Regina Bianchi. Un ricordo.

«Tempo c’è voluto… ma poi sei venuta pure tu, in mezzo a noi … »
Ad accoglierla così, con quel sorriso sardonico e quell’aria sfottente, e pure un po’ insolente, se vogliamo, era proprio lui: il grande Eduardo, morto nel 1984.
Che si trovava a due passi dal lettone della camera da letto nella sua bella casa di Roma, in cui, senz ‘accorgersene la grande attrice Regina Bianchila notte, ma già del 5 aprile 2013 (a 92 anni), era andata via da questo mondo di affanni , ad una dimensione diversa.
Lei non era ancora non del tutto consapevole del nuovo stato in cui si trovava. E chi avrebbe potuto dirglielo con certezza? Cos’era? una trapassata? Una pura essenza elettrica sprigionata dall’energia del cervello? Quell’idea di essenza che alcune religioni chiamano anima?
Comunque, prima ancora di “sentire” ciò che era “ora”, non faticò a riconoscere i tratti scavati, aggrottati, in ombra e sempre ispessiti da un’aria di tremenda e costante consapevolezza di sé (pure mo’ che era un trapassato …) di Eduardo.
« Ah!…Ma che bel comitato d’accoglienza tengo…Non mi dite che siete qui per me? Ma che onore!… », fa Regina, sempre ironica, ora come quando era in vita.
«E per chi altri se no? – interloquisce subito Eduardo, leggermente (ma davvero solo un po’…) stizzito – Vedete qualcun altro, di grazia , insieme a voi? », facendo una specie di mezzo inchino in piroetta, come se  riprendesse una movenza  da palcoscenico, in chiave un po’ di farsa.
«Eh, ma non siete cambiato! La morte non solo non vi ha sconcecato, ma site proprio tale e quale a prima…Vi viene da fare l’attore ‘e triatro proprio naturale …» , riprende Regina, che pur rispondendo al suo regista e méntore, si guarda attorno.
Si, si trova, nella sua stanza, sembra tutto uguale: ma è tutto diverso. Lo sguardo coglie spazi d’ombra, polvere, che come d’incanto si animano di ricordi, d’immagini viventi del suo passato, che a lei sembrava di aver dimenticato del tutto… «Si, in fondo, si dice tra sé, questa è la casa in cui ho vissuto con Goffredo (Alessandrini) suo compagno di vita e padre delle sue due figlie … casa dalla quale non mi sono mai distaccata.
Anche se lavoravo fuori per lunghi periodi, era questa la “mia” casa;  e ogni mio pensiero di riposo e di quiete era associato agli spazi di questa: al tran tran che cercavo di amministrare come in una famiglia, in una casa normale; ma anche alla veduta di Villa Ada: uno scorcio di giardino che lei per decenni non si è mai stancata di guardare… E le mie figlie?» – si domanda improvvisamente, come di un pensiero che l’avesse  assalita, lasciandola senza fiato, angosciosamente – Ma esse respirano: vivono.
«Sei tu (dal voi è passato al tu) che non sei più del loro mondo … Loro non hanno niente a che vedere con noi: sei tu che, se fortemente, ma assai fortemente, invocata, da loro potrai andare» ,  dice Eduardo.
Lo guarda: è chiaro, avverte immediatamente tra sé che tra loro non ci sono misteri: “Appertenimm’a’ morte”, diceva Totò; e si leggono “dentro”, anche se non sapeva se erano “gente seria”, come diceva sempre Totò, loro che erano dello spettacolo …
«E finalmente l’’e truvate overo  le voci di dentro originali!», riprende lei con una punta di sarcasmo, anche per reagire a questa consapevolezza che la intimidisce, perché si sente come nuda; specie davanti a un indagatore acuto e profondo come lui.
«Già»,  ribatte impassibile Eduardo, mentre la guarda muto, con quello sguardo fisso e concentrato  che era il tormento, e forse l’incubo, di tutti gli attori, giovani e non giovani, famosi e non famosi ,anche di famiglia (Luca compreso…) che lavoravano con lui; perché voleva dire che si stava avviando a un rimprovero secco, spietato, freddo che partiva da un qualche errore o incomprensione di una sua indicazione, ma che riusciva a penetrarti dentro, come un arpione, nella parte tenera, molle, indifesa della tua persona, della tua anima, graffiando e facendo sanguinare.
Era di una noncurante cattiveria rispetto a ciò che decideva di fare di te. Riusciva a scoprire il tuo punto debole caratteriale, con implacabile precisione chirurgica: peggio di un confessore o di un medico.
E nessuno poteva opporsi; l’alternativa era andare via con disonore e sarcasmo: e nell’ambiente pesava.
Eduardo era così: ma così otteneva il massimo, ma proprio il massimo da tutti i suoi attori che lavoravano,non “con” lui, ma “per” lui.
Era una specie di marchio di fabbrica.
Regina lo sapeva fin troppo bene: anche a lei era capitato d’incontrare, non tante volte per la verità, quello sguardo sottile e acuminato come uno stiletto; ma tagliente come una lama giapponese.
Lei si sforzava, come allora, di mostrarsi fredda e distaccata: ma pure in quello stato il suo spirito aveva paura: «E che vuole da me? Che ho fatto?», diceva con una punta di panico inconsapevole.
E, come collegandosi al suo sotterraneo e implicito senso di colpa mostrato in questo avere paura del suo sguardo, Eduardo le domanda: «Ma perché te ne sei voluta andare, dopo che Titina ti aveva fatto tornare? Non ti è bastato il successo di “Filomena Marturano”, “Questi Fantasmi” e altre commedie mie? Tu eri la mia preferita? Eh? perché te ne sei andata? »
Le ultime parole sono quasi piene di rabbia, lontane da quella olimpica sicurezza che ostentava in ogni situazione.
Ma era piena di una specie di dolore: si era sentitocome abbandonato; lui che, al contrario, abbandonava e lasciava fuori attori e attrici che non gli andavano; anche se avevano successo.
«Eduà, ma è semplice. Con te non avevo vita; ero sempre e solo Filumena Marturano; io volevo essere Regina Bianchi: poco o niente che fossi, io volevo essere io.
Certo con te avevo prestigio: ma anche io ho dato prestigio ai tuoi personaggi … Per me era diverso da Pupella: io volevo fare altro: e ho fatto altre cose tra teatro, cinema e anche tv … »
«Se, se, con Merola e la Sceneggiata … », riprende Eduardo inviperito.
E lei seraficamente: «Erano grandi artisti, di un genere particolare; e oggi lo stanno riconoscendo. E poi è importante ciò che io facevo lì, come mi è stato sempre e unanimemente riconosciuto.
Mi volevano bene, mi stimavano e anche i giovani hanno colto la mia presenza, come Tartaglia e altri.
E comunque  quello che ho fatto, ho fatto; ne sono fiera e soddisfatta».
Una pausa.
«Ma perché non ho visto qui mio marito?»
«Perché ciò che è stato veramente importante per te era il teatro e l’arte, non il resto della tua esistenza», riprende Eduardo.
E tra loro scende il silenzio.
(Foto: web)

Francesco “Ciccio” Capozzi