 2014, è la più giovane vincitrice del concorso con i suoi 17 anni.
Malala è un’attivista pakistana: all’età di soli 11 anni ha tenuto un blog curato per la BBC dove con uno pseudonimo e sottoforma di racconto diaristico documentava la dura condizione delle giovani pakistane del distretto dello Swat, a nord-Est del Pakistan, occupato militarmente dai talebani.
Il regime minacciava con un editto il divieto di frequentare le scuole alle bambine sopra i 10 anni: in un clima di sospensione e in balìa delle violenze talebane, la testimonianza di Malala è un importante documento della vita di molte sue coetanee.
Sin da subito le è stato riconosciuto il merito di essersi prodigata nella difesa del diritto all’istruzione delle donne, ma nell’ottobre 2012, dopo numerose minacce, è stata colpita alla testa da un uomo armato mentre tornava da scuola.
L’attenzione dei media di tutto il mondo tornava così su un caso tanto importante fino a quando nel luglio dell’anno successivo intervenne con un discorso al Palazzo di Vetro a New York e nello stesso anno fu candidata al Premio Nobel per poi vincerlo nel 2013.
Nel suo libro “Io sono Malala” la giovane attivista spiega come la sua lotta sia non soltanto per i diritti delle donne ma anche per il diritto all’istruzione ancora negato a molti ragazzi e ragazze di tutto il mondo.
«Voglio raccontare la mia storia – afferma Malala – ma sarà anche la storia di 61 milioni di bambini che non possono ottenere l’educazione».
Malala è dunque il simbolo più recente della vita di milioni di donne che ancora vivono nella totale disuguaglianza dei sessi, delle opportunità, dei diritti, delle prospettive e della lotta che ogni giorno affrontano per andare avanti: non solo per le donne Pakistane o dei Paesi del Medio Oriente, ma per tutte quelle donne ancora soggette alle volontà familiari, costrette a sposare questo o quell’uomo scelto dal padre, per tutte quelle donne che ogni giorno vengono brutalmente stuprate «perché scollate e provocanti», che subiscono violenze domestiche e sono costrette a raccontare agli altri di esser cadute.
Per le bambine del Sud-Est Asiatico “merce” del turismo del sesso, per gli abusi, per gli stupri di piccole indiane e africane che restano impuniti.
Solo nell’ultima settimana ci sono stati due casi emblematici: in India un uomo accusato per lo stupro di una bambina è stato linciato dalla folla, mentre nel Somaliland, a nord dell’Etiopia, una bambina di 11 anni si è data fuoco dopo l’assoluzione del suo stupratore.
Ma Malala è anche simbolo di coraggio e speranza: il coraggio di tante donne in una vita tra rassegnazione e impotenza e la speranza di essere riconosciute nella propria dignità umana.

Francesco Longobardi