Il film: Run all night – Una notte per sopravvivere

run_all_nightJimmy Conlon è un ex killer, distrutto dai rimorsi. L’unico amico è il suo ex capo Shawn, anch’egli fortemente critico sul proprio passato. Ma Jimmy è costretto a ritornare in pista, contro tutti, quando suo figlio deve difendersi dal figlio del suo ex boss …
Un divo mansueto, così è stato definito l’attore Liam Neeson, star indiscussa di questo film (USA, ‘15). «I suoi personaggi sono uomini normali in circostanze straordinarie», dice di lui il regista del film, il catalano JaumeCollet-Serra. «Non erige barriere tra sé e il pubblico», afferma il produttore Joel Silver.
E fu Luc Besson a intuire per primo,in “Taken”  (2008) di cui fu produttore, le qualità, diciamo così, meno appariscenti di quest’attore,in spericolati e riusciti ruoli d‘azione, per un cinema più popolare. Neeson, infatti, fino a quel momento era tipizzato come drammatico di matrice “alta”. Ma, attenzione! Proprio qui si cela uno di quei “misteri” che caratterizzano le capacità, direi quasi diaboliche, di Hollywood di creare forme di immaginario collettivo, sotto le spoglie di “cinema d’azione”, fatto apposta per “fare soldi”…
Liam Neeson, irlandese doc, dalla faccia scavata, che  « … di per sé è una narrazione cinematografica” -come è stato detto-, e ben caratterizzata, nonché dalla presenza e prestanza fisica ben rilevata», è attore dalle mille sfumature: come si vide in “Schindler’s list”(‘93), che gli diede l’Oscar come miglior attore.
In questo nuovo corso, rappresenta il tipo che vorrebbe “essere lasciato in pace”, perché ha troppi conti in sospeso con la vita; ma poi è “costretto” a riprendere “armi e cappello” che aveva pensato di avere definitivamente “attaccato al chiodo”, per poi diventare assolutamente letale.
Lui ne dà una raffigurazione più intimista e sofferta, così come nella sua esistenza reale, ha inciso il dolore per la morte della moglie, bella, amorevole e intelligente, Natasha Richardson. Mettiamogli vicino un comprimario di lusso, l’attore Ed Harris, un’altra “faccia parlante” del cinema USA, ma anche splendido performer, che, dovunque sia e in qualunque ruolo, è sempre “all’altezza”, per solidità e ricchezza di espressioni.
Costruiamo su di loro una storia, ben scritta, vivace e movimentata, ma articolata in opportuni e mirati passaggi psicologici (lo script del giovane Brian Ingelsby). Affidiamo il tutto a un regista che, pur essendo europeo, si è formato in USA: ma che, senza essere un cinefilo pippeur, è in grado di cogliere e valorizzare le differenze e le specificità dei ritmi narrativi legati ai vari generi: “usandoli” con grande professionalità ed efficacia. Senza stare lì a riguardarseli e citarli compiaciutamente, come fanno molti che “tarantinianamente”, credono di essere estremamente intellettuali. Mentre invece sono solo banalmente impotenti.
Così, a questo regista di Barcellona, nato 41 anni fa, si deve il remake di “La maschera di cera” (‘05) e l’inquietante e riuscito horror “Orphan” (‘09), che lo lanciò definitivamente. Ed ecco che abbiamo un film “presente”, che tiene narrativamente “botta”: che non si fa, cioè, catalogare tra quelli che scorrono senza lasciar traccia emotivamente, ma che affrontano tematiche psicologiche, come la colpa, la responsabilità e le difficoltà dei rapporti con i figli.
Difficoltà che non sono solo genericamente intergenerazionali … ma anche … che affondano nelle “pedagogie” ambientali: in cui i processi di formazione sono trascinamenti passivi di cattive pratiche. Che diventano ineludibili e ineluttabili, se non vengono soggettivamente affrontate. E alle cui conseguenze gli “anziani”, detentori del potere, assistono impotenti.
Naturalmente, tutto ciò sta nelle pieghe della narrazione: non è che i protagonisti si mettono a concionare a riguardo, magari “col dito alzato”… Di una narrazione che scorre veloce e intrepida, ben “seccata” dai ritmi di montaggio, dell’esperto e sperimentato Dirk Westervelt, si annodano in una New York livida e molto notturna.
Il direttore della Fotografia è il tedesco Martin Ruhe: insieme alla Production designer Sharon Seymour, danno l’idea di una città che vive a qualunque ora della notte, ma sempre frequentata. Ma sono tenebre crepuscolari perpetue: sempre e solo sotterranee, anche quando non lo sono.

Francesco “Ciccio” Capozzi