Il latte


C’era una volta, tanti e tanti anni orsono oramai sperduti nella foresta dei ricordi, un prodotto, che si chiamava latte.
Latte di mucca, proveniente da animali che pascolavano su verdi prati da aprile a novembre.
L’inverno lo trascorrevano in calde stalle, al riparo da freddo ed intemperie, dove la sera si faceva filò – chiacchierare e raccontare storie intorno al fuoco.
Tutte le sere mi recavo dal lattaio con il contenitore da cinque litri a prendere il latte, alimento base di tutta la nostra numerosa famiglia.
Si doveva bollirlo a dovere, per sterilizzarlo in modo casalingo onde evitare il contagio di malattie, imperanti in quei tempi a causa di sporcizia e mancanza d’igiene dei contadini, cosa che purtroppo avviene anche oggi nelle stalle – la pulizia è un costo, perciò non si fa.
Al mattino affiorava dal recipiente del latte uno strato morbido, cremoso di panna, con la quale si faceva ogni due giorni il burro, utilizzato in cucina come condimento, o spalmato sul pane con sopra un velo di zucchero: era la leccornia dei nostri tempi.
Sopra il burro stendevo il Bovis, un prodotto vegetale per condimenti ricavato dalla lavorazione della birra. Portavo questo panino a scuola per mangiarlo durante la merenda del mattino e i miei compagni, come mi ha ricordato un amico venutomi a trovare casualmente qualche mese fa, mi avevano soprannominato ”Pan,  burro, e Bovis”.
C’era poi il formaggio, antico prodotto ricavato dalla lavorazione del latte. Ne mangiavo in quantità, aveva il profumo del pascolo, dei fiori montani, dell’erba fresca, del fieno falciato e lavorato a mano.
Oggi tutto è cambiato. Il latte è acqua sporca, di colore bianco, confezionato in cartoni in tetrapak o bottiglie di plastica, più sicuro senz’altro, ma senza sapore, senza un filo di panna, senza più l’odore dell’erba.
Ogni mucca deve produrre almeno trenta litri di latte, finanche sessanta litri, altrimenti va consegnata al macello.
La vita di una mucca nei bei tempi arrivava a sedici-diciotto anni, oggi dopo tre, massimo quattro anni di mungitura è spompata, destinata al macello, ad essere utilizzata come carne per animali tanto è consumata.
Le stalle  sono capannoni industriali dove gli animali nascono, vivono e muoiono senza quasi vedere il sole. Macchine da produzione e da riproduzione, mucche geneticamente modificate per produrre il triplo di quanto permesso dalla natura.
Cemento per pavimento, causa della malattia dell’unghia, dell’artrite  agli arti; a volte a terra vi sono tappeti di gomma, causa del riscaldamento delle mammelle che provoca mastiti e infiammazioni.
Moltissime stalle ancor oggi hanno poi il tetto in Eternit, materiale dichiarato pericolosissimo per l’uomo … forse non altrettanto per gli animali che producono latte e  carne indispensabili per il sostentamento umano?
Ma qui si devono chiudere gli occhi, altrimenti addio agricoltura, meglio qualche tumore.
Le  mucche  più favorite dalla sorte, hanno per giaciglio uno stato di paglia, o di trucioli di legno; cemento poi per pareti e tetto, con caldo estivo insopportabile e freddo gelido nelle notti invernali: tanto sono bestie!
L’alimentazione poi, erogata sotto forma industriale con il carro distributore nel quale vi è di tutto, farine bilanciate, atte alla super produzione d’acqua sporca chiamata latte; miscugli, comprendenti farine di pesce, ossa di bovini triturate, farine vegetali come la soia, l’erba medica triturata, mais, additivi chimici.  Fieno poco, solo per il rumine.
Le mucche più fortunate  passano l’estate in montagna dove pascolano libere, ma sempre supportate dal carro miscelatore: sono tutte geneticamente modificate, pertanto devono essere ipernutrite, artificialmente, altrimenti deperiscono e non producono.
La pulizia delle stalle è nella maggioranza una pura illusione: nessuno controlla, né sancisce, tutto è come ai vecchi tempi.
Ho detto maggioranza dei casi,  perché fortunatamente ci sono agricoltori che producono latte e derivati rispettando l’igiene e gli animali di conseguenza vivono bene.
All’agricoltore è permesso anche allevare i vitelli in spazi ridottissimi, fermi in box da due metri per uno; devono ingrassare, rendere soldi; oppure ci sono stalle all’ingrasso, dove gli animali sono in realtà impiantati nel loro letame, mezzo metro e più di puro letame. Lì i vitelli appena svezzati rimarranno fino al raggiungimento del peso ideale, per poi essere destinati al macello, senza avere mai visto il sole.
E noi ci chiamiamo esseri umani!
Solamente in Alto Adige, su, verso nord, ho visto stalle pulite, con gerani alle finestre, ordine intorno e nessun odore.
In Germania addirittura, in periferia di Dinchesbull, c’era una stalla con il suo bel letamaio sul quale ogni mattina era sparso un velo d’erba fresca: non si sentiva  nessun odore.
Le nostre stalle, a causa dell’alimentazione con insilati e varie altre farine, hanno il deposito dei liquami che puzza pazzescamente, tanto che quando è sparso sui prati in autunno, si deve  tenere chiuse le finestre fintanto che l’odore venga assorbito e disperso nell’atmosfera.
In sostanza il buon latte è solo un ricordo del passato.
Oggi il latte arriva alle centrali dove è lavorato con sistemi moderni, pastorizzato, filtrato a pressione, sterilizzato, reso sicuro contro le malattie, come salmonellosi, brucellosi, T.B.C. ecc.
Il latte dalle mammelle esce sterile ed è durante la mungitura che viene in genere infettato, a causa della noncuranza degli allevatori, soprattutto degli addetti all’igiene pubblica, che chiudono gli occhi quando entrano a controllare. Vige un permissivismo assoluto di cui gode il reparto agricoltura.
Per non parlare poi dei pascoli, soprattutto al sud, avvelenati da sotterramento d’immondizia industriale e di materiali inquinanti, dove pascolano le bufale con il latte delle quali si produce  la famosa e buona mozzarella.
Pensiamo anche a  certi luoghi del nord, ex discariche di tutto e di più, destinate ad essere pascolo per mucche o prato di sfalcio d’erba per animali da stalla.
I derivati di questo latte, formaggi e loro sottoprodotti, sono causa a parer mio e per le mie esperienze personali, di gravi disturbi, non solo digestivi, ma anche disturbi  respiratori, vedi allergie alimentari, disturbi nella deambulazione ecc.
Essendo un forte consumatore di latte e formaggio, alcuni anni fa nei primi giorni di giugno, ho avuto la bell’idea di andare a prendere il latte fresco in una malga di alta montagna.
Naturalmente prima di berlo lo facevo bollire. Credevo di essere ritornato ai tempi della mia giovinezza.
La panna c’era, non tanta come allora; il gusto certamente era  migliore di quello in bottiglia, acquistato in negozio, non era però eccezionale.
Le mucche d’oggi, come già detto, sono tutte geneticamente modificate, destinate all’iperproduzione e così anche in malga c’è il silos dei mangimi.
Per un mese circa, ogni due giorni, mi recai ad acquistare il latte appena munto.
Inizio nel frattempo ad avere disturbi respiratori, a stare poco bene, a sentirmi debole, ad espettorare spesso. Mi reco dal medico per una visita e non trova nulla di preoccupante.
Continuo così per altri dieci giorni, poi decido di andare da uno specialista pneumologo per capire se posso avere   qualche problema ai polmoni. Visita, prova spirometrica e raggi  eliminano ogni sospetto di malattia.
Ritorno dal mio medico con il referto e fintanto che discutiamo sulle cause del mio malessere persistente, mi chiedo: «Che la causa non sia il latte di malga che da qualche tempo acquisto regolarmente?!?»
Detto fatto: smetto latte e formaggi e in pochi giorni rivivo.
Passano circa tre anni, la voglia di latte e formaggio, compagni di vita, ritorna a farsi viva, riprendo così a mangiare formaggio.
Nel giro di qualche mese sento le gambe appesantite, i polpacci induriti, dolore all’inguine, fatico a camminare nei boschi dove vado per lavoro e anche per funghi, devo utilizzare due bastoni come appoggio per camminare. Il morale va a terra, sento assalirmi precoce la vecchiaia.
Preoccupato, prenoto pertanto una visita all’ospedale.con esame  elettromiogafico
Il giorno fissato, in ospedale   in attesa del medico, assente in quel momento, comincio a riflettere: «Perché sono qui, cosa sono venuto a fare?»
Intanto da una settimana non mangiavo né formaggio né latte e non avevo alcun dolore o impedimento.
Faccio l’elettromiografia e l’esame dà esito negativo, tutto ok.
Smetto del tutto di mangiare formaggi e derivati dal latte e ritorno come nuovo.
Dopo anni riprendo il formaggio, niente latte né yogurt, solo formaggio.
Da alcuni mesi mi sento greve, do colpa all’età. La schiena al mattino mi duole, le gambe dure, faccio fatica a fare le scale, sogno ogni giorno la massaggiatrice,  che in realtà non è che mi toglie  il dolore; il giorno appresso ce l’ho ancora ma intanto ho tratto sollievo dal massaggio.
Ritornano alla mente i problemi che avevo qualche anno fa. Smetto così qualsiasi assunzione di formaggio. Ora sto bene, le gambe le sento libere, le scale non sono più un problema, la schiena, Dio volendo, non è più indolenzita.
Le cause? Il formaggio in sé, o i suoi derivati, oppure le varie farine che compongono l’alimentazione delle mucche? Se qualcuno è in grado di spiegarlo scientificamente ben venga.
E pensare che il latte contiene l’ormone della crescita ed è indispensabile ai nostri piccoli. Con quale cuore si può dar loro latte del genere, che alla fine sarà causa di disfunzioni e allergie?
Il latte è così maltrattato unicamente a scopo di lucro. In realtà gran parte dei produttori lattieri versa nel nostro paese in condizioni prefallimentari.
Il costo dei prodotti con i quali si devono  nutrire le mucche in stalla, il costo della manodopera, dei macchinari, i costi delle multe per infrazioni comunitarie legate alla super produzione, sono globalmente eccessivi in confronto ai magri ricavi e al deperimento delle mucche.
I vitelli che poi rigenerano la produzione, sono valutati nella maggior parte a poche decine d’euro. L’agricoltura sta soffrendo a causa delle leggi sfavorevoli che la politica ha scodellato negli ultimi trent’anni. Solo aiuti straordinari, nessuna vera legge d’adeguamento tecnologico e soprattutto di civile trattamento degli animali, con relative norme d’igiene che ci sono ma non vengono rispettate.Tutto è fermo all’antichità.
Dai paesi UE s’importano grossi quantitativi giornalieri di prodotti lattiero-caseari.
L’euro nei paesi come Romania, Bulgaria e altri ha un valore d’acquisto ben superiore al nostro, inflazionato e logoro, quindi ai nostri agricoltori, contadini, commercianti e produttori conviene di più importare che supportare l’agricoltura nazionale.
A guadagnarci sono pochi a rimetterci siamo poi tutti, per la valuta e salute che se ne va. In definitiva ne rimettiamo ancora di più, se consideriamo i tempi di lavoro persi a causa d’allergie e intolleranze varie, a stati di depressione e altre  patologie, digestive, motorie ecc. che il latte prodotto da mucche geneticamente modificate,  alimentate in maniera innaturale,  provoca  al nostro corpo. Siamo sempre fatti di quello che ingeriamo.
Ritornando per finire alla possibilità, remota ma non impossibile, di fare riemergere una produzione lattiero-casearia di qualità, con mucche autoctone, che producano la giusta quantità di latte, ben nutrite con soli vegetali non insilati, freschi o essiccati.
Prodotti pagati alla produzione un prezzo adeguato a sostenerne la stessa. Una maggiore informazione sanitaria e di pulizia ed igiene delle stalle, una reddittività sicura per quegli agricoltori che si vogliono adeguare.
Sempre che, buon senso politico economico, sanitario, assieme ad una buona dose di buona volontà, riescano nell’intento.
Così la penso io.

 Gilberto Frigo, l’uomo del nord