I sanfedisti ebbero il rinforzo dei 1800 fucilieri da montagna del tenente colonnello De Filippis e attaccarono per la terza colta, ma i repubblicani diedero fuoco alle polveri del forte Vigliena facendolo saltare in aria:149 morti in totale tra i repubblicani, più 100 soldati russi e 300 calabresi che li stavano attaccando.
La flottiglia da guerra repubblicana, uscita dal porto del Granatello di Portici, al comando dell’ammiraglio Francesco Caracciolo, mosse contro la flotta inglese che proveniva dal canale di Procida, forte di una squadra di fregate e corvette, del vascello Toubrige al comando del capitano di vascello James Foote e della fregata siciliana borbonica Cerere.
Due cannoniere repubblicane e la batteria galleggiante del Caracciolo attaccarono a largo di Portici in vista del ponte della Maddalena le corvette inglesi e la fregata Sirena, respingendole e tentando l’abbordaggio, ma con l’arrivo di altre navi inglesi e della fregata Cerere, la flottiglia repubblicana, al comando del De Simone di Portici, aiutante dell’ammiraglio Caracciolo, pur allargandosi a ventaglio a sinistra verso Procida perse in combattimento 5 marinai e ripiegò prontamente verso il porto di Napoli.
I sanfedisti, già attestati nella batteria di Pietrarsa, la Reggia, il forte del Granatello e sul molo militare, nella notte andarono all’assalto del ponte della Maddalena: 120 guardie civiche fuggirono senza combattere e venne catturato il loro capitano Luigi Bozzaotra e ucciso in combattimento il vecchio poeta Luigi Serio con tre suoi nipoti. Contemporaneamente si arrese anche la guarnigione di Vincenzo Durante del forte del Carmine.
Un colpo di cannone sparato da Sant’Elmo diede l’allarme generale ai repubblicani, seguito all’alba da altri tre, come convenuto: era il segnale d’attacco per Schipani che da Torre Annunziata andò ad occupare tranquillamente Torre del Greco, mettendo poi in fuga i monarchici di Resìna a colpi di cannone e di moschetto.
Avanzarono dunque su Portici, pur tra la feroce resistenza dei resinesi davanti le chiese di Santa Maria di Pugliano e di Sant’Agostino e a via Cecere; entrarono a Portici dal vico di Mare senza troppe difficoltà, puntando sulla Reggia, e poi fino all’epitaffio dell’attuale corso Garibaldi dove erano accampati 800 sandefisti del De Cesari e 1000 ex galeotti di Panedigrano, giunti aggirando le truppe repubblicane.
I giacobini intimarono loro di arrendersi, forti della milizia di 80 calabresi del capitano Spinelli asserragliati nella Reggia, ma i soldati comando del maggiore Leone di Iorio di San Barbato ammainarono la bandiera repubblicana innalzando quella borbonica. Cominciarono a sparare sui reparti repubblicani davanti Palazzo reale al grido di Viv’o Rre! Abbasso giacobini traditori e francisi!
Dopo due scariche di fucileria s’avventarono sugli uomini di Schipani che manovravano a tenaglia davanti la chiesa parrocchiale di San Ciro e si lanciarono alla baionetta creando scompiglio tra le fila repubblicane. Schipani ordinò alla sua artiglieria di sparare; una cannonata danneggio la statua equestre romana di Marco Nonio Balbo decapitandola e abbattendo una bandiera borbonica. 403 soldati repubblicani morti o feriti in piazza e 201 morti o feriti davanti la reggia: questo il bilancio.
Sebbene ai 1250 soldati rimasti allo Schipani si fossero aggiunti 80 civici e 200 cittadini armati porticesi filorepubblicani che sparavano dalle loro case, gettando sui sanfedisti mobilio, tegole, vasi di geranio, acqua bollente e quant’altro, l’esito della battaglia volse a favore dei lealisti.
Per due volte Schipani aveva comandato la carica alla baionetta in piazza San Ciro ma poi nel tardo pomeriggio del 14 aveva dovuto ordinare la ritirata su Castellamare di Stabia per due diverse strade. Dopo un combattimento feroce a Resina, dove perse altri 130 soldati, parte della truppa superstite si diresse verso San Giorgio e Ponticelli al comando del maggiore Anton Maria Campana, barone e massone porticese, con circa 500 repubblicani.
Campana trovò in rivolta la popolazione di Barra e si gettò verso Ponticelli, e con una compagnia di artiglieria da campagna repubblicana del capitano Pietro Colletta fuggita da Pietrarsa e uniti spararono con i moschetti sui ribelli ponticellesi. Sebbene minacciassero di bruciare gli archivi del Municipio e di saccheggiare e bruciare le case, malgrado il sequestro della statua di San Rocco della chiesa omonima e l’occupazione della parrocchia di Santa Maria la Neve, ebbero l peggio. Ritirarono dunque ordinatamente sul ponte della Maddalena, ove vennero catturati quasi tutti dl Durante e rinchiusi nei Granili di San Giovanni a Teduccio.
Schipani e gli altri 70 si diressero verso Castellamare, perdendo altri due militari nell’imboscata di Sant’Antonio di Torre del Greco; 50 che si arresero chiedendo di passare con il cardinale Ruffo.
Schipani cercò allora di imbarcarsi su pescherecci in direzione di Napoli ma venne catturato insieme ai pochi uomini rimastigli, mentre il porticese Giuliano De Fazio, marchese e maggiore repubblicano già comandante della guarnigione di Castellamare, venne catturato dai sanfedisti che avanzavano da sud.
Una trentina di soldati dello Schipani al comando del capitano De Nila di Portici vennero fatti prigionieri mentre tentavano di fuggire travestiti da popolani.
Il 16 giugno 89 soldati repubblicani furono fucilati ai Granili; gli altri accampati davanti il forte del Carmine vennero assaliti a colpi di forche, spadoni, picche, zappe, badili, baionette, pugnali dai popolani inferociti; dei cinquanta che erano scampati alla morte il giorno dopo furono fucilati in piazza Mercato.
Degli 800 repubblicani rinchiusi nella Reggia dai sandefisti, 300 vennero fucilati per le strade di Portici due giorni dopo. Altri 40 vennero impiccati due giorni dopo a piazza San Pasquale e 150 sterminati al Granatello. Ancora altri 200 decapitati in piazza San Ciro da un macellaio gobbo; si dice che le teste mozzate venissero poi rotolate come bocce sulla discesa di via Cecere e su quella di Sant’Antonio.
Gli ultimi prigionieri di Portici, 160 uomini, vennero rinchiusi nel forte del Granatello; 80 vennero massacrati in tre giorni ai primi di agosto dai sandefisti cui erano stati consegnati; gli altri, i fortunati in attesa di giudizio, vennero in gran parte liberati dai francesi nel 1806.
I corpi degli uccisi nella terribile battaglia di Portici di ambo le parti vennero sepolti nell’ipogeo sotto la navata della Cappella di San Ciro dall’allora parroco, don Nicola Nocerino, grande cultore e cronista della storia porticese, che riportò: «Ho scritto i morti all’infretta ed alla rinfusa per non avere né forza, né spirito, né tempo, tanto erano le fatiche ed il timore, essendosi combattuto in questa nostra piazza a maniera di guerra irregolare».
Nel 1925 l’enorme cumulo dei miseri resti venne rinvenuto dal sacerdote don Francesco Formicola e spostate nella terrasanta del cimitero di Portici.
Michele Di Iorio
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