Le guerre dei Balcani: 20 anni dopo

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Nel corso del 1993, venti anni fa, si arrivò al punto più alto di ferocia e di barbarie nella guerra nella ex-Jugoslavia: intere comunità sottoposte a orribili stragi; stupri di massa; deportazioni: tutto in nome di una assurda e irreale “pulizia etnica”.
E tutto avvenne a poche centinaia di km da noi.
Quello che segue è uno spunto riflessivo su cui il Festival del Cinema dei Diritti di Napoli ,nell’ambito della sua VI Edizione (5-12 dicembre 2013), costruirà una giornata di incontri, eventi  e riflessioni
Uno dei dati che più sorprendono nella “Guerra della ex-Jugoslavia”, come è stata definita, è che, a mio avviso , non ci stanno i buoni e i cattivi: cioè gli aggressori e gli aggrediti. Sono tutti contemporaneamente tali: cioè sia buoni che cattivi.
Essa ha avuto varie fasi: la fase croata: dal ‘91 al ‘95 e la fase bosnia-herzegovina ‘92-‘95: quindi è un unicum che va dal 91 al 95, escludendo la primissima fase che vide  l’autoesclusione della Slovenia dalla Federazione Yugoslava (1991).
E che molti retrospettivamente ritengono sia stata la goccia che fece traboccare il vaso: il tappo che, tolto via, diede inizio alla tragedia.
Fu anche detto che la mossa di affrancamento della Slovenia, il più piccolo degli Stati della Yugoslavia, fu molto voluto dalla Germania, che voleva una specie di cuscinetto rispetto al ribollire del disordine balcanico in quella regione.
Possiamo affermare che l’elemento militarmente più dinamico, deciso e attrezzato politicamente, nel senso che era latore di un’ideologia aggressiva nazionalista ad oltranza, contro tutte le altre nazionalità era quello serbo: e anche questa è stata una costante storica (intendo a partire dal Medio Evo) .
Tra l’altro Srbsk (la Serbia) è lo stato più popoloso, più industrializzato ed era il centro politico della ex-Yugoslavia.
Dopo di loro c’era la componente croata: anch’essa fortemente nazionalista; anch’essa fortemente aggressiva verso tutte le altre: “solo” che era meno numerosa di quella serba; anch’essa comunque  industrializzata: forse anche per questo faceva gola.
In Croazia era operativo un  diverso sviluppo industriale, meno legato alle commesse dell’industria pesante, sostenute dallo stato (com’era quella serba).
Ma questo è un aspetto legato allo sviluppo particolare del cosiddetto “socialismo titoista” jugoslavo, per cui il “Complesso militare-industriale”, aveva un fortissimo peso politico perché portava profitti di tipo capitalistico.
Ovvero l’economia “militare” serba era parzialmente sganciata dalla rigida programmazione dei velleitari “Piani quinquennali” , ed era quindi un centro di potere, che “voleva la guerra” per incrementare i suoi profitti (esattamente come i “pescecani” che nei punti critici della storia italiana “scelsero” la guerra ): e Milosevic, Mladic,  ecc, ne erano l’espressione politica conseguente, ivi comprese le aberrazioni sulla “pulizia etnica”.
Queste due componenti nazionali hanno sempre comunque conflitto, trasportando nel loro scontro interno i conflitti internazionali: i croati, usando il cattolicesimo come elemento identificatore, essendo non rilevanti le differenze linguistiche (pur essendoci), hanno nella storia del loro plurisecolare conflitto appoggiato le potenze “cattoliche”/occidentali , come, nella II Guerra Mondiale, i nazisti.
Gli Ustascia di Ante Pavelic erano la milizia filonazista di pulizia etnica, ed erano tristamente famosi.
A cui risposero i Cetnici, le milizie appoggiate dall’URSS: anch’esse “patriottiche” e simmetricamente ferocemente stragiste: però essi vinsero.
Ma è una costante della Serbia, di religione ortodossa, essersi sempre posta sotto la protezione della Russia, quale che fosse la forma istituzionale. Il che è avvenuto pure durante quella sciagurata guerra.
La Bosnia-Herzegovina , aggredita da Croati e da Serbi, sviluppò anch’essa in un secondo momento, ma in risposta alla politica di genocidio della altre due componenti, una politica offensiva verso di loro.
Essendo la meno forte sul piano militare e politico, è la parte che ha pagato di più, avendo, oggettivamente, meno responsabilità delle altre due. Ma anch’essa non ha mancato di “farsi valere” per ritorsione sulle minoranze soprattutto serbe.
Però bisogna dire, almeno allo stato, che chi ha formulato, teorizzato più precisi piani di “pulizia etnica” sono stati i serbi, con maggiore aggressività politica; ma anche i croati sono da considerarsi correi. Anche se i criminali di guerra indicati come tali sono solo serbi: e ciò perché hanno perso la guerra.
Un’altra questione è quella del Kosovo. Territorio di lingua, cultura e tradizioni albanesi: che è parte, ancora oggi, in maniera blanda, del territorio di Serbia: ma in realtà semindipendente su mandato dell’Onu. Riveste addirittura una forte importanza nell’immaginario collettivo identitario serbo.
I serbi, minoranza, hanno esercitato un forte controllo politico, economico e sociale, opprimendo la nazionalità maggioritaria. Ora l’equilibrio si è rovesciato, effetto della sconfitta serba:  questi ultimi sono diventati una non tollerata minoranza, oggetto, ora, di ritorsioni e violenze.
Ed è molto forte l’irredentismo: il Kosovo aspirerebbe a federarsi con Tirana.
Poi c’è la Macedonia, che è abitata da popolazioni di lingua e tradizione greca, religione ortodossa, che è la componente maggioritaria;  e la componente albanese che è fortemente presente; poi vi sono minoranze bulgare, su territori oggetto di contenziosi. I greco-macedoni si definiscono macedoni: e la Grecia non riconosce nemmeno lo stesso nome di Macedonia.
È uno scenario molto complesso. In cui non esistono ragioni chiaramente condivisibili, tranne il diritto ad esistere, mantenere la propria identità, conservare la propria memoria storica.
Queste sono le condizioni in cui si può sviluppare la democrazia.
Minoranze democratiche, per lo più intellettuali, che si opposero, in nome del multicultularismo e del reciproco rispetto, alle derive nazionaliste, furono pochissimo consistenti in Serbia e Croazia: più ragguardevoli in Erzegovina.
La città di Sarajevo era famosa per la laicità e la compresenza, nei gruppi intellettuali, delle varie componenti cultural-religiose.
Vedere il tutto dal lato delle vittime: dovunque, di qualunque etnia o religione esse siano state.
Arrivare, anche se lontanamente o in prospettiva, ad un momento di confronto come il Sudafrica, sarebbe un fine eccellente …
Ma  è difficile se non impossibile.
Tuttavia guardare e ascoltare la guerra dal punto di vista delle vittime è un punto di vista su cui lavorare propositivamente.
Identità, Memoria e Democrazia: non al fine di ri-generare i nazionalismi. Al contrario: precisare chi siamo per accogliere il diverso, l’altro.
(Foto: web)

Francesco “Ciccio” Capozzi