Captain Phillips – Attacco in mare aperto


Aprile 2009: al largo delle coste somali si consuma il tentativo di sequestro di una grande portacontainer americana.
Tratto dal libro autobiografico del Comandante di quella nave, la Maersk Alabama, il film (USA, ‘13) narra di evento realmente accaduto.
Il regista è l’inglese Paul Greengrass. La sua è una personalità eclettica quanto talentuosa: coltiva con grande disinvoltura il film-documento, che accoppia una visione estremamente approfondita e politicamente lucida, ad una narrazione serrata e di grande effetto (BloodySunday,2002, sulla “Domenica di sangue” del 30 gen ‘72 in cui l’esercito inglese sparò e uccise i pacifisti irlandesi.
Ma è anche in grado di costruire film di teso impatto spettacolare (la saga di Jason Bourne), in pieno mainstream hollywoodiano. È uno che realizza i film sapendo esattamente “dove vuole andare a parare”; soprattutto quando, come in questo caso sono più elementi da tener presente. È uno che domina la complessità. Nel panorama hollywoodiano è dote piuttosto rara.
Qui abbiamo l’umanità di un “tizio qualunque”, che risponde alla faccia da Tom Hanks, alle prese di una situazione assai difficile. Non è un eroe: ha paura e sensi di angoscia; ma anche pietà per uno dei rapitori, che è un ragazzino; riesce a cogliere la sostanziale umanità di Muse, il capo di rapitori.
Il miracolo che il regista ha messo su è che noi, pur non perdendo mai di vista il protagonismo di Hanks, contemporaneamente ci rendiamo conto che anche questi somali sono soprattutto delle vittime.
È una conduzione fondata su un precario equilibrio di sceneggiatura, e una conduzione ferrea degli spazi e delle pause di montaggio, curato dal bravo ChrisopherRouse, in cui la camera, sempre in movimento, “osserva” da vicino e “legge” i volti.
Perfino quando entrano in scena “i nostri”, gli iperefficienti SEALS, c’è un tocco di ironia, nel loro tronfio incedere: però le “leggi” narrative sono formalmente rispettate: i “buoni” sono i “nostri” che vincono.
Ed è all’interno di questo rigido scenario che il regista opera. Però in pochi, rapidi accenni e battute è data la situazione di povertà, di disperazione, ma anche di rapina subita che dava origine alla pirateria somala, oggi parzialmente sconfitta .
La capacità di variare lo stile, da documentario-illustrativo a frammentario veloce si genera quasi nella stessa sequenza. In questo il contributo del direttore della foto, Barry Ackroyd, è stato fondamentale.
Inglese, formatosi nel cinema-verità, ha lavorato moltissimo con Ken Loach – ma anche con Kathryn Bigelow – riesce a variare la tonalità cromatica con immediata aderenza, facendoci concentrare sui dati narrativi che spingono in avanti, con inesorabile efficacia, la macchina del racconto.

Francesco “Ciccio” Capozzi