Il Corno della Sfortuna

L'installazione dinanzi alla regia di Caserta dal nome 'Good Luck Caserta' creata dal maestro Lello Esposito in occasione della rassegna invernale di arte, musica e spettacolo XIV Leuciana Festival Christmas Event Holy Voices", Caserta, 12 Dicembre 2013. ANSA/ CESARE ABBATE« … alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze….La letteratura (e forse solo la letteratura) può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio….
Vorrei aggiungere che non è soltanto il linguaggio che mi sembra colpito da questa peste. Anche le immagini, per esempio. Viviamo sotto una pioggia ininterrotta d’immagini; i più potenti media non fanno che trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi: immagini che in gran parte sono prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine, come forma e come significato, come forza d’imporsi all’attenzione, come ricchezza di significati possibili.
Gran parte di questa nuvola d’immagini si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria; ma non si dissolve una sensazione d’estraneità e di disagio. Ma forse l’inconsistenza non è nelle immagini o nel linguaggio soltanto: è nel mondo. la peste colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni, rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio né fine. Il mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco d’opporre l’unica difesa che riesco a concepire: un’idea della letteratura».
Così Italo Calvino, in Lezioni americane, Esattezza pag.66, Mondadori 1993
Veniamo al corno fuori alla Reggia di Caserta.
Sembra che il sindaco voglia rimuovere, giustificandosi, dopo le polemiche sollevate, che è stata solo una provocazione per attirare l’attenzione mediatica su un sito storico di notevole importanza.
Una provocazione a mio avviso sbagliata, fuori luogo, e realizzata  con un linguaggio senza alcuna forma. Vediamo perché.
Innanzitutto tutti conosciamo il corno rosso, una forma che ci appartiene, che ci appartiene antropologicamente. Per ritrovare le sue origini simboliche bisogna risalire  al 3500 a.C.
Nell’età neolitica gli abitanti delle capanne erano soliti appendere sull’uscio della porta corna di animali, simbolo di potenza e fertilità. La fertilità veniva associata alla fortuna. Il corno è presente anche nella mitologia egizia, dove si offriva come voto a Iside, dea della maternità e della fertilità.
Nella mitologia greca Zeus, per ringraziare le ninfe Adrastea ed Io che l’avevano cresciuto a riparo dal padre a Crono e nutrito col latte della loro capretta Amaltea, donò loro un il corno che Amaltea ruppe battendo contro un albero, dal quale sarebbe apparso tutto quello che le ninfe avessero desiderato ( la cornucopia simbolo di abbondanza).
Nella cultura italica, per i romani,  il corno simbolicamente rappresentava il fallo, ancora una volta  metafora di fertilità e prosperità.
È solo nel medioevo che l’uso del corno assume una dimensione magica:  referente apotropaico per antonomasia; simbolo di fortuna, buona sorte e dell’allontanamento delle influenze maligne.
Da allora, per rilasciare i propri influssi benefici il corno doveva essere rosso e fatto a mano. Rosso perché questo colore simboleggiava il sangue dei nemici vinti; fatto a mano perché si riteneva nelle arti magiche che ogni talismano acquisisse i poteri benefici dalle mani del produttore.
Ancora oggi rimane nella tradizione napoletana l’uso del curniciello,  oggetto scaramantico e  contro la jella. Per funzionare deve essere  necessariamente donato, perché la fortuna va donata, a fortuna va augurata, deve essere di corallo e deve essere concavo, così da essere al suo interno riempito di sale
Il corno a Caserta.
Operazione che denota uno svuotamento di forma. Una grande incompetenza in chi è addetto alla comunicazione con l’arte, che ha pensato, in perfetta linea con tutto ciò che viene propinato seguendo le regole dell’omologazione del linguaggio che produce forme svuotate da ogni simbolico significato, con il solo obiettivo e finalità ultima di provocare.
Ma cosa si voleva provocare con un corno? Il corno ha un unico significato: quello di essere beneaugurante e di scacciare la cattiva sorte, la jella.
Come si poteva pensare che questo corno potesse essere beneaugurante? Se guardiamo il significato simbolico del corno ci rendiamo conto che è una operazione portata avanti dall’incompetenza.
La più grande incompetenza sta nel fatto che non sono state rispettate almeno due delle condizioni necessarie per svolgere la sua funzione scaramantica: il corno è stato messo al contrario, con la punta in alto, e deve essere regalato, invece pare sia stato pagato migliaia euro.
L’arte sul territorio deve avere una funzione simbolica? Se la forma che si usa nell’arte si riferisce, come in questo caso, a qualcosa di una storia antropologica, come un referente apotropaico per antonomasia, espressione di una millenaria cultura, deve rispettarla, contenere questi significati simbolici o può farne tranquillamente a meno?
La funzione di questo corno, oltre a quella decorativa e di, come ha sostenuto il sindaco, di provocazione, qual è?
Il corno ha una forte funzione simbolica e una straordinaria storia antropologica profondamente offesa. Questa provocazione del sindaco non ha avuto nessun esito se non quello di generare grandissimo fastidio in chi come me, legato sia alla cultura antropologica del mio territorio che a quella storica-architettonica, si sente ingiuriato da questa forma vuota di significato.
Personalmente, sono stanco di operazioni formali, effimere sul territorio che non hanno alcun senso se non quello di far parlare e di sperperare danaro pubblico con la scusa di provocare usando l’arte e l’estetica.
Che ben vengano opere d’arte sul territorio, ben sia voluto il confronto della contemporaneità  con l’arte e l’architettura del passato, ma che tutto abbia un senso e un significato.
Sono stanco di operazioni vuote e falsamente provocatorie, a spese della comunità e  che spesso dimenticano che quei luoghi sono di proprietà della collettività.

Mario Scippa