Il docufilm Solving

SolvingSalvatore Mignano è un imprenditore campano alle prese con la crisi attuale: la sua è una lotta strenua e insidiosa. Questa ne è la fedele documentazione.
Gianni Mazzitelli, giovane filmaker anch’egli campano, ha dedicato due anni per raccogliere materiali per questo interessante e spiazzante film di realtà.
Da dire che il protagonista è lo stesso produttore del film (ITA, ‘14): ed è lui senz’altro il personaggio, anzi il Personaggione, su cui si basa. Perché è proprio una personalità ricca e sfaccettata.
Tipico self made man delle nostre parti, non ha mai dismesso nell’assumere il piglio imprenditoriale quel fondo di saggezza popolare; anzi, direi contadina – come lui stesso documenta – che gli ha permesso di affrontare le crisi attuali, come prima le varie fasi di sviluppo delle sua impresa.
Dall’individuazione del business, alla capacità di stare sul mercato con una sua fabbrica: è lo stesso tipo di pacata saggezza e intelligenza che gli ha consentito di individuare un altro business, il cinema e la comunicazione; e, in questo, di puntare sui giovani. Così ha prodotto l’intrigante “V.i.t.r.i.o.l.” di Francesco Afro De Falco (‘12), di cui Gianni Mazzitelli è stato sceneggiatore.
E anche di questa esperienza si parla: con obiettività si afferma che c’è stata una perdita di 100 milioni di euro; ma restano aperte le prospettive. Non c’è l’asfittica acrimonia ragionieristica, ma la capacità di guardare oltre, di puntare al futuro. In una parola: di non perdere la speranza.
In Solving c’è la sequenza iniziale, ripetuta anche nel sottofinale, che è molto significativa e potentemente allusiva, quella in cui dal buio Salvatore entra nella sua festa di compleanno, circondato dall’affetto dei suoi familiari, veramente la sua àncora e la sua salvezza.
Ecco: quella è la cifra della drammaticità della situazione personale. Il punto di compressione più violenta cui era giunto per le estreme criticità prodotte dalla crisi: c’è stato un momento di buio cinematografico totale, in cui il protagonista era solo.
Il regista ha seguito con affetto e fine sensibilità narrativa il percorso così irto didifficoltà: le dichiarazioni così lucide, concentrate e implacabili di Tiziana, moglie di un imprenditore che ha compiuto contro di sé un gesto assoluto, disperato e definitivo, ne sono un controcanto pudico, sobrio ma doloroso e significativo al massimo.
Poco aggiungono le dichiarazioni di professoroni intervistati: anzi, Alberoni rallenta il fluire dell’introspezione; e c’è più politica economica, terribilmente chiara ed esauriente, nei tesi dialoghi col funzionario di banca che in quegli spieghi messi un po’ a cappello.
Come anche nel rapporto cogli operai, il regista, nell’esplorare le facce di quelle persone, dà vita ad una riflessione, addirittura poetica, di politica sindacale fatta di intelligente e fraterna corresponsabilizzazione.
Il giovane filmaker ha seguito passo passo l’esistenza di questo anziano combattente della vita: è entrato in comunicazione ed empatia profonda, subendone il fascino; cogliendone le sfumature e le articolazioni comportamentali, come in quella sequenza in cui Salvatore mangia da solo in quel fast food, in piedi come un qualunque tizio.
Solo uno che si è fatto da sé e ha conosciuto tutto della vita, può permettersi di essere se stesso senza alcun orpello. Vi sono, tra l’oggetto del narrare e il narratore, gesti di reciproca umiltà; sfumature di filiale interazione, però impostate nel reciproco rispetto: come se tra i due vi fossero stati dei prolungati silenzi, più vivi e comunicanti di intere inutili conversazioni. Perché basati sul fare e sul dare senso e ritmo alle ragioni del fare: su questo Mazzitelli ha operato con grande, efficace, matura  e silenziosa ellissi. E non aveva bisogno di padrini intellettuali, cui sembra atteggiarsi il sociologo Alberoni.

Francesco “Ciccio” Capozzi