Giuseppe Garibaldi, l’eroe nazionale del risorgimento ebbe una sua vita parallela e a tratti misteriosa. Nato nel 1807 Nizza, all’epoca territorio appartenente al Regno di Sardegna, fin da giovane aderì a Carboneria e alla Giovane Italia di Giuseppe Mazzini.
Accusato di cospirazione politica dal Regno di Sardegna riparò nel 1834 in America del Sud. Si arruolò tra i rivoluzionari del Brasile e combattè con la flottiglia della provincia di Entre Rios a Gualeguay contro i governativi.
In Brasile Garibaldi nel 1839 conobbe a Laguna bellissima moglie Anita. Nel 1841 fu a fianco dei i partigiani di Montevideo contro l’invasore argentino per l’indipendenza uruguayana.
Nel 1844 entrò in massoneria nella loggia Asilo de la Vertude e in Uruguay nel 1846 passò in forza a quella Amici de la Patria.
Nel 1848 fu richiamato in patria dal governo provvisorio lombardo per comandare i volontari contro gli austriaci. Nel 1849 lo fu dal governo rivoluzionario repubblicano di Roma per prendere il comando dell’esercito contro austriaci, francesi e borbonici di Spagna e di Napoli che assediavano la futura capitale.
Ben accolto da massoni, carbonari e mazziniani italiani, con poche milizie repubblicane da Roma riparò a Venezia, inseguito da francesi e austriaci. Durante la ritirata la giovane moglie Anita, che era sempre al suo fianco, morì nelle paludi toscane.
Rifugiatosi a San Marino, fu di nuovo esule a Londra, dove incontrò Giuseppe Mazzini.
Nel 1851 s’imbarcò per gli U.S.A., dove visse a Clifford, stato di New York. Qui lavorò come umile fabbricante di candele in una locale cereria fino al 1851.
In questo periodo conobbe l’italiano Antonio Meucci, inventore del telefono. Introdotto da questi, presenziò col grado di Maestro massone ai lavori della Loggia Tompkins n. 471 di Stapleton, New York.
Nel 1859 venne poi contattato dagli agenti piemontesi del primo ministro Cavour, fondatore della Loggia Ausonia di Torino, che l’invitarono a rientrare in patria.
Ebbe dunque l’incarico di comando come generale di divisione dei Cacciatori delle Alpi, volontari norditaliani che combattevano con successo una difficile guerriglia contro gli austriaci tra Lombardia e Veneto, affrontando 80mila tirolesi filoaustriaci.
Garibaldi fu sempre generoso e leale con gli avversari in battaglia e in specie coi prigionieri austriaci e tirolesi.
Fu poi richiamato da Cavour stesso, che lo incoraggiò segretamente a comandare la spedizione di mille volontari che partì dal porto di Quarto di Genova contro il Regno delle Due Sicilie.
I mille volontari salparono con due navi della Compagnia Rubbattino, e grazie ai maneggi massonici e piemontesi sbarcarono tranquillamente a Marsala in Sicilia protetti dalle navi mercantili inglesi in rada. Lo sbarco dell’11maggio 1860 fu agevolato dalla complicità della mafia, e in ultimo dal favore della massoneria egizia del Memphis di Palermo.
La loggia era stata fondata nell’isola dagli inglesi sin dal 1848 era ed molto attiva tra borghesi, nobili, militari e mafiosi. Svolgeva un’attività rivoluzionaria, sobillata da agenti segreti piemontesi che facevano leva sull’odio separatista isolano nei confronti del governo borbonico.
Garibaldi e i suoi uomini nell’isola trovarono il terreno ulteriormente spianato dal tradimento dello Stato Maggiore borbonico di Palermo ma anche di alcune parti deviate della flotta borbonica di stanza a Napoli.
I garibaldini vinsero facilmente le battaglie, nonostante il valore delle truppe di linea borboniche. La perfetta armonia, rigidità di manovre e di zelo suscitarono però in Garibaldi grande ammirazione, nonostante i numerosi inviti rivolti ai soldati borbonici a disertare a Palermo, Milazzo, Messina e Reggio Calabria.
Garibaldi fu ancora favorito dalla massoneria calabrese e lucana ruotante intorno all’avvocato e scrittore lucano Giacinto Albini. Da stratega Garibaldi si affrettò dunque a iscrivere i suoi ufficiali alle locali Logge egizie del Memphis.
Intanto il suo esercito veniva rinforzato da fucili e cannoni provenienti da vari Paesi europei. Anche le sue truppe vennero rimpinguate al punto di contare 25mila armati in Sicilia e altri 20mila in Calabria e Basilicata. Volontari regolari addestrati militarmente, ufficialmente congedati, provenienti dagli eserciti inglesi, americani e piemontesi affluivano a migliaia nella fila garibaldine.
Intanto, la Loggia massonica egizia di Napoli del Misraim messasi in sonno per prudenza il 16 maggio del 1860, si risvegliò, operando accanto a quella scozzese fondata dal Cavour, appoggiarono Giuseppe Garibaldi. La sua entrata a Napoli del 7 settembre 1860 venne ulteriormente facilitata dalla camorra di Salvatore De Crescenzo. L’organizzazione malavitosa contava 30mila affiliati, ed agiva con il beneplacito del ministro di Polizia e Interni Liborio Romano, nonché della Guardia Nazionale.
Inoltre molti ufficiali della flotta vennero convinti a tradire da agenti segreti inglesi e piemontesi. Arrivarono a Napoli 3000 soldati del Regno di Sardegna; insieme a loro Garibaldi attaccò le truppe borboniche sul Volturno e fu battuto parzialmente a Caiazzo il 22 settembre 1860, dove ebbe una vittoria di Pirro – contò più di mille tra morti e feriti e 700 prigionieri – sull’esercito borbonico costringendolo a ripiegare su Capua e Gaeta.
Intanto le truppe piemontesi schierandosi a favore dei massoni abruzzesi diedero inizio al massacro delle popolazioni filoborboniche di Abruzzo e Molise e assaltavano alle spalle i borbonici di Capua.
Il 26 ottobre 1860 il re piemontese Vittorio Emanuele incontrò Garibaldi a Teano ordinandogli di fermare la sua avanzata su Roma. Garibaldi obbedì a quelli che in realtà erano ordini militari e massonici e rientrò trionfalmente a Napoli in compagnia di Vittorio Emanuele II.
L’esercito garibaldino, circa 30mila unità, venne sciolto. 12mila passarono nell’esercito italiano, 10mila nella Guardia Nazionale, 3000 emigrarono negli U.S.A. andando ad ingrossare le fila nordiste durante la guerra civile.
4000 disperati del sud, già garibaldini, andarono a combattere fino al 1864 per i Borbone Due Sicilie tra i briganti e sbandati borbonici, tra cui il famoso caporale borbonico, anch’egli ex garibaldino, Carmine Crocco di Rionero in Vulture, provincia di Potenza.
il 7 novembre 1861, pur salutato da ambienti liberali e massonici egizi e scozzesi di Napoli, partì per la sua isola di Capreonra c solo di due rotoli di stoccafisso e merluzzo secco e poche lire di compenso, usato e mal ripagato dai piemontesi.
Ecco come il Sud finì nelle grinfie degli invasori. Ecco come cominciò la mattanza mai finita del Meridione…
Intanto Garibaldi, anticlericale fino al’ultimo tentò di marciare di nuovo su Roma ma fu fermato. Ferito a un piede, arrestato dai soldati piemontesi sull’Aspromonte 1862 fu spedito sotto vigilanza a Caprera.
Giuseppe Garibaldi, l’eroe del Risorgimento dall’aura romantica al soldo dei piemontesi e massoni, racimolò comunque qualche onore. Per riconoscenza il Supremo Consiglio di Palermo lo elesse nel 1863 Gran Commendatore del rito antico e accettato di Palermo – non obbediente a Torino. Il Grande Oriente egizio del Memphis di Palermo nel 1862 lo aveva già riconosciuto al grado supremo egizio.
Contattato da agenti U.S.A., il mitico eroe dei Due Mondi rifiutò il grado di generale delle truppe nordiste dell’Unione nella guerra civile americana.
Nel 1864 in Italia fu eletto Gran Maestro del Grande Oriente in qualità di generale in pensione.
È datata 11 giugno del 1867 una sua lettera scritta ai massoni egizi di Palermo in cui Garibaldi esprimeva il suo credo panteistico e gnostico di Dio. L’idea era simile a quella mazziniana. Plaudì anche al concilio antipapale massonico egizio del Misraim di Napoli diretto dal barone Giuseppe Ricciardi, deputato al parlamento di Firenze, e dall’ex garibaldino calabrese Domenico Anghera, entrambi capi massonici della famosa Loggia Sebezia fondata il 1 agosto 1861, di cui faceva parte il filogaribadino avvocato napoletano Giustiniano Lebano, con il quale tenne una fitta corrispondenza epistolare.
Nel 1867 conobbe la nobildonna russa Elena Blavatsky, massone egizia del Memphis di Londra dal 1850.
Nel 1867 Garibaldi, mai domo, tentò di scardinare il governo pontificio, finendo di nuovo in confino a Caprera.
Deluso dal governo italiano unitario, scandalizzato dalla corruzione italiana e soprattutto dalle fucilazioni di massa di ex soldati borbonici, i cosiddetti briganti, nel 1870 si allontanò dall’Italia unita per andare a combattere con la Comune di Parigi contro gli invasori tedeschi. Si distinse al comando dei volontari francesi, elogiato e sostenuto dalla massoneria locale.
Nel 1872 venne insignito del grado di Gran Maestro onorario a vita del Grande Oriente scozzese d’Italia.
Su richiesta congiunta dai massoni di Palermo e di Napoli, capitanati da Enrico Pessina e da Giustiniano Lebano, nel 1881 fu nominato Gran Maestro Ierofante mondiale della massoneria unita egiziana di Misraim Memphis, tra i saluti e gli elogi scritti da Giosuè Carducci.
Giuseppe Garibaldi rimase sempre umile. Soldato sempre in buona fede, idealista tradito dai maneggi di altri Paesi europei, soprattutto da quelli prima piemontesi e poi unitari italiani … Un’Italia, sua patria, che gli intitolò strade, piazze, scuole, navi da guerra, caserme …
Garibaldi, l’eroe, l’idealista, fu semplicemente un soldato, stimato personalmente anche dai suoi avversari perché nemico leale e cavalleresco sempre, vittima sacrificale di turpi azioni diplomatiche internazionali.
Michele Di Iorio