Stamattina mi è capitato un articolo tra le mani dove, finalmente, viene ammesso che il Mezzogiorno d’Italia è stato fortemente danneggiato e depauperato delle sue ricchezze a causa delle vicende storiche legate all’Unità d’Italia.
A sostenerlo non sono i soliti neoborbonici o meridionalisti che lo urlano da sempre, ma persone qualificate, professori, che certificano carte alla mano quanto per decenni gran parte del Sud ha ribadito con forza. Uno studio pubblicato nel 2010 da Bankitalia – non un qualsiasi sprovveduto insomma – a firma di Stefano Fenoaltea e Carlo Ciccarelli, docenti di Economia all’Università di Tor Vergata, certifica la condizione di inferiorità in cui è piombato il Meridione dopo il 1861.
Dati, numeri, statistiche che confermano quanto sia andato a rilento il processo di industrializzazione da Roma in giù, inversamente proporzionale a quanto registratosi al Nord.
Non voglio fare la solita lagna del meridionale che accusa il Nord del proprio malessere socio-abientale, ed ora rivendica chissà quali improbabili risarcimenti. Piuttosto, penso che sia compito della politica e degli intellettuali rivedere tutto quello che è realmente accaduto.
Il processo di industrializzazione dall’unità dell’Italia in poi, egoisticamente ha portato a sviluppare una parte dell’Italia, il Nord, a sfavore di un’altra parte dell’Italia, il Sud.
In questo periodo di crisi del capitalismo industriale, dove tutte le certezze sembrano essere demolite, devono essere riviste profondamente tutte le priorità e considerare preziose risorse del Paese, cioè quello che finora è stato messo in secondo piano.
Probabilmente la vera risorsa della nostra nazione va ricercata altrove, va ricercata nelle identità dei luoghi e delle culture che la compongono. E il Paese, l’Italia, deve essere considerato come un unico grande, prezioso, puzzle, composto da straordinarie realtà ambientali e culturali.
Oggi è il 31 dicembre del 2013, l’ultimo giorno di un anno terribile per la nostra nazione. Un anno che ha visto sprofondare in un vortice l’economia del nostro Paese. Imprese piccole e grandi che chiudono ogni giorno, malessere sociale, razzismo diffuso, politici e potenti affamati di potere e di denaro.
Valori fondamentali sgretolati da stili di vita deviati da falsi modelli sociali. Una crisi che ormai stiamo vivendo da qualche anno e che in quest’ultimo anno sembra essere viva, come un parassita che succhia sangue dalla pelle di ognuno di noi.
A prescindere da tutte le cause della crisi, sarebbe opportuno iniziare una lunga e seria riflessione su cosa seriamente puntare per uscirne, e far sì che per i cittadini si prospetti nel proprio futuro una vita felice.
Io credo che l’unica alternativa che abbiamo in Italia, l’unica, sia quella di concepire il nostro Paese come una grandissima potenzialità a livello mondiale. Ma non una potenzialità industriale, come si è voluto in questi ultimi 150 anni, ma incominciare seriamente a vedere l’Italia intera come un potenziale serbatoio di Bellezza.
La Bellezza è la vera vocazione della nostra nazione.
La bellezza della poesia, la bellezza della natura, La bellezza dei luoghi, la bellezza dei centri urbani, piccoli e grandi, la bellezza della lingua, parlata e cantata, la bellezza del mare come della montagna, dei centri delle città come dei quartieri periferici, dove ci sono realtà associative che tra mille difficoltà cercano di dare vita a quelle terre di confine, la bellezza dei dialetti, dei musei, dell’arte, del teatro, della cultura in genere.
Bisogna puntare sulla valorizzazione delle diversità, far emergere tutte quelle creatività che vivono nel sommerso, nell’anonimato e che sono la vera risorsa, ricchezza inespressa e non sfruttata del nostro Paese.
Io sono convinto che l’Italia non può essere mai più competitiva sul piano industriale con altre nazioni, in particolare con quelle emergenti, come l’India e la Cina. Queste nazioni non le dobbiamo vedere come potenziali concorrenti, ma piuttosto come “supporto tecnico”.
Potrebbero fornire, tutto ciò che rappresenta la pesantezza, come nell’informatica è l’hardware, ma il software, la leggerezza del pensiero, deve essere la nostra vera risorsa, il prodotto da valorizzare, sviluppare, esportare, cui dovrebbero concentrarsi tutte le attenzioni della nostra politica e della nostra economia.
Solo percorrendo la strada della valorizzazione e della nostra risorsa storicamente più preziosa, l’Italia, tutta, senza alcuna distinzione tra Nord e Sud, potrebbe ritornare ad essere una delle potenze mondiali, se non la più potente.
Forse è proprio vero quello che disse il principe di Dostoevskij: Solo la bellezza ci può salvare.
Tanti auguri di Buon Anno a tutti.
Mario Scippa