La crisi dello zolfo

zolfaraNapoli, capitale del Regno delle Due Sicilie, 8 aprile 1840.
Dalla balconata sul mare della Palazzo Reale, Ferdinando II di Borbone, 40enne e re da dieci anni, durante i quali aveva attuato riforme e favorito al massimo l’industria e il commercio del suo Paese, guardava preoccupato lo specchio d’acqua antistante la Reggia, dove una squadra navale inglese di 6 vascelli quella mattina era schierata in linea di battaglia, con le artiglierie puntate sulla città.
La squadra era entrata nel golfo senza i rituali saluti di bandiera e di sirena previsti; né aveva mandando i marinai in libertà. Inoltre si sapeva che in quei giorni una seconda squadra navale  bordeggiava le coste siciliane dal lato di Trapani e Marsala con fare minaccioso, mentre il governatore inglese di Malta aveva preparato il forte di La Valletta e la flotta era stata guarnita da numerose truppe da sbarco in vista di un’eventuale occupazione di Trapani e marcia di conquista di Palermo e della Sicilia, senza ultimatum o dichiarazione di guerra.
Quella mattina il diplomatico inglese mister Kennedy che sostituiva temporaneamente lord Temple, fratello del primo ministro inglese lord Palmerston,  Incaricato d’Affari presso la Corte delle Due Sicilie a Napoli, aveva presentato con fare sprezzante una protesta ufficiale scritta inglese a firma del Primo ministro riguardo la questione degli zolfi siciliani, al ministro degli Esteri Antonio Statella, principe di Cassaro.
In Sicilia vi erano 50 miniere di zolfo, minerale base dell’acido solforico per gli usi della chimica combinata, usato per la vulcanizzazione del caucciù e per la solforizzazione delle botti da vino, oltre ad un largo impiego in medicina.
L’estrazione dello zolfo dalle miniere di proprietà privata, rappresentava i 4/5 della produzione mondiale; solo in Europa era al 90% di provenienza siciliana.
Il governo borbonico nel 1798 aveva dato il ducato di Bronte all’ammiraglio inglese Nelson; si trattò di un primo privilegio parziale concesso agli inglesi sul commercio estero e interno in Sicilia, sanzionato poi dal trattato commerciale del 1816 che prevedeva il monopolio di sfruttamento dello zolfo siciliano. Una vera ricchezza, con 150 franchi di introito al quintale, ma di contro gli operai siciliani delle zolfare venivano trattati come schiavi.
Nel 1834 si era presentata una compagnia straniera con idee di partecipazione, mentre gli inglesi abbassavano i guadagni per i proprietari siciliani delle zolfare, scendendo nel 1837 a 10 franchi per quintale, tanto da determinare l’agitazione dei proprietari siciliani, che sospesero l’estrazione dello zolfo, e scioperi degli zolfari.
Il luogotenente generale di Sicilia, il fratello minore del re, il conte Leopoldo di Siracusa in carica da 4 anni, riformista, bello e liberaleggiante, si mostrava però incline ai desideri commerciali inglesi, e si faceva passare per massone
Per questo motivo venne richiamato a Napoli da Palermo, prelevato da nave militare e incaricato del comando di 12 battaglioni della Guardia di sicurezza interna, istituita l’anno prima per motivi di Ordine Pubblico. A Palermo fu inviato il nuovo Luogotenente generale, il focoso principe di Scilla don Fulco Ruffo di Calabria.
Una nuova società francese, la Taix-Ayard, si fece avanti nel 1837 con una proposta ragionevole: il pagamento di due ducati e mezzo al quintale di zolfo per poi rivenderlo a 4 con il ragionevole guadagno di 400 mila ducati l’anno per il Regno delle Due Sicilie.
Il progetto ovviamente era in contrasto con gli interessi inglesi che dominavano il mercato mondiale dello zolfo.
Sobillati da emissari inglesi in Sicilia gli operai iniziarono a protestare in tutta l’isola per le inique condizioni di lavoro e scoppiarono violenti tumulti e scioperi. Contemporaneamente i proprietari delle miniere avevano fatto cessare l’attività estrattiva; e alcune furono occupate dagli scioperanti.
Ferdinando usò il pugno di ferro mandando le truppe ad occupare le zolfare e facendo arrestare gli scioperanti e i tumultuosi in varie provincie dell’isola.
La situazione si aggravò a causa dell’epidemia di colera nell’isola che rendeva gli animi eccitabili; il contagio provocò molti morti tra la popolazione e 2mila tra i sodati della guarnigione di Palermo.
I ribelli separatisti e gli scioperanti delle zolfare siciliane vennero giudicati per direttissima da Giudici Regi di fresca nomina, tra cui il giudice Carlo Di Sarlo, avvocato penalista, già Giudice di Pace a Napoli, uomo severo ma onesto.
Ferdinando II ruppe gli indugi: viste le lamentele dei suoi sudditi siciliani contro le pretese inglesi, il 5 luglio 1838 con Regio Decreto autorizzò il ministro degli Affari Interni cavalier Nicola Santangelo a concludere l’accordo per lo zolfo con la società Taix-Ayard.
Il21 luglio 1838 con un secondo Decreto venne diminuite di 400mila ducati il prezzo del macinato per la sola Sicilia per venire incontro alle necessità della popolazione; venne inoltre pubblicata un’amnistia generale per i reati di tumulto, sciopero, ribellione, con grazia da sentenze capitali, riduzione a 30 o 25 anni di carcere durissimo per le pene degli ergastoli e dimezzamento di pene giudiziarie dei processi sia politici che per delitti comuni.
Il primo ministro inglese lord Palmerston espresse pubblicamente la sua indignazione verso i metodi di Ferdinando; ottenuto giudizio a lui favorevole dai giureconsulti inglesi sulla vicenda internazionale, sollecitò la regina Vittoria, appena salita al trono, per un intervento militare dimostrativo contro il Regno delle Due Sicilie al fine di salvaguardare gli interessi commerciali e la dignità inglese.
Lo stesso ministro al Commercio Charles Poulet Thompson fu costretto a rispondere in maniera evasiva alle lagnanze dei commercianti britannici, dato l’ambasciatore inglese a Napoli lord Temple a fine luglio 1838 si era visto rispondere energicamente alle sue proteste dal re, che affermava l’indipedenza del suo Regno dalle ingerenze di potenze straniere.
Nell’agosto del 1839 il ministro degli Esteri principe Statella tentò in una riunione di governo di mediare con la proposta di un Trattato di Commercio con gli inglesi per salvare il salvabile, allontanando la società francese dai zolfi di Sicilia.
Ferdinando II lo ascoltò interessato ma il ministro degli Interni Santangelo e il ministro della Guerra generale Carlo Filangieri erano contro i britannici attenendosi ad una politica indipendentistica del Regno nonché favorevole al trattato commerciale con i francesi per lo zolfo siciliano.
Nella successiva riunione del 4 gennaio 1840, il re rimase fermo sui propositi raggiunti con i due ministri; il principe di Cassaro fu trasferito a Foggia per ordine reale ed esonerato da tutti gli incarichi di governo e infine confinato bonariamente a Cava de’ Tirreni.
Il 26 gennaio con una violenta nota lord Palmerston richiese l’immediata abolizione del monopolio dello zolfo siciliano concesso ai francesi e l’indennizzo per i cittadini britannici legati a tale commercio.
Il principe di Scilla fu nominato ministro degli Esteri il 2 febbraio e in sua vece in Sicilia come nuovo luogotenente generale fu inviato il marchese Ugo delle Favere, severissimo e legato al re.
Ferdinando richiese dunque l’intervento diplomatico della Russia e della Prussia, che però fecero orecchio da mercante. Si rivolse allora all’Austria ma il primo ministro principe di Metternich scrisse a Napoli: «Vostra Maestà, avete spesso ragione di fondo, ma sempre torto nella forma. Non vogliamo che lo zolfo dell’Etna metta a fuoco l’Italia».
Vi fu un tentativo di mediazione del ministro del Regno di Sardegna Crosa di Vergani che venne respinto da ambo le parti.
Di fronte ai minacciosi vascelli inglesi, il re, sentiti il generale Filangieri, il principe di Scilla e il cavalier Santangelo, diede ordine di alzare la bandiera verde di preallarme bellico su tutti i forti e di puntare i cannoni sulle navi inglesi da forte Sant’Elmo, dal molo militare San Vincenzo, da Castel Nuovo, dal forte del Carmine, da Castel dell’Ovo.
Fine prima parte

Michele Di Iorio