50 anni di Urania, la collana di fantascienza

In occasione dei 50 anni della Collana Urania, edizioni Mondadori, ci è gradito pubblicare questa intervista postuma, di poco precedente alla sua dipartita, al grande illustratore Carolus Adrianus Maria Thole, nella sua splendida casa con vista sul Lago Maggiore.
Nato in Olanda, a Bussum, nel 1914, morto a Cannobio, Verbania, nel 2000, considerato uno dei maestri dell’illustrazione contemporanea, tutti lo conosciamo col nome di Karel Thole.
«Si, subentrai all’altro illustratore, quel nazista di Kurt Caesar nel 1959, pur se vi erano stati altri in mezzo; ma ebbi il contratto l’anno successivo. La Collana era nata il 10 ottobre del 1952: era la parte alterna di un’altra Urania, Rivista di Fantascienza, che uscì solo per pochi numeri (14), e che pubblicava racconti  e interviste: ma ebbe vita grama fin dall’inizio, e scomparve del tutto.
Mentre I Romanzi di U, continuarono la loro esistenza, mantenendo la cadenza prima decadaria, per poco, poi quindicinale, per molto tempo.
Poi, tornò settimanale dal ‘79 all’81; poi quindicinale; dal 2004 è mensile.
Mi resi conto che il suo creatore, Giorgio Monicelli, imparentato coi Mondadori e fratellastro maggiore di Mario, il regista, era a malapena tollerato nella Casa Editrice.
Eppure, fu lui ad avere l’idea editoriale, oggi diremmo di massa:, della SciFi, o, come dite voi, della Fantascienza: aveva già lavorato con l’altra collana Cosmo di Milano. I tempi erano maturi perché anche in Italia, come in tutto il mondo anglosassone e in Francia,si pubblicasse di fantascienza a grandi tirature: nel complesso, i risultati furono all’altezza.
Fu lui che mi notò e mi scelse. Però, all’inizio, dovevo fare “come il Kaiser”: tra l’altro, era proprio questo il nome di Kurt, l’autore che aveva meglio caratterizzato la novità nel senso del realismo e dell’epicità della prima SF avventurosa…”
E, difatti , mi domando come era possibile che il suo surrealismo onirico, un po’ fuori dagli schemi convivesse con quello stile realistico, rassicurante  e ipercromatico del Caesar …
Non fu una cosa semplice, farlo emergere. Da una parte Giorgio avrebbe voluto una resa più personale; dall’altra la Direzione editoriale m’imponeva un certo stile. Comunque, i tempi non mi sembravano maturi. Poi, piano piano …
Anche grazie all’evoluzione della fantascienza e a quella dei gusti del pubblico…
Ma non fu grazie alla Mondadori: o, se lo fu, fu solo in parte.
Negli anni ‘60-‘70(1961-1979) ci fu il fenomeno di Galassia, una collana di romanzi mensili realizzata da una piccola e sconosciuta  Casa Editrice, la Tribuna  di Piacenza, tra l’altro specializzata in pubblicazioni giuridiche.
Questa proponeva testi in traduzioni molto accurate e integrali: alcuni suoi curatori sono divenuti validi scrittori, come Roberta Rambelli e Ugo Malaguti.
Questa spinse per la Fantascienza più impegnata e sociologica, ed ebbe un vasto successo tra i pubblici giovanili. E non a caso, solo dopo la “dipartita” di Galassia, Urania ebbe le tirature più alte.
Giorgio fu cacciato nel ‘61: subentrò per poco una della redazione, Andreina  Negretti, e poi Carlo Freccero, dal ‘64, insieme a Franco Lucentini .
‘Sti due teorizzarono con la più grande faccia tosta,  in modo palese, ciò per cui Giorgio fu cacciato, essendosi opposto: il taglio, lo scempio immondo dei testi originali.
Con me furono sempre carini: tra l’altro una delle mie più belle copertine la feci per loro: per un’antologia, la prima e la peggiore, di H. Ph. Lovecraft ….
Ma perché ce l’ha con loro? Anche lei per difendere l’integrità degli autori?
«Anche, ma non principalmente : per mantenere i ritmi elevati di lavoro imposti dalla Casa, dovevo leggere i testi prima che fossero tradotti: perciò, prendevo spunti  dalla lettura degli originali, che poi riportavo in grafica.
Capitava  molto spesso che non solo brani isolati, ma  interi capitoli saltavano: e quindi non si capiva perché avessi messo in evidenza quell’elemento, piuttosto che l’altro .
Frequentemente non mi avvertivano nemmeno dei cambiamenti e mi era impossibile ritornarci su: ma ad essere criticato ero io, non i cosiddetti curatori: un macello…
La cosa migliorò un po’, ma poco, con la direzione di Gianni Montanari (1985) e, dopo di lui, Giuseppe Lippi (95), in realtà due studiosi di letteratura sf »
E perché avveniva ciò?
«Come perché? Per risparmiare spazi stampati e carta, che erano tutti predefiniti se volevano entrare nei prezzi stabiliti  e farci profitti, l’unica legge che per loro contava…
Del resto, anche per me fu lo stesso… »e qui il tono di voce si fa più flebile e sofferto, « Non so come, seppero dei miei problemi alla vista, prima ancora che io stesso ne fossi del tutto informato, come nel film Philadelphia.
E, molto stranamente mi cambiarono la forma del contratto, camuffandolo con un piccolo aumento .
Da “fisso” divenni “collaboratore”: poi, piano piano, col suo lento ma inarrestabile degenerare della malattia fui  costretto a ridurre la produzione.
Infine, mi misero ipocritamente nella condizione di dovermene andare.
Fu per me molto doloroso. Milano e la Mondadori erano per la seconda patria, la mia casa…»
Mentre la sua voce si spegne, il suo sguardo vuoto si posa, in cerca di pace, sulle onde del lago, che egli “sente” senza poter vedere, perché completamente cieco.
(Fonte foto: web)

Francesco “Ciccio” Capozzi