Thor – The dark world

Thor - The dark world
Mentre Thor, col suo martellone combatte rimasugli di vecchi nemici, dal cuore stesso delle Tenebre, ne giunge un altro più malefico: Malekit.
Hollywood, grazie ai Marvel Studios, è tornata a nuova vita: tant’è vero che nell’ambiente la chiamano “Marvelhood”.
I film tratti dai fumetti della Marvel Comics stanno ampiamente rinsanguando le energie finanziarie del cinema Usa: anzi la Marvel, che ha ben capito come funzionano le cose, è diventata essa stessa una società produttrice, subito assurgendo al rango di Major, mentre la distribuzione è stata affidata alla Walt Disney Company.
La figura cruciale, non troppo conosciuta al pubblico italiano – che pure sta premiando al botteghino questa trasformazione – è il CEO (‘o boss) della Marvel Studios, Kevin Feige, che l’ha fortissimamente voluta: la Marvel editrice che deteneva la proprietà intellettuale di tutti i personaggi dell’universo Marvel, si è assunta essa stessa in prima personai rischi finanziari.
Ha chiesto un mega prestito (500mln di usd) alla Merryl Lynch, portando in fideiussione il corpo dei copy right in possesso; l’ha ottenuto e con quello ha iniziato a realizzare i film, tutti ad high budget, che sono stati un affarone di 8 mld di dollari.
Manca all’appello, per la riappropriazione di tutti i personaggi, il più famoso, Spider Man, in mano alla Sony Entertainment.
La figura di Feige, però, non è quella di un avido contabile, ma è un vero creativo. Come George Lucas, che è l’esplicito suo modello, cura e controlla ogni singolo aspetto: non solo produttivo ma espressivo e stilistico. E ciò nella migliore tradizione hollywoodiana.
In questo sequel di Thor, Feige ha voluto addirittura un regista fino ad ora confinato al cinema d’essai, come per il primo usò il colto Kenneth Branagh: Alan Taylor, in possesso di una solida esperienza in tv (tra cui anche episodi di “Trono di spade”) e nella pubblicità.  Però è dato, non accreditato, un secondo regista: James Gunn per alcune scene di raccordo e la bellissima titlesequence finale, cioè quella dei titoli di coda. Mentre gli sceneggiatori, Christ.Yost, Christ, Markus, Steph. MacFeely, sono tutti veterani, benché relativamente giovani, di film tratti da romanzi di Fantasy o da altra letteratura disegnata, i fumetti.
Ed è proprio il disegno dei personaggi, che si è meglio precisato ed evoluto rispetto al primo Thor, uno dei suoi punti di forza: il conflitto scespiriano – siamo in pieno “Re Lear” – tra i fratelli Locki e Thor, tutti e due a “spartirsi” l’affetto e la stima dell’inarrivabile loro padre Odino, caratterizza la loro strana alleanza contro un nemico ancora più fetente.
E qui si innesta l’altro aspetto della qualità del film (USA, ‘13): la complessità visuale.  Charles Wood, per le scenografie diciamo così statiche, e Ray Chen per l’invenzione delle strutture in movimento -ma è una distinzione approssimativa: in realtà hanno efficacemente collaborato – hanno creato quell’atmosfera sospesa tra sogno barbarico e ultratecnologia, che rende la favola lontanissima e futuribile nello stesso tempo. Ad esempio: le navi spaziali sono per gli asgardiani delle navi vichinghe volanti, per i cattivi delle tenebrose libellule mostruose.
Ma tutto è coerente in un’irrealtà onirica materiata e concreta in cui gli incubi hanno la forza delle emozioni.
La fotografia, dello sperimentato e fantasioso Kramer Morgenthau, s’innesta validamente e armonicamente in questo sogno d’azione ad occhi aperti.

Francesco “Ciccio” Capozzi