Storia della Cavalleria napolitana

Cavalleria_napoletana_in_Lombardia_Quinto_Cenni_1906

La cavalleria, da sempre una grande tradizione: sin dai tempi dei romani fu sempre l’arma dei re guerrieri affiancata alla fanteria, regina delle battaglie.
Detentrice delle più nobili istituzioni e tradizioni, nell’Italia preunitaria l’Arma della Cavalleria nel Regno di Napoli e Sicilia attraverso i secoli con le sue tradizioni nobilissime fu il vanto di tutto il sud, assurta al rango europeo delle cavallerie estere.
Una storia antichissima: ricordiamo le sortite cavalleresche dei Greci di Cuma contro gli Etruschi invasori dal 516 al 476 a.C. e al fianco dei romani dal 290 al 47 a.C.
Nel 1266 al servizio di re Manfredi di Svevia contro Carlo d’Angiò con i suoi mille cavalieri napolitani, esponenti della migliore nobiltà del Regno partecipò alla battaglia di Benevento.
La prima scuola di equitazione di Napoli venne diretta dal nobile Giovan Battista Pignatelli, autore di un trattato sull’equitazione del 1561; fu frequentata tra gli altri dal cavaliere calabrese Giordano Ruffo, il nobile Federico Grisoni e gli allievi, poi diventati maestri italiani di ippica, Qualifiaschi, Curzio e Santapaulina.
I cavalieri napoletani nella cavalleria spagnola tra il 1400 e il 1600, propriamente detti Cavalieri Napolitani di Calatrava, di San Giacomo, del Toson d’Oro, del Reale Ordine Costantiniano Spagnolo, si fecero sempre grande onore sui campi di battaglia sia in Italia che all’estero.
In seguito la Cavalleria del Regno indipendente di Napoli e Sicilia dal 1742 si dotò del reggimento di linea Dragoni Borbone, costituito interamente da elementi indigeni; i Dragoni si coprirono di gloria a Lodi nel 1796, a Civitacastellana nel 1798, sul Garigliano e sotto Capua nel gennaio del 1799 contro i francesi. Partecipò poi in Campania ai Moti Costituzionali del 1820 e 1821, per non citare le glorie del 1848 al 1860.
Della cavalleria facevano parte anche altre compagini: gli Ussari della Guardia del Re, costituito nel 1735, e quello della Regina, fondato nel 1738, il reggimento di cavalleria di linea Rossiglione, i Lancieri, di stanza a Secondigliano, costituito nel 1742. Nel 1744 si contavano in tutto ben 6mila cavalieri.
Le tradizioni cavalleresche del Regno videro dunque i primi ordini equestri militari borbonici: l’Ordine equestre di San Gennaro,1738, di San Ferdinando e del Merito, fondato il 5 giugno 1800 e cosi l’Ordine Equestre Costantiniano di San Giorgio e della Riunione, 1815 e l’Ordine dei Cavalieri di Francesco I, 1829.
Il battesimo del fuoco della Cavalleria Napolitana era avvenuto a Velletri, proseguendo conuna serie impressionante di vittorie che culminò nel 1794 , quando quattro reggimenti combatterono valorosamente contro i francesi a Lodi, agli ordini di Alessandro Filangieri principe di Cuto.
Si distinsero tanto che il generale Bonaparte disse che «… i cavalleggeri napolitani dono diavoli bianchi che hanno 4 reggimenti di cavalleria che mi hanno cagionato molto male  che conto di sbarazzarmene molto presto».
Dichiarato l’armistizio, Napoleone volle che gli ufficiali napoletani fossero suoi ospiti a pranzo, dove chiese al Filangieri quanti fossero gli effettivi delle truppe napoletane a Lodi. Filangieri, ferito in combattimento, informò Bonaparte, che erano di numero inferiore al previsto, al che Napoleone rivolgendosi ai suoi ufficiali dichiarò di averlo intuito: «Ho indovinato perché conosco gli italiani: quando sono condotti con coraggio ed intelletto fanno prodigi».
Rivolto al Ruiz affermò ancora: «Generale, mi sono bene avveduto che, tra i nostri nemici mancava la vostra bella e brava cavalleria, perché la nostra vittoria é stata meno contrastata del solito…»
Nel 1763 Carlo III nella sua tenuta reale di caccia di Persano avevafondato un centro di selezione e allevamento con cavalle brade della pianura salernitana e della valle dell’Ofanto, incrociandole con riproduttori arabi e spagnoli, creando una razza di cavalli leggendari, i Persano.
Il 26 maggio 1812 nacque la Scuola d’Equitazione delle Due Sicilie, dove il Maestro Bouchè applicò il proprio metodo; la stalla dei cavalli nel 1814 aveva sede a Barra, nella scuderia di Villa Monteleone, edificio risalente al 1580.
il 15 febbraio 1815, venne poi costituita la Giunta di rimonta alle dipendenze di un generale d’esercito; i soggetti erano i cavalli, che all’epoca avevano un costo di 72 ducati napoletani.
Oltre la razza dei cavalli di Persano furono curate le razze di Trisanti e d’Abruzzo, in specie con i riproduttori e giumente degli allevamenti abruzzesi dei Baracca, dei Verza,dei Cappelli e dei Varo.
Anche per i cavalli si seguiva la moda: andavano per la maggiore il Bianco, l’Isabella,la Porcellana, il Topo, un po’ meno il Sauro.
I Dragoni borbonici montavano cavalli molto alti; nei quartieri militari vi erano cavallerizze sia scoperte che coperte.
Va ricordato il galoppatoio coperto di Palazzo Mascabruno di Portici edificat ai primi del ‘700 e poi acquistato da Carlo III, che lo destinò ad alloggiamento della truppa Reale, Regia Scuderia e arena privilegiata del Corsiero napolitano, altra razza autoctona. Il galoppatoio, attualmente in ristrutturazione, è una meraviglia paragonabile solo a quello del castello di Schönbrun, costruito peraltro qualche anno dopo.
Dal 1808 al 1815, con Gioacchino Murat la Cavalleria Napolitana entrò nella leggenda delle tradizioni belliche europee; il reggimento Ussari prese parte a alle campagne di Russia nel 1812 e di Germania nel 1813, il reggimento Lancieri partecipò anch’esso a queste due campagne e a quella d’Italia nel 1815. Il I e II reggimento Cacciatori di linea a cavallo presero parte ai combattimenti in Spagna dal 1807 al 1810 e dal 1809 al 1811 in Alto Adige, Tirolo, Merano,e cosi Russia e Germania.
Basti ricordare che di 500mila soldati della grande armata di Napoleone della campagna di Russia ben 25mila erano italiani, di cui 13 mila del Regno murattiano; ne tornarono vivi solo 3mila. Fu la grande Cavalleria Napolitana a scortare l’imperatore Bonaparte il 5 dicembre 1812 ad aprire il varco verso Vilna contro i cosacchi, e molti cavalleggeri vennero decorati con la Legion d’Honneur.
La cavalleria ebbe particolari cure sotto Ferdinando II; nel 1832 vennero redatti manuali di cavalleria. Acquartierata in gran parte in Campania tra Capua, Caserta, Napoli e Palermo, con 8000 mila cavalleggeri; una parte era accasermata a Fuorigrotta, al quartiere militare distrutto dai bombardamenti l’8 settembre 1943.
La cavalleria borbonica era spettacolare anche esteticamente: cavalli neri, divise da sogno, con pantaloni rosso cupo con bande bianche e un righino celeste nel mezzo, kepi rosso con nappina nera, dragona bianca rossa, spencer con pelliccia nera e fascia celeste con le cifre reali argentate, ad eccezione dei trombettieri che portavano tre ordini di bottoni reggenti una treccia bianca e degli ufficiali, che invece la portavano argentata.
Ma quello che contò sempre fu il suo grande valore.
Purtroppo, la tradizione cavalleresca napoletana dopo l’unità venne accorpata nel VI reggimento Lancieri Aosta; insieme al I Bersaglieri e ai cadetti della Nunziatella venne ospitato nell’antica caserma degli Ussari borbonici di Fuorigrotta.
Mi piace ricordare che nel glorioso reggimento dei Dragoni borbone, militò dal 1790 il giovane ufficiale Leone Di Iorio barone di San Barbato, che, proveniente dalla Nunziatella col brevetto di Alfiere, arrivò al grado di II tenente nel 1796 a Lodi; poi fu capitano durante la Repubblica napoletana e quindi maggiore di re Giuseppe Bonaparte. Passato nel I Cacciatori combattè in alta Italia e in Spagna e cosi nella campagna di Russia. Morì nel 1812 col grado di tenente colonnello delle truppe di Murat.
(Foto di copertina: “Cavalleria napoletana in Lombardia” opera di Quinto Cenni, 1906)

Michele Di Iorio