La casa dei misteri osiridei


Antonio Ariano di Napoli (1888-1956), cavaliere del Regno d’Italia e dell’Ordine Militare dei Savoia, Commendatore mauriziano, già capitano di fregata della Real Marina Militare italiana e vicesindaco della sezione comunale di San Lorenzo e Vicaria, nel1953, era un famoso studioso di filosofia e di storia della Marina Militare e di Napoli, di archeologia, di numismatica, di filatelia, di teatro classico, nonché ottimo pittore e poeta, membro di varie associazioni e accademie culturali italiane.
Si dedicò dal 1949 in poi a studiare ed analizzare i misteriosi episodi che silenziosamente avvenivano in casa sua, sita nel palazzo costruito dal regio architetto Giacomo De Santis nel 1310, ai tempi della regina Giovanna di Durazzo- Napoli, di proprietà dei principi Capece Zurlo fino al 1860, poi passato alla Curia arcivescovile di Napoli nel 1871.
Il Palazzo era stato costruito sulle rovine del teatro greco romano di Neapolis, ove nel 67 d.C. cantò l’imperatore romano Nerone; nella stessa strada di via Anticaglia, uno dei tre decumani romani, attuale via San Giuseppe dei Rufi, ospitò la comunità Egizio- Alessandrina Osiridea: saltimbanchi, giocolieri, indovini, ballerine, musicisti, indovini, vinai, orafi, maestri di incensi e di cere.
Emigrati nella città partenopea in quel 67 d.C. da Alessadria d’Egitto, si erano insediati tra via Nilo, piazzetta Nilo, via Tribunali e via Anticaglia.
Da cosa partire per evocare le misteriose atmosfere di Palazzo Capece Zurlo?
Meno misterioso del vicino Palazzo Sansevero di piazza San Domenico Maggiore, ma immortalato a sua volta negli scritti di Benedetto Croce come il “palazzo degli spiriti”, insieme con il contiguo palazzo del marchese Artiaco, ma soprattutto la magione dei principi Capece Zurlo.
L’edificio era appoggiato agli archi romani fatti erigere nell’80 d.C. dall’imperatore romano Domiziano; incorporava inoltre ricche vestigia e colonne antiche del proscenio del teatro greco romano di Napoli.
In particolare, gli appartamenti del piano nobile dal 1657 ospitarono la famosa pinacoteca privata, che comprendeva arazzi e quadri pregiatissimi del principe don Giacomo Capece Zurlo,in un insieme di fascino e misteri tipici del centro storico di Napoli.
Al primo piano di questo palazzo l’affascinante nobildonna Popa De Santis sposò nel 1636 il nobile giudice De Gennaro e poi si trasferì in Puglia; nell’ala sinistra nel 1823 si preparò al matrimonio la bellissima nobile giovine Maria Antonia Capece Zurlo,che andò sposa nientedimeno che a don Gerardo de Sangro, pronipote del principe e scienziato don Raimondo.
I due sposini furono massoni egizi e carbonari e vennero entrambi seppelliti, su loro richiesta, nella sagrestia della vicina Cappella Sansevero tra 1842 e 1844.
Di quello stesso piano e nelle stesse sale gli Ariano erano affittuari dei principi fin dal 1675; il primo ad abitare lì fu Marco Antonio, maestro regio della Real Zecca di monete di Napoli,
L’appartamento in questione presentò sempre strani fenomeni inspiegabili: misteriose ma non tenebrose presenze si aggiravano tra i suoi saloni e la cucina.
Si raccontava da secoli di strane musiche d’organo e pianoforte che echeggiavano per la casa, porte che si aprivano da sole, maniglie che giravano di notte, rumore di acqua e di pentole che cadevano rumorosamente – ma poi non se ne trovava alcuna a terra!…
Strane figure di bellissime donne nobili in vestaglia che giravano con candelabri accesi …
Uomini che leggevano libri o scrivevano con penne d’oca all’antica scrivania di noce, evanescenti gatti e cani bianchi, serrature che scattavano da sole, bambini cullati da ombre femminili …
Lo studioso napoletano Antonio Ariano ad un certo punto si domandò dunque quale fosse il mistero di questi fenomeni.
Anzi, con le sue ricerche appurò anche la presenza del tesoro osirideo, nascosto proprio lì, nella zona tra il bagno padronale e un doppio passaggio che sbucava nell’antica strada dell’Infrascata, oggi via Salvator Rosa, attraverso un armadio a muro con uno strano doppiofondo …
Ariano nel 1953 dopo aver visitato la Cappella Sansevero, venuto a conoscenza di tanti aneddoti, continuava a farsi domande, a voler chiarire alcuni fatti poco spiegabili; si chiedeva ad esempio perché Michele II de Sangro nel 1883 a Foggia dicesse a sua moglie che lui sarebbe morto esattamente dopo 120 anni dall’avo Raimondo, come prescritto dal codice dei Rosacroce …
Michele era botanico, agronomo e scienziato agrario famoso e morì proprio nel 1891,120 anni dopo la scomparsa del suo bistrisavolo.
Tante erano le domande che si poneva lo studioso Antonio Ariano, tra casi strani, strani furti non portati a termine nella casa abbandonata in tempo di guerra, segni inequivocabili della paura dei ladri … Spaventati da cosa?… Da chi?
Ma torniamo al misterioso tesoro, che forse era più cartaceo che di pietre preziose e antiche monete d’argento e d’oro.
Un tesoro citato nelle memorie del principe don Giovanni Capece Zurlo nel 1850, con antichi riferimenti a pergamene conservate prima a Castel del Monte e poi dal 1751li a palazzo Capece Zurlo, ove fu nascosto in una soffitta il giovane, capitano della Guardia Civica repubblicana del 1799 Ferdinando Ferri, amante della sventurata Luisa Sanfelice.
Don Giovanni Capece Zurlo, che era stato governatore provinciale borbonico dell’Aquila e direttore delle Real Ferrovie di Caserta nel 1842, nel 1860 riparò con la sua famiglia a Roma al seguito dei Borbone in esilio, e poi a Parigi, abbandonando dunque il palazzo.
Lo stesso principe don Giovanni aveva ripetuto per decenni ad un altro suo inquilino, l’avvocato Filippo Lebano di Sessa Cilentana (1802-1852), padre di Giustiniano Lebano, il già citato proprietario di Villa Lebano a Trecase.
L’avvocato Filippo nel 1828 aderì al gruppo carbonaro dei Filadelfi di Bosco in provincia di Salerno insieme con l’avvocato Teodosio De Dominicis e il parroco De Luca; dopo la violenta repressione dei moti da parte di 8000 tra soldati e gendarmi borbonici guidati dal marchese Saverio del Carretto, colonnello della gendarmeria di Napoli e futuro ministro degli Affari Interni di re Ferdinando II di Borbone Due Sicilie, fu confinato per punizione in Napoli con la moglie Anna Acampora, da cui ebbe numerosi figli; il confino politico era sotto la vigilanza del commissario di polizia di Vicaria e San Lorenzo don Carlo di Sarno, proprio nel palazzo dei principi Capece Zurlo, in due stanze al n. 6 di via Anticaglia, ala sinistra del n. 8 al primo piano.
Lebano discendeva da un antico casato nobiliare di Genova risalente al 1146, trapiantato a Milano nel 1222 e poi dal 1464 a Napoli; per matrimonio furono marchesi di Lustra Cilentana dal 4 maggio del 1743.
Filippo Lebano a sua volta si era confidato con il suo vicino, Domenico Bocchini da Salerno, un erudito letterato già capitano di Fanteria di linea napoletana nel 1808 sotto il regno di Gioacchino Murat, e poi giudice di pace nel 1814 e giudice regio nel 1820, ma anche massone egizio e carbonaro, ugualmente confinato in Napoli.
Insieme avevano fatto ricerche, memori degli scritti del romanziere inglese Lytton, autore nel 1828 del romanzo storico “Gli ultimi giorni di Pompei”: tra gli altri personaggi menzionava una sacerdotessa di Iside, una regina egizia della 18esima dinastia dei Faraoni che praticava rituali d’immortalità fisica e di una strana imbalsamazione di alcuni adepti, secondo i quattro rituali detti osiridei o arcana arcanorum, provenienti da antichi dei dello spazio che avevano colonizzato la terra arcaica di Lemuria e di Atlantide.
Gli stessi rituali erano stati introdotti a Napoli dal 67 d.C. dagli egizi alessandrini – in un luogo che era diventata poi una bottega di vinaio proprio sotto Palazzo Capece Zurlo – che praticavano tali rituali nella Napoli sotterranea dai mille cunicoli segreti …
Cunicoli che nel 1750 erano stati trasformati da Raimondo de Sangro e dal suo amico Tschudy nel laboratorio segreto e poi ampliati nel 1778 da Luigi d’Aquino, da Cagliostro e da loro amico Vincenzo, figlio di Raimondo e nonno di Gerardo de Sangro.
Da Roma nel 1870 era rientrato il signor Ciro De Santis, già colonnello borbonico del reggimento ussari della guardia reale a cavallo di Francesco II di Borbone a Gaeta nel 1861 e che era rimasto con il sovrano fino al 1870.
Rientrato a Napoli, si era subito messo in cerca dell’avvocato Giustiniano Lebano a Torre del Greco, dove risiedeva al tempo.
I due si recarono a Napoli proprio a Palazzo Capece Zurlo, nella casa paterna, per parlare in modo riservato della via Osiridea detta desangriana, mentre assistevano a riti di spiritismo tipico ottocentesco che poi continuarono a Trecase con la famosa medium Eusapia Palladino, tentando di evocare Cagliostro, Saint Germain e addiritura Raimondo de Sangro … Ma questa è un’altra storia.
Per quanto riguarda l’altra storia, quella del tesoro, Antonio Ariano non lo trovò mai.
Fu rinvenuto invece dall’inquilino che abitò quell’appartamento dopo di lui.
Ma anche questa è un’altra storia …
(Foto: web)

Michele Di Iorio