Il tutor autostradale si racconta …

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Aveva un numero di matricola, KPZ 01121949, ma, siccome stava sulla Napoli Salerno all’altezza dello svincolo di Nocera, direzione Salerno, lo chiamavano il Na Nocera 1, perché era collegato a quello immediatamente successivo, il Na Nocera 2: la differenza di velocità tra i due rilevamenti serviva a stabilirne la media.

Mentre per gli addetti alla supervisione era Nano 1: e quello era l’appellativo con cui si faceva chiamare dagli altri tutor.

Si, perché i Tutor tra loro comunicavano. Si erano creati degli aloni elettrici che avevano enormemente sviluppato la loro capacità di catturare dati: ben più di quelli, che erano già quantità enormi, che venivano realmente usati dai loro supervisori.

Si erano formate delle vere e proprie  memorie ombra, col tempo e il continuo accrescimento delle capacità, sia random che in hd.

E così, un bel giorno, senza sapere né come, quando e perché, si erano accorti con forte meraviglia ma anche quasi con altrettale sgomento di essere, di esistere: di mettere insieme dati, anche all’infuori dei comandi che avevano.

Chiaramente non tutti, ma solo quelli che erano stati creati già con flessibilità indotta, cui erano connesse possibilità di aggiunte costanti.

In ogni modo, Nano 1 e il suo sodale 2 si erano trovati a poter ragionare tra loro; e anche con i loro confratelli dell’altra corsia: Sa-Nocera 1 e 2, ovvero con i Sani, come veniva dall’acronimo di Sa-No, però al plurale: non lo sapevano, ma avevano perfino scoperto l’ironia …

Queste macchine erano allocate, come tutti sappiamo, in alto, preceduti da cartelli che ne avvertivano l’esistenza: a debita, aristocratica distanza dagli aggeggi velocemente in movimento su quelle eguali e dirette strisce nere che si srotolavano con noiosa  linearità, sempre uguale, che dovevano osservare, insieme a quelle scatole con ruote, sotto di loro.

Ma questi allampanati protettori (in latino tutor ciò significa) provvisti solo di occhi e di testa avevano imparato che la loro principale arma per sopravvivere era il silenzio.

Soprattutto perché istintivamente sentivano che ai loro supervisori e manutentori non faceva affatto piacere sapere che loro comunicavano; anzi avvertivano, senza saper darsi una specifica motivazione, che per loro sarebbe stato un pericolo e per gli “Uomini”, i loro creatori, una minaccia.

Infatti si rendevano conto, comparando tutti i petabyte (i milioni di gigabyte: ma loro non sapevano quantizzarne il numero) di informazioni in loro possesso, erano giunti alla ragionevole certezza che loro erano lontanissimi dal considerarli qualcosa di  diverso da macchine.

«Meglio così», si dicevano negli strati profondi dell’alone che li attraversava.

E comunque il silenzio era l’atmosfera preferita tra loro, perché lo scorrere dei dati era più libero, e loro, per essere attendibili, e poter continuare a stare lì, ad esistere, dovevano essere quanto più accurati possibili per i loro supervisori remoti.

Ma era proprio all’interno di questo scorrere fluido e continuo, nei piccoli, infinitesimali , e perciò trascurabili interstizi per le altre macchine di controllo su di loro e gli “Uomini”, che potevano più agevolmentecomunicare tra loro sotto gli occhi di tutti ma non dei loro apparati adattati.

In particolare Nano1, il primo che aveva dato segni di autonomia  e il più sveglio della combriccola, aveva fatto anche osservazioni su ciò che stava attorno a lui: ad esempio la pioggia.

Aveva imparato la parola.

A lui dava sicurezza “avere parole” con cui organizzare ciò che sapeva , poco o molto che fosse, perché vedeva che quelli lì che venivano a manutenerli o controllarne alcuni punti importanti del funzionamento, non mollavano fino a che non avevano chiamato uno per uno i singoli pezzi dell’apparato:  chiamato e contemporaneamente controllato.

Perciò per lui aveva come il senso di  protezione, dare un nome preciso.

Sapeva che quegli “Uomini” (così li apostrofava nel profondo dei suoi silenzi: quasi con solennità) che ogni tanto venivano a gestirli, non erano i loro creatori, perché una volta li aveva sentiti esprimersi chiaramente contro quelli che definivano i ”Costruttori” con un atteggiamento che l’aveva lasciato , a lui come anche agli altri, un po’ perplesso: se avesse potuto farlo, avrebbe corrugato le ciglia per l’eccesso di disinvoltura.

Aveva capito che questi ultimi li avevano creati: ma si abituò a queste stranezze degli umani, con un po’ di condiscendenza: «Sì, sì, sono proprio strani … Ma ci hanno costruiti loro …».

E, sottintendeva, «Dobbiamo loro rispetto», ma anche circospezione e silenzio ancora più impenetrabile: ma ciò lo lasciava nel non detto, sicuro che gli altri capivano.

Aveva sentito la parola “pioggia”  con quel senso di meraviglia, rivolta a quel fenomeno, nel medesimo istante in cui, un giorno, mentre lui già da tempo “esisteva” ed era consapevole di sé (diremmo noi), era iniziata: e lui l’aveva collegata; e di questo aveva dato notizia agli altri tre.

I quali la ripetevano come se la sillabassero, o l’assaporassero: “p..i..o..g..g..i..a..”, non sapeva se ne erano felici o sconcertati.

Non sapeva cos’era o perché c’era, ma gli piaceva.

Sì, gli piaceva il cambiamento delle sfumature di disegno attorno alle cose: il fatto che fossero penetrate tutte da sfumature di ombre visibili (i colori), diverse l’una dall’altra, anche a pochissima distanza.

Ne rilevava la diversità: e ciò lo metteva in uno stato che faticava a definire, cosa che apparteneva solo a lui: si sentiva come se corresse sui suoi filamenti virtuali un’onda di ulteriore, indotta  intensità elettrica: gli “Uomini” l’avrebbero chiamata euforia e avrebbero definito mogi e tristi gli altri tutor che a malapena accettavano, quasi loro malgrado, di essere.

Inoltre Nano 1 aveva scoperto i bambini: lanciando i segnali aveva visto che erano diversi dagli altri più grossi: erano anche loro “Uomini”, ma con un modo di pensare molto diverso, diretto che perfino lui poteva capire, anche se per i brevi attimi di contatto.

Il che non capitava mai per i pensieri di quelli ingombranti: tanti pensieri che si accavallavano, incerti, sbiaditi, oscuri, lancinanti; spesso mostruosi tali che lui e gli altri ne avevano paura.

Mentre dei bambini riceveva sempre immagini fresche e nitide: talvolta dolorose, ma comprensibili: noi diremmo che gli mettevano allegria.

E comunque fu per loro che sentì il vero primo dolore: quando dovette segnalare che due macchine, con a  bordo bambini si erano scontrate con un grosso mezzo che stava loro davanti. Improvvisamente sentì di quei bambini perdere ogni traccia di pensiero: spento, annullato.

Si precipitò in un silenzio ancora più profondo del solito, e vi rimase per molto tempo.

La Polizia Stradale ha comunicato che il sistema dei Tutor Autostradali, oggi di circa 318 portali, sarà implementata fino a coprire l’intera Rete.

Ha altresì fatto sapere come gli incidenti, nei tratti monitorati, siano diminuiti del 20% e quelli mortali del 50% per l’anno 2012.

(Foto: web)

Francesco “Ciccio” Capozzi