Il telegrafo elettrico del Regno delle Due Sicilie

Gaeta-Forte dFerdinando II di Borbone Due Sicilie era sugli spalti del forte e guardava il mare azzurro del golfo di Gaeta.
Osservava le opere militari costruite a difesa e spaziava lo sguardo un po’ ovunque: era un militare esperto e di simili cose se ne intendeva.
A quel tempo Gaeta aveva una popolazione di oltre tremila anime; fuori delle mura c’erano altri dodicimila cittadini dei borghi che circondavano la fortezza a pianta trilaterale.
Ferdinando era già stato alla sede del Tribunale, all’ospedale militare, aveva ispezionato l’armeria con 40mila armi da fuoco e da taglio e le due polveriere.
Come era suo costume, con il Governatore della Piazza aveva passato in rassegna le truppe della Guarnigione, composta da due reggimenti di fanteria di linea, una compagnia di artiglieria da campagna e una di artiglieria litoranea, la gendarmeria, i vari reparti del Genio, i Real Veterani Agenti di custodia, il settore sanitario, il corpo dei Regi doganieri di Finanza, il Commissariato giuridico che completava con il Tribunale militare e la Guardia urbana la guarnigione stanziale in tempo di pace.
Nelle prime ore di quella calda mattina del 31 luglio 1852, il re aveva assistito all’alzabandiera accompagnato dall’Inno Reale di Paisiello; guardava con occhio da intenditore la magnifica posizione di Gaeta: dal punto di vita tattico e topografico era davvero eccezionale.
Ferdinando IIIl sovrano andava indietro nel tempo e rivisitava gli antichi assedi che aveva sostenuto la fedelissima Città di Gaeta: nel 1429, nel 1436, nel 1501, e poi ancora nel 1707, nel 1734, nel 1799 e fino al 1806 e 1821.
Quel giorno il re ricordava con i suoi aiutanti militari le tappe felici del suo Regno: il riordinamento civile e militare, gli appalti statali, l’eliminazione della corruzione, delle tasse e imposte straordinarie, di enti inutili ed obsoleti, e tutto lo svecchiamento e ammodernamento operato negli ultimi anni.
Ferdinando II si soffermò con orgoglio sulle applicazioni nel Regno di scoperte avveniristiche quali quella del 1843 del primo faro elettrico a Molo San Vincenzo, l’illuminazione pubblica, prima ad olio e poi nel 1840 trasformata a gas
Il 1852 era stato un anno molto attivo per il re: nel marzo precedente aveva presenziato alle grandi manovre dell’esercito, che schierava 80mila militari di linea; aveva visitato diversi santuari e i Comuni di Cava e di Salerno, accolto ovunque con affettuose acclamazioni dal suo popolo.
Tra fuochi d’artificio, scampanii e colpi di batterie a salve sparate dai forti e dalle navi in rada, quell’ultimo giorno di luglio Ferdinando II inaugurò a Gaeta la stazione della linea telegrafica elettrica, diretta dal colonnello don Alessandro Nunziante duca di Mignano al comando di numerosi ufficiali, ispettori e segnalatori.
Il re ascoltò quindi la lettura dei telegrammi augurali inviati dalle altre stazioni, si complimentò con gli ufficiali e i tecnici del Genio e riprese la passeggiata sui bastioni di Gaeta; dopo aver ascoltato la Santa Messa nella cattedrale, s’imbarcò per Napoli da dove il giorno seguente ripartì con la famiglia per la villeggiatura a Portici.
Il primo apparecchio telegrafico entrato in funzione si trovava nella Reggia di Napoli; era stato costruito nell’Officina Generale che aveva sede nel gran portone di Palazzo San Giacomo, la sede dei Ministeri.
Gli altri apparecchi si trovavano nelle stazioni ferroviarie di Napoli, di Caserta, di Cancello, di Maddaloni, nella Reggia casertana.
In seguito altri telegrafi furono messi in servizio nelle stazione ferroviarie di Capua, Nola, Torre Orlando, Terracina, Avellino, Ariano Irpino, Nola, Sarno, Nocera, Salerno e nel quartiere militare capuano.
Perseguendo lo scopo di dotare il Regno di un’efficiente ed intelligente rete di comunicazione, due anni dopo il servizio venne impiantato anche a Lecce, a L’Aquila e Pescara.
Con decreto regio del 9 ottobre 1854 il servizio dei telegrafici elettrici passò alle dipendenze del Ministero delle Finanze.
Nel 1855 il servizio telegrafico arrivò a Potenza e a Reggio Calabria; nel 1856 fu inaugurata la prima linea telegrafica sottomarina che da Reggio arrivava a Messina e dopo un anno a Trapani.
Il servizio telegrafico nel 1858 fu integrato dai francobolli delle Poste nazionali delle Due Sicilie.
Il prezzario non era molto alto: 25 parole per la distanza di 40 miglia – 1 miglio borbonico equivaleva a 1480 m circa – 60 grani; fino a cento parole 1 ducato e 80 grani.
Se la comunicazione scritta era di centottanta parole, il costo saliva a 3 ducati e 60 grani, a duecento parole 7 ducati e 20 grani, a quattrocento parole 9 ducati e 20 grani.
Se il dispaccio telegrafico veniva consegnato a casa, c’era un sovrapprezzo di 10 grani.
Ricordiamo che la moneta nazionale borbonica era il ducato d’oro, pari a 4,50 lire piemontesi; il ducato napoletano si suddivideva in 10 carlini d’argento e in 100 grani. Quindi un carlino era dieci grani e un grano equivaleva a due tornesi di rame.
La moneta borbonica aveva un potere d’acquisto enorme: ad esempio lo stipendio di un tenente d’esercito era di 22 ducati mensili, un capitano ne guadagnava 45 e un colonnello 80, mentre un soldato aveva la paga giornaliera di 5 grani e un sergente di 9; un impiegato statale di basso livello era pagato da 5 a 7 ducati mensili.
E questa è un’altra parte della grande storia del Regno delle Due Sicilie, dove primati, benessere e armonia erano cose di tutti i giorni … Ma non finisce qui …

Michele Di Iorio