Nostra signora della dinamite

Patti SmithNAPOLI – Nove di sera al Duel Beat.

Fuori fa freddo, è l’otto dicembre, giorno festivo. All’interno del locale, non ancora pieno, c’è un tepore piacevole.

Lei si fa attendere fino alle 22.30, poi un applauso scrosciante annuncia il suo arrivo sul palco.

Capelli argentati su di un collo esile e un fisico magrissimo, Patti Smith, sessantotto anni.

Una giacca nera, calata su di un gilet scuro, abbinato a dei jeans scoloriti e degli stivali da cowgirl. Un look apparentemente trasandato descrive stilisticamente la sua vena esplosiva.

Viene in mente il titolo di una canzone di Giorgio Canali, “Nostra signora della dinamite”, quando lei penetra nelle casse innescando una combinazione di rock e tritolo.

Al basso Tony Shananan, suo amico di sempre.

Alla chitarra e al pianoforte Jesse e Jackson, i suoi figli, avuti dal matrimonio con il chitarrista degli MC5 Fred “Sonic” Smith, morto prematuramente.

Sulle linee che la luce bianca dei led disegna sul profilo della giovane Jesse, mentre siede concentrata al piano, si scorge la stessa determinazione impressa sul volto della madre. Una donna sicura di sè,  Patricia Lee Smith, i cui solchi del tempo, visibili sotto gli occhi, rinviano ad un trascorso colmo di avvenimenti, vissuto senza tregua alcuna.

Portandosi di frequente alle labbra una tazzina contenente presumibilmente del caffè, lascia che la sua calda e inebriante tonalità, scandita dalla musica energica, conquisti l’uditorio.

Rabbiosa e selvaggia, con un che di rassicurante e alieno da ogni drastica categorizzazione, intona una “Dancing Barefoot” che si solleva a simbolo culturale di un’epoca in cui l’amore, nel senso più ampio possibile, si faceva interprete di aspirazioni  e tensioni verso la libertà.

We shut our eyes, we stretch out our arms … (Noi chiudiamo i nostri occhi, stendiamo le nostre braccia)

La canzone è ispirata alla tragica vicenda sentimentale che legò il pittore italiano Amedeo Modigliani alla pittrice francese Jeanne Hébuterne.

Patti suona, tra le altre, “Frederick”, dedicata al padre dei suoi figli, un inedito per il giorno dell’Immacolata e una cover di “Beautiful boy” di John Lennon, per ricordarlo nel giorno della sua morte.

S’interrompe spesso per parlare con il pubblico di Napoli che conosce bene. È la quinta volta che suona in questa città. Espone quindi la sua intenzione di visitare la tomba di Virgilio, che sembra interessarle particolarmente.

Con “Because the night” il suo storico successo del 1978, dedicata anch’essa a Fred Sonic Smith, il pubblico è in delirio.

Dopo un’ora e mezza di esibizione, visivibilmente stanca ma sempre carica ed entusiasta, si congeda dalla scena. Ma immediatamente il pubblico la richiama e lei si fionda di nuovo sul palco. Questa volta chiama Luca, un ragazzo della security con sè, gli dà la chitarra di Jackson e si fa accompagnare, mentre il figlio alla tastiera continua a sostenerne la voce graffiante, pigiando sui tasti.

Seguono una toccante cover di “Perfect Day” dell’amico scomparso Lou Reed, “Pissing in the River” “Banga” e “People Have the Power”.

“Le parole sono la vostra forza. Usatela” conclude, a fiato corto.

Muove le mani sinuosamente come una hippy. Le sue fluide movenze ricordano i rituali sciamanici. Lei, la sacerdotessa rock, s’infiamma della potenza che si sprigiona dagli strumenti e dal calore che si solleva dalla sala.

Il giorno dopo doppia il live alla Basilica di San Giovanni Maggiore.

Una cornice assolutamente anticonvenzionale per un live di incontestata intensità.

Per chi ha avuto la fortuna di sentirla, il suo attesissimo ritorno a Napoli in pieno clima natalizio, porta una ventata di spiritualità gravitazionale like a rolling stone.

Ci si augura una sesta e ancora una settima visita in una città che si dimostra, dopo tutto, meritevole della sua trasgressiva benedizione.

A mezzanotte il concerto, che dura circa due ore, si avvia rapido alla conclusione.

Sugli sguardi di chi si trova ad assistere all’evento si legge adrenalina soddisfatta mista a commozione e a bellezza, la percezione di aver assistito ad uno di quei miracoli mistico-musicali messi in atto da chi dice di sé «Non credo in nessuna religione, ma non sono atea».

Francesca Mancini