Il film: Interstellar

InterstellarIn un futuro non tanto lontano l’umanità sta esaurendo ogni possibilità di vita sulla Terra: da qui la necessità di andare su un altro pianeta. E nella famiglia di uno che lavorava con la NASA, con una figlia geniale, ecco che appaiono inspiegabili fenomeni, come degli inviti …
È un film (USA, ‘14) ciclopico: non solo per la complessità della narrazione, la ricchezza degli effetti, ma proprio per la durata: 3 ore!
Il regista è Christopher Nolan: a mio avviso un puro genio di Hollywood, benché nato a Londra. L’autore di “Memento”, “Inception”  e dell’ultima  trilogia dark di Batman, l’ha sceneggiato, come ha sempre fatto,  insieme al fratello Jonathan.
Anche se il soggetto è dello scienziato, ed eccellente divulgatore, Kip Stephen Thorne, che ha collaborato con i due fratelli, insieme a Lynda Obst, qui accreditata solo come producer.
Anzi: è stato detto che i due, soggettista e producer, avrebbero dovuto collaborare con Steven Spielberg – da sempre interessato a queste tematiche – ma che vi ha rinunciato.
È inutile dire che molti criticoni scienziatoni hanno storto il naso di fronte alla messa in scena di una sfida concettuale ancora più ardua di “Inception”, dove c’era il rapporto tra la “propria” singola coscienza e le varie dimensioni che vi stanno dentro.
Qui invece addirittura si affronta, in un film hollywoodiano, la teoria del tempo quantico, che sarebbe una specie di serpente che si avvolge su se stesso, un “warmhole”, che, come appunto afferma  K.S.Thorne, sta in uno di quelli che chiamiamo ora e genericamente “buco nero” ; e in cui la stessa gravità sarebbe una funzione correlata. Ma per capirlo, conoscerlo e, in un qualche modo padroneggiarlo, bisogna “entrarvi”: ed è ciò che fa il protagonista.
Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la letteratura di fantascienza, da Isaac Asimov in poi, ha spesso sentito la teoria dell’Iperspazio: non è altro che lo spazio fisico “curvato” dalla funzione temporale.
Certo, era fantasia: ma pure Einstein era considerato un “poeta”. Eppure le implicazioni pratiche delle sue teorie, e dei suoi sviluppi, potranno trasformare, e in larga parte già lo stanno facendo senza che quasi ce ne accorgiamo, la nostra stessa percezione della cosiddetta normalità.
Ed è su questa linea di pensiero che si pone il film. Le percezioni della complessità della materia sono sempre accompagnate, e ne diventano funzione, dalla percezione emotiva che le “addentra” – direbbe Dante – in noi. Solo così diventano parte integrante della nostra esistenza. E non mera e sterile conoscenza.
Ed è esattamente questa la potenza del film di Nolan: ha collegato questa serrata ricerca scientifica, con aspetti a volte paradossali, motivata dall’esigenza di salvare l’intera umanità, all’interno di viaggio avventuroso degno di una solida e tradizionale space opera, la cui cornice erano i forti sentimenti paterni, che l’hanno pervasa fino al midollo.
Sono stati i tre elementi che hanno caratterizzato positivamente il film. E sono tre elementi che hanno agito con stretta unitarietà per tutta la sua durata, perché sono stati concepiti e intrecciati così, in sede di sceneggiatura. Non è possibile sceverarli.
Se lo si fa, mettendo in evidenza l’uno piuttosto che l’altro, non ci si spiega  l’impatto spettacolare, e le ragioni del suo coinvolgerci. L’abilissimo script del film è, come sempre in Nolan, il suo punto di forza: e non perché è semplicemente “ben congegnata”, ma perché esprime sempre una complessità di pensiero e narrativa che è sempre originale.
Talvolta significa, come in questo caso, una vera e propria “metodologia” conoscitiva che fa pensare ad alcuni passaggi “letterari” di Sant’Agostino, che rendono vivida e penetrante, oltre che di grande efficacia intellettuale, la sua stessa lezione filosofica.
In questa chiave sono adeguati, ma anche profondamente poetici, gli effetti speciali, curati da Paul Franklin e Andrew Lokley e dalle factories di effetti da loro coordinate.
Il direttore della foto Hoite Van Hoytema, olandese, ma attivo anche in Svezia, costruisce quell’atmosfera “persa” sulla Terra in procinto di esaurirsi; ma accompagna con grande delicatezza cromatica, i percorsi dei due, padre e figlia.

Francesco “Ciccio” Capozzi