Orléans: Marithé lavora al Reclutamento e Formazione di licenziati; incontra Carole che è moglie, infelice e in cerca di indipendenza, di un famoso cuoco. Marithé se ne fa professionalmente molto carico dopo che ha conosciuto il marito …
Ecco una spumeggiante commedia francese (2014), scritta e diretta da un’attrice, Anne Le Ny, presente anche qui. Il film si regge sulla partitura composta sulle due attrici protagoniste, mature ed estremamente versatili, di grande fascino: con quel tipo di presenza sulla scena, leggero e preciso nelle sue articolazioni, che caratterizza la commedia francese. Sono Emmanuelle Devos, la moglie del grande Chef – all’inizio sapientemente lunare e caratterialmente incerta, poi man mano sempre più sicura e aggressiva – e la sua Pigmalione, Karin Viard, dalla forte simpatia, ma molto misurata, e pimpante presenza scenica.
Tra le due è la Viard che ha più spesso manifestato la sua propensione per ruoli da commedia: vi sono tracce, tenui, ma avvertibili, di come sappia trovare movimenti anche da farsa, con spostamenti anche veloci della propria maschera facciale.
Ma la regista, alla sua prima prova di direzione e scrittura, da attrice navigata ha saputo trovare il ritmo giusto nel miscelare gli umori e le presenze di queste raffinate professioniste.
A differenza di molta commedia italiana, quella francese non si affida a maschere o ruoli predefiniti, spesso tirati da fortunate gag televisive, e portate con conclusive e becere impuntature dialettali: ma alla costruzione di storie che sviluppano situazioni psicologiche e caratteriali.
Ciò ne permette la diffusione anche all’estero. E non è detto che siano narrazioni metropolitane, con ambientazioni globalizzanti: possono essere, come in questo caso, perfino relegate in centri minori, se non provinciali, come Orléans. Anzi, la limitatezza dello sguardo d’insieme permette una più accorta concentrazione sulle figure centrali.
Di fatto è una lezione per il cinema italiano: noi, con la grande Commedia all’Italiana degli anni 60 e 70, abbiamo portato oltralpe la lezione e il gusto per le minute realtà sociali, su cui sviluppare l’attenzione sia ai fattori collettivi che umani più generali e universali.
Qui l’aspetto di critica sociale sembra meno preminente: le disoccupate sono operaie, tratteggiate con simpatia politica; mentre, in buona sostanza, la moglie del cuoco è una borghesuccia insoddisfatta.
Però si vede chiaramente che lo Chef ha faticato non poco per mettere insieme la sua invidiabile posizione. E non sono nemmeno solo di squallido arrivismo economico le motivazioni che lo spingono ad allargare il suo business e il successo che gli arride. E, in generale, è un personaggio tratteggiato con luci e ombre: ma prevalgono gli aspetti di umanità e di simpatia.
L’attore, Roschdy Zem, francese, ma di origini maghrebine, ne dà una macha ma complessa caratterizzazione, non priva di sensibilità e sfumature. È un attore spesso usato nei film d’azione: ma qui si rivela perfettamente all’altezza delle due attrici.
La regista, artista seriamente colta come spesso avviene nel cinema francese (e non in quello italiano), ha dosato lo sviluppo dei personaggi non solo senza alcun moralismo preconcetto, nuovo o vecchio che sia, ma calibrando attentamente le varie componenti psicologiche.
Talune anche non del tutto edificanti. Ma le ha poste in una dinamicità molto viva, per cui ciò che risalta è la complessa umanità e non prevedibilità delle azioni dei suoi personaggi. Che appaiono come dei personaggi di evidente matrice letteraria, pur in un contesto assolutamente cinematografico: mi hanno fatto pensare a dei ritratti di Stendhal, pure ambientati in provincia.
In questa chiave un lavoro di vaglia lo ha fatto lo scenografo, Yves Brover-Rabinovici, che ha offerto una lettura della città in cui l’essenzialità della sue linee, mette in evidenza l’aspetto di realtà non indifferente, in cui è possibile fare degli incontri “umani” e coltivarli.
Francesco “Ciccio” Capozzi