Dopo la caduta dei Borbone Due Sicilie, il comitato segreto borbonico continuava la sua azione di supporto alla monarchia riunendosi a Roma a Palazzo Colonna, sopra l’ambasciata di Francia presso la Santa Sede, sotto il nome di Associazione religiosa con presidente il conte di Trapani, zio di Francesco II in esilio da 13 febbraio 1861.
Aveva un suo sottocomitato che si riuniva invece al monastero di Gesù e Maria di via del Corso, con presidente l’ex direttore generale di Polizia di Napoli, il signor Mazza, mentre i lealisti borbonici si incontravano al caffè Sciarra o sotto Palazzo Farnese, dove dimoravano Francesco e Maria Sofia.
Il Comitato centrale di Napoli nei primi mesi del 1861 si riuniva all’Arcivescovado, fino a quando la polizia iniziò una serie di azioni repressive. A Portici sorprese un conciliabolo notturno del comitato locale, a Posillipo una riunione segreta di ex ufficiali e nobili, arrestando nobili e alti ufficiali del disciolto esercito delle Due Sicilie. Tre emissari del comitato di Roma vennero catturati alla frontiera con lo Stato Pontificio. Infine venne espulso da Napoli anche l’arcivescovo.
Tra marzo e luglio la Polizia e camorristi cosiddetti filoliberali in combutta chiusero le sedi di giornali filoborbonici napoletani, tanto che il comitato centrale per prudenza finì col riunirsi in casa del conte Ricciardi di Camaldoli, fratello maggiore del barone noto massone e liberale che in contrada Leopardi di Torre del Greco aveva la villa detta il Ritiro o Rifugio.
I borbonici presero l’abitudine di riunirsi al circolo Wight in via Cavallerizza a Chiaia. Dopo l’assalto di giovani liberali che ruppero più volte i vetri delle finestre, s’incontrarono al caffè Nocera a via Toledo. Nonostante il pericolo di delazioni e di incursioni della polizia, tra il 1816 e il 1865fomentavano e coordinavano azioni dimostrative di disturbo con scoppio di petardi e bombe carta, diffondevano manifesti clandestini e supportavano proteste filoborboniche di donne del popolo.
Fervevano anche pubblicazioni su giornali napoletani ed esteri di attività di propaganda per tenere desta l’attenzione su massacri e distruzioni di interi villaggi perpetrati dall’esercito sabaudo del meridione in quella che era diventata praticamente una guerra civile, la cosiddetta lotta al brigantaggio.
Cura del Comitato era procurare assistenza legale per difendere gli arrestati e coordinare gli arruolamenti dei militari sbandati nelle fila delle bande anti italiane.
Anche dopo la partenza per l’estero dei Reali Borbone Due Sicilie i comitati rimasero in contatto con quelli francesi di Marsiglia e Parigi, che facevano capo ai fratelli di re Francesco, in particolare al principe Luigi, duca di Calabria.
Si sperava di rovesciare le sorti, ma fu tutto inutile. Dopo anni cominciarono a rientrare a Napoli coloro che avevano lasciato la città per l’esilio volontario. Tra questi, dopo 17 anni tornò Salvatore Carbonelli, barone di Letino, uomo di svariati interessi. Laureatosi in Giurisprudenza, frequentò anche il corso di Anatomia medica all’Ateneo partenopeo. Nel 1843 si trovava a Firenze dove apprese le idee di un federalismo italiano con a capo o il papa o Ferdinando II di Borbone Due Sicilie.
Tornato a Napoli ricoprì incarichi pubblici e nel 1845 prese parte al congresso degli scienziati presentando un trattato sulle migliorie da apportare all’agricoltura.
Nel giugno 1860 fu nominato direttore dei Lavori Pubblici e lavorò alacremente per far approvare ben 100 progetti edili volti migliorare l’assetto di Napoli e prolungare le ferrovie regie fino in Puglia.
Avuto l’incarico di Regio Ministro, approvò i progetti edili per via Duomo che prevedevano di eliminare le lave di pioggia dei Vergini, e per estendere la bonifica dei regi lagni a tutta la Campania.
Quando era in carica fu avvicinato da Liborio Romano e da emissari piemontesi per passare a Garibaldi e ai Savoia, ma Carbonelli rimase fedele a Francesco II e lo seguì a Gaeta, dove ricoprì altri importanti incarichi, e poi a Roma.
Nella futura capitale del regno d’Italia fece parte dell’associazione religiosa di Palazzo Farnese. Nel 1870 si recò in esilio volontario a Ginevra.
Rientrato nella natìa Napoli, riannodò i fili con le famiglie nobili e patrizie ancora legate ai Borbone.
Carbonelli era affiancato da suo cugino Domenico, e con loro le agapi conviviali dei filoborbonici ripresero subito al ristorante della Rotonda di Posillipo.
Domenico Carbonelli fu molto vicino alla Casa Reale: ospite di S.A.R. Alfonso con le mansioni di maggiordomo e segretario particolare, seguì ovunque la famiglia in esilio. Nel 1894 fu testimone della morte di Francesco II ad Arco. Sempre lui accompagnò la giornalista Matilde Serao a Monaco di Baviera dove fece alla regina Maria Sofia la bellissima intervista per Il Mattino. Trattò inoltre il matrimonio di S.A.R. Carlo figlio di Alfonso con la principessa delle Asturie María de las Mercedes, e diresse dal 1895 la nuova fase dei legittimisti borbonici a Napoli, dove il movimento si limitava ad affermazioni di princìpi e di fedeltà verso i Borbone Due Sicilie, perché giorno dopo giorno non diventasse solo un ricordo sbiadito dalla nuova realtà unitaria. Un’opera che perpetuava la memoria di Napoli capitale nonostante i tanti problemi, come l’emigrazione, carestia, disoccupazione, brigantaggio …
I legittimisti ebbero un loro circolo, l’Unione del Mezzogiorno, diretto prima dal conte Ricciardi e poi dal barone Salvatore Carbonelli, con sede nelle bellissime sale di Palazzo Cavalcanti in via Toledo, proprio a Pintauro.
Carbonelli organizzò nel gennaio del 1895 il funerale pubblico a Roma di Francesco II con una piccola e austera cerimonia nella chiesa dei Bianchi allo Spirito Santo di via Giulia, vicino Palazzo Farnese.
Presenziarono molti nobili meridionali che si erano trasferiti a Roma dal 1860 e altrettanti ne vennero da Napoli e da tutto dal sud, ma anche dall’estero, come i principi Capece Zurlo da Parigi, Cavalieri Costantiniani di San Giorgio e di San Gennaro, di San Ferdinando e del Merito, Cavalieri di Malta, e tantissime autorità e diplomatici, ed ex funzionari e militari del Regno delle Due Sicilie.
Michele Di Iorio