La sindrome di Medea

MedeaMadri che uccidono i propri figli: realtà terribili e attuali. Episodi amaramente ridondanti nella cronaca nera rappresentano un fenomeno che ha conosciuto una forte risonanza negli ultimi anni. Una tragedia che annichilisce: come è possibile che una madre che genera e ama il proprio figlio giunga ad ucciderlo?
In psicologia questo fenomeno è stato denominato sindrome di Medea, traendo ispirazione dal mito della tragedia di Euripide del 431 a.C.
Medea è la moglie di Giasone, colui che insieme agli Argonauti ha conquistato il vello d’oro. Da lui ha avuto due figli. Quando Giasone la ripudia per sposare un’altra donna, Medea attua la sua rabbiosa vendetta uccidendo la rivale con una ghirlanda e una veste avvelenata e i propri figli per privare il marito della sua discendenza.
Il nome della sindrome viene utilizzato come metafora per descrivere il comportamento inconscio di quelle donne che in una situazione di conflittualità con il proprio compagno – molto spesso durante la separazione – utilizzano il proprio figlio come strumento di potere e di rivalsa verso il coniuge, scaricando la propria frustrazione e aggressività fino a commettere omicidio.
Il figlicidio acquisisce una simbologia in quanto spesso ciò che la donna vuole sopprimere in realtà è il legame che il figlio ha con il padre, di cui il bambino rappresenta il simbolo.
Queste madri nutrono odio e rancore verso i loro mariti, perché affette da un disagio grave caratterizzato da una possessività e gelosia patologica. I figli, quindi, divengono mezzo di punizione e di vendetta nei riguardi dei loro uomini, in quanto sono il frutto indifeso della relazione amorosa avuta con essi.
La psicologia e la criminologia ritengono che «La donna, nel momento dell’uccisione si autoproclama giudice di vita e di morte, raggiungendo  l’apice del suo delirio di onnipotenza, tratto caratteristico delle crisi psicotiche. Oltre al bisogno di possesso c’è infatti anche la necessità di riconquistare una parte di sé stessa persa attraverso l’acquisizione del ruolo di madre».
Le motivazioni potrebbero risiedere nell’aver subito perdite e abbandoni, riversandosi pertanto nel timore di perdere il compagno. Questi aspetti possono rappresentare fattori scatenanti dell’omicidio quando la donna possiede già una difficoltà nel gestire la propria emotività o ha una grave depressione o in particolare uno stato depressivo post partum.
La moderna Medea sovente ha anche problemi familiari, economici, di degrado sociale, episodi di tossicodipendenza attuale o pregressa o una famiglia d’origine che l’ha maltrattata, favorendo vissuti di solitudine e di emarginazione.
Secondo il noto psichiatra Giancarlo Nivoli, studioso della sindrome di Medea, queste sono tra le ulteriori motivazioni che portano la madre ad uccidere il proprio figlio: «Una madre che impulsivamente maltratta il proprio figlio, l’agire omissivo di alcune donne passive e negligenti nel proprio ruolo materno e per le quali il bambino minaccia la propria esistenza.
Esistono poi madri che uccidono figli indesiderati per una gravidanza non voluta o perché associati a ricordi traumatici di una violenza subita. Madri che negano psicologicamente la gravidanza, donne che ripetono nel loro figlio una violenza subita dalla loro madre. Donne che uccidono perché pensano di salvare il proprio figlio, anche definito come omicidio pietatis causa, o per non farlo soffrire, ma che in realtà percepiscono il bambino come un fardello: il cosiddetto omicidio compassionevole».
Inoltre, la dottoressa Antonietta Bruzzese, specializzata in Psicologia dell’età Evolutiva spiega che la madre può rimuovere psicologicamente l’omicidio commesso « … perché non lo ritiene accettabile a livello cosciente. Il ricordo dell’evento tenuto fuori dalla propria coscienza, le consente di vivere una vita affettiva pressoché normale e senza conflitti personali. Il ricordo cosciente del delitto, invece, potrebbe portare la donna ad un senso di colpa decisamente ingestibile, e quindi a nasconderlo persino a se stessa. Infatti, in alcuni casi, subentra il meccanismo di difesa della sublimazione, attraverso la nascita di un “nuovo” bambino che vada a “sostituire” quello che non c’è più».
Per poter arginare questo fenomeno la miglior strategia è la prevenzione. Può essere attuata sia nel contesto giuridico nell’ambito di una separazione, sia nelle scuole  individuando e segnalando le situazioni familiari a rischio, sia presso i consultori attraverso un percorso psicologico che guidi i futuri genitori all’evento della nascita e dopo il parto, monitorando le situazioni più complesse.
Comunque l’importante è sensibilizzare culturalmente sulla capacità e il diritto di ognuno di chiedere aiuto ad un professionista o ad un consultorio, in quanto tutti possono attraversare delle difficoltà.
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Tiziana Muselli