L'affondamento del Colleoni a Capo Spada


Venti di guerra soffiavano impetuosi: in Germania dal 1933 vi era il nazismo con Adolfo Hitler al potere; i tedeschi nel 1938 avevano occupato Austria e Sudeti e nell 1939 ha invaso la Polonia.
L’Italia fascista di Benito Mussolini, alleata della Germania dall’aprile dal 1939 occupò invece l’Albania, mentre le truppe tedesche nel 1940 invasero Belgio e Olanda  d vittoriose in Francia dal nord.
Il Mussolini da Roma proclamò lo stato di guerra contro Francia, Gran Bretagna e i loro alleati il 10 maggio 1940;  i tedeschi entrarono a Parigi il 14 giugno 1940, mentre italiani attaccarono a sud l il 21 giugno attraversando il confine a Ventimiglia.
La Francia del maresciallo Petain firmò l’armistizio coi tedeschi il 17 e con l’Italia il 24 giugno.
Intanto Mussolini il 28 giugno inviò la divisione navale dell’ammiraglio Casardi con a Tripoli per attaccare gli inglesi in Egitto: il governatore italiano della Libia Italo Balbo si preparò all’invasione per il 15 luglio. Alzatosi in volo di ricognizione con il suo aereo militare venne però abbattuto da “fuoco amico di contrarea” dall’incrociatore italiano Trieste, ancorato nel porto di Tripoli.
Fu una morte misteriosa quella di Balbo, perché fiorirono le voci riguardo un ordine segreto: sbarazzarsi di un governatore militare come balbo, scomodo per il suo carattere, ma popolarissimo e amato dalla gente. Si disse che l’ordine fosse stato dato dal gerarca Farinacci o dallo stesso Duce.
Il nuovo governatore italiano della Libia, il maresciallo Graziani, chiese più tempo a Mussolini per organizzare l’attacco all’Egitto, protetto da 30mila soldati britannici del governatore sir Archibald Wawell.
Nel frattempo venne ordinato alla divisione di Casardi di pattugliare le acque greche dove vi era un intensa attività di navi inglesi e supermarina.
Il Comando militare navale di Roma il 15 luglio ordinò all’ammiraglio di trasferire all’isola di Lero due incrociatori da battaglia per ostacolare il movimento dei mercantili di rifornimento inglesi.
Da Tripoli partirono due incrociatori gemelli costruiti a Genova dall’Ansaldo nel 1938, il Giovanni dalle Bande Nere e il Bartolomeo Colleoni; a bordo del primo salì lo stesso ammiraglio Casardi e gli incrociatori salparono alle 21 per raggiungere l’Egeo.
in un mare azzurro e stupendo, la divisione navale dei due mezzi italiani all’alba venne avvistata da un ricognitore inglese, mentre la ricognizione italiana aveva riferito che non vi erano movimenti aerei o navali inglesi in zona.
Era il 19 luglio: i due incrociatori alle 6,20 avvistarono a ore 12 – gergo militare per indicare il lato di prua – quattro cacciatorpediniere inglesi, navi più piccole di un incrociatore ma più grandi di una torpediniera; le due navi italiane aprirono il fuoco e inseguirono le unità nemiche, che fuggirono ad elevata velocità dotto il fuoco italiano  impreciso per la distanza e la foschia della mattina che aleggiava sul quel luogo bellissimo …
All’altezza di Capo Spada calò una nebbia incredibilmente fitta; le due navi italiane vennero colpite da salve nemiche di cannone, ma senza serie: risposero inutilmente al fuoco mirando sulle vampe d’artiglieria avversarie.
Alle ore 7.30 dal banco di nebbia uscirono due grandi unità inglesi da combattimento da 7mila tonnellate: l’incrociatore Sydney al comando del capitano di vascello – rango equivalente al grado colonnello d’esercito – Collins. e il cacciatorpediniere York, mentre gli altri 4 cacciatorpedinieri inglesi si fermarono minacciosi aprendo i fuoco sugli italiani, spostandosi a da est ad ovest.
L’ammiraglio Casardi pur considerando il pericolo rappresentato dalla disparità di numero , invece di fuggire verso est, punto libero dagli inglesi e salvarsi a Lero, si diresse a sudovest accettando il combattimento; innalzò cannoni navali da 152, bandierine rosse – segno internazionale di attacco – e diede ordine di fare fuoco ai due.
Bisogna sottolineare che i due incrociatori facevano parte della classe leggera Giussano, costruiti tra il 1928 e 1931in 6 prototipi gemelli da 5mil tonnellate, quindi molto più leggeri delle due navi principali inglesi; erano dotati di 16 mitragliere antiaeree, posamine da mare, 8 cannoni navali da 152mm, binati e 4 lanciasiluri binati, motori turbo Belluzzo ad ingranaggi, 2 eliche, 6 caldaie, velocita max 37 nodi orari, 507 uomini d’equipaggio di cui 186 provenienti dal sud Italia, tra Gaeta, Pozzuoli, Sorrento, Procida, Ischia, tra cui 48 tra ufficiali e marinai erano di Napoli.
Dopo un ‘infruttuosa ora di fuoco da ambo le parti, un colpo fortunato del cacciatorpedienire York centrò la sala macchine del Colleoni, provocando l’arresto dei motori e la loro distruzione; un’esplosione fece strage di macchinisti e marinai, motoristi, una quarantina di morti e feriti tra cui il comandante della stessa nave italiana.
Alle 8.37 le unità inglesi concentrarono il fuoco sul Colleoni, mentre l’altro incrociatore italiano alzò un cortina fumogena e fuggì verso Bengasi in Libia, abbandonando il teatro di guerra di Capo Spada.
Molti gli ufficiai feriti: rimanevano al comando del Colleoni solo il capocannoniere Agnes e il maresciallo maggiore silurista Antonio Ariano che continuarono a ordinare di far fuoco contro i nemici.
Intanto a bordo la carneficina continuava: un ragazzo dei siluristi fu mortalmente ferito una granata in bocca; un altro di 22 anni accecato dalle schegge cadeva in mare colpito da colpi di mitragli; un terzo di 32 anni venne fatto a pezzi da una cannonata. Anche il capocannoniere Agnes dilaniato cadde sul ponte della nave sul posto di combattimento.
Alle ore 12 il maresciallo Antonio Ariano con 3 ferite gravi abbracciò dunque il comandante del Colleoni Navaio, ferito e ustionato in nodo irreversibile in 17 punti del corpo, che aveva tentato di salvare i giovani macchinisti gettandosi tra acqua e nafta bollente; espresse il desiderio di morire con la sua nave, fasciato dal tricolore.
Il Maresciallo Ariano contando 93 morti e 316 feriti tra i 507uomini dell’equipaggio, fece dunque segnalare agli inglesi con le bandierine navali la richiesta di cessare il fuoco, poi il segnale di resa con la bandiera bianca.
Gli inglesi calarono prontamente dallo York scialuppe di salvataggio, ma aerosiluranti italiani giunti in volo da Rodi alle 12.37 spararono sui soccorsi uccidendo anche parecchi italiani che si erano gettati in mare dal Colleoni
Subito vennero messi in fuga da aerosiluranti inglesi giunti da Malta; ripresero cosi le azioni di soccorso: vengono raccolti in mare circa 200 feriti.
La nave inclinata di fianco e prossima ad affondare di poppa, con il fuoco a bordo in tutti i locali, senza scialuppe di salvataggio perché distrutte in combattimento e dalle esplosioni e incendi, contava 150 morti e 157 feriti.
Il maresciallo Ariano ne gettò e ne fece gettare ben 155 in acqua per salvarli dall’affondamento; poi andò a prua e lego a sé con la cinta il suo comandante agonizzante. Afferrò quindi la bandiera tricolore, recitò il Padre nostro e il Benedici, la preghiera dei mariani italiani. Alle 14.07 il Colleoni affondò rapidamente di pozza a prua.
Antonio Ariano, stretto al corpo ormai senza vita del capitano di vascello Navaio, affondò con la nave per circa 80 metri; poi nuotò in lenta risalita aiutato da una fanciulla che lo guidò per mano verso l’aria, verso la vita. Lui la seguì docile pensando di essere morto: quella fanciulla doveva essere la Madonna o sua madre Concetta venuta ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio.
Poi vide intorno a se un piede di legno di un tavolo, un mappapondo del Colleoni … Si rese conto che il suo comandante era spirato, e vide la ragazza che nuotava vicino sorridente … Infine, ecco la scialuppa di salvataggio che veniva a recuperare il ferito e il morto.
Sulla nave inglese York per disposizione del capitano di vascello Collins, un picchetto d’onore sparò una salva di fucileria per il comandante italiano morto da eroe, con i rituali fischi dei nostromi, 16 salve di cannone e rullìo di tamburi. Dopo il Padre nostro recitato ad alta voce dall’ufficiale, la salma di Navaio venne gettata in mare tra i saluti militari inglesi e italiani.
A sera i britannici scortarono i prigionieri per le vie di Alessandria d’Egitto; seminudi, laceri e sanguinanti, la popolazione locale prese a lanciare loro sputi e sassate, ma la giovane che Ariano aveva visto in mare ricomparve in piazza e in silenzio misein fuga la folla …
I prigionieri di guerra dopo aver segnalato con telegramma della Croce Rossa Internazionale del 2 agosto 1940 notizie alle loro famiglie in Italia, partirono per il campo di Ramgar n 19 di Calcutta in India.
Antonio Ariano fu capocampo per i prigionieri italiani; sarà poi rimpatriato su una nave ospedale da Tunisi nel 1941 fino a Malta e poi in Italia.
Nel 1942 dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fece parte della ricostituita Marina militare monarchica; combattè contro i tedeschi a Bastia, Genova, Sardegna, Capri e Anzio. Promosso tenente di vascello, nel 1944 prese parte alle 4 giornate di Napoli con alcuni giovani marinai; poi sbarcò a Livorno Viareggio e infine a Genova.
Venne ancora promosso dal generale Raffaele Cadorna junior, capo della resistenza italiana, al grado di capitano di fregata; pluridecorato, capocampo dei profughi esteri a Bagnoli con il generale Di Lorenzo, fu direttore dello spaccio della Marina Militare fino al 1946.
Divenne poi vicesindaco comunale del quartiere San Lorenzo e Vicaria fino alla sua morte, avvenuta nel 1956.
Antonio Ariano fu in muratoria dal 1918 e membro della Società Teosofica di nNapoli dal 1921; templare ed egizio dal 1923 e fu 18esimo grado nel 1925, arrivò al 33esimo  nel 1949.
Cultore di studi sulla Cappella Sansevero, fino alla morte credette nella reincarnazione, rimanendo sempre convinto che la fanciulla che l’aveva aiutato in mare fosse una manifestazione della dea egizia Iside.

Michele Di Iorio