La rovina di Villa d’Elbeouf

PORTICI – Quella qui raccontata è la magnifica storia di un principe e del suo regale Palazzo, immerso nel verde, nel profumo dei fiori e dei frutti, tra il rosso splendente del magma di un affascinante vulcano, il Vesuvio fumante,  e l’azzurro rasserenante del cielo e del mare del più bel luogo del mondo: il Golfo di Napoli.
Nel 1707, caduto dopo oltre due secoli il Vicereame Spagnolo, il Regno di Napoli passò sotto il dominio austriaco.
Durante i primi mesi del 1709, il Principe Emanuele Maurizio di Lorena Duca d’Elboeuf e Barone di Routot e di Quatremarre, Generale della Cavalleria Austriaca, nonché nipote dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo VI, fu condotto a Portici, per ammirarne i luoghi, dal poeta suo amico Avvocato Niccolò Amenta.
Il Principe di Lorena restò estasiato dal Granatello, il cui nome si fa risalire ad un’antica piantagione di alberi di melograni.
Qui, infatti, rinvenne tutto ciò che egli adorava, vale a dire: tranquillità, boschi, un mare d’incanto e aria purissima.
Pertanto, decise di farsi costruire uno splendido padiglione estivo.
Fu così che, negli ultimi mesi del 1709, il Principe d’Elboeuf riuscì ad acquistare al Granatello l’area dove i Frati Alcantarini, nel 1699, avevano edificato un piccolo ospizio sulla lava tufacea della devastante eruzione vesuviana del 1631.
I primi due atti di compravendita furono stipulati a Napoli, dal Notaio Niccolò Cepollaro, il 16 novembre ed il 18 dicembre del 1709. L’atto definitivo per la realizzazione della villa fu stilato a Napoli, dal Notaio Giuseppe Ragucci, il 6 giugno del 1711.
Per alcune condizioni poste dai Frati Alcantarini, i lavori non poterono cominciare prima del mese di giugno del 1711, anno in cui, con muraglioni di contenimento, scavi e riporti di terreno, si livellò tutto il sito che in origine era, come detto, costituito dalle lave fangose del 1631. E’ anche possibile, seppur non provato, che sullo stesso luogo esistesse già un piccolo palazzo sin dal 1706.
L’anno successivo fu dato l’incarico del progetto all’architetto Ferdinando Sanfelice, uno dei più importanti rappresentanti dello stile tardo barocco napoletano, amante di illusionistici giochi scenografici e prospettici.
Si costruì la caratteristica loggia e, nel giro di pochi mesi, sorse questa favolosa villa, adorna di stucchi, di statue, reperti archeologici ercolanesi,  e di un ampio bosco arricchito da piante rare.
Va detto che, sull’autenticità sanfeliciana del progetto, non si hanno notizie certe; l’attribuzione dell’opera al Sanfelice deriva, in realtà, essenzialmente dalla gran piazza antistante la dimora e dalle due fiabesche scalinate ad emiciclo, che uniscono il prospetto della villa alla spiaggia.
Un panorama che non ha eguali al mondo: si apre sull’azzurro mare del golfo dai balconi del primo piano, dove vi sono pure una terrazza rivolta al Vesuvio e altre due terrazze, una verso Napoli/Ischia, e l’altra verso Torre del Greco/Capri.
Lungo le balconate marmoree delle logge, le statue sottratte ad Ercolano facevano bella esibizione e, all’interno dell’edificio, si trovavano anche una chiesetta, una grande cucina, un refettorio e, finanche, una scuderia.
Per alimentare le fontane degli appartamenti e del parco lussureggiante, venne realizzato un lungo acquedotto che, partendo dagli Appennini dove attingeva al Fiume Clanio, giungeva fino al Granatello; il tutto in un condotto sotterraneo che passava davanti alla Chiesa e Convento degli Alcantarini, per poi immettersi nella villa.
La traccia di questo acquedotto fu delineata dal Rizzi-Zannoni nella sua topografia: Carta del Littorale di Napoli e dei luoghi antichi più rimarchevoli di quei contorni, del 1794, con la denominazione di Acquedotto Reale di Portici.
L’epigrafe coeva così recitava:
“Al Genio del luogo/ Ed alle Ninfe abitatrici dell’amena spiaggia/ Per poter ritirarsi a vivere giorni lieti e tranquilli/ Ed a prendere vero diletto/ Sia dagli onesti riposi, sia dagli studi/ In compagnia degli amici
Emmanuele Maurizio Lorena Duca di Elboeuf/ Fatto spianare il suolo e piantarvi alberi/ E condurvi acque potabili/ Questo quieto recesso/ Si preparò./ Lunge ne ite, o cure moleste della rumorosa Città!”
Quanto ai citati reperti archeologici ercolanesi che adornarono la regale villa, questa è la loro storia.
Nel 1709 un contadino di Resina, un certo Enzecchetta, scavando un pozzo nel suo podere, posto alle spalle della Chiesa di S. Caterina, scoprì dei finissimi marmi.
Nel cavarsi il pozzo, si ebbe la fortuna di imbattersi a piombo sulla bocca di un altro antico pozzo, che era chiuso con una pietra rettangolare poggiata sul suolo e sotto la quale, a pochi centimetri, vi era l’acqua. Il pozzo, che tuttora esiste, è al civico n° 103 del Corso Resina.
In verità, in un testo di Georges Hanno del 1881, intitolato Les Villes retrouvées Pompéi et Herculanum, si fa riferimento all’Enzechetta come ad un panettiere di Portici e non un contadino, mentre in un altro testo del 1826, denominato Nuova guida di Napoli, dei contorni di Procida, Ischia e Capri, l’Enzechetta è qualificato come villico.
In ogni caso, in quel momento, il Principe d’Elboeuf era alla ricerca di marmi preziosi per adornare la sontuosa villa che doveva farsi costruire al Granatello.
Pertanto, messo al corrente dello straordinario ritrovamento, si recò a Resina dove, riscontrando l’ottima qualità dei marmi, intuì che potessero appartenere ad un’antica città sepolta.
Fu così che acquistò il campo dal contadino e continuò per conto proprio gli scavi, affidandoli all’architetto napoletano Giuseppe Stendardo. Scavi che furono definiti “scavi di rapina” in quanto il Principe di Lorena, avendo estratto un considerevole quantitativo di bronzi, statue e colonne, non si accontentò di utilizzarle solo per l’abbellimento del proprio grandioso palazzo al Granatello, ma addirittura ne inviò alcune sia in Francia al Re Luigi XV che al Principe Eugenio di Savoia, suscitando la loro meraviglia.
Alcuni pavimenti posati nella villa, vennero prelevati dalle case romane degli scavi, così come tante colonne in marmo e, certamente, moltissimi bronzi che adornarono le balconate.
Un vero Eldorado a pochi passi, che egli governava con avidità e con spregiudicatezza. Moltissimi i capolavori che trafugò e portò via in Francia, Germania e Austria. Tantissime le opere d’arte che divennero merce di scambio.
In particolare, il Principe d’Elboeuf, inviò a Vienna in dono a Eugenio di Savoia delle colonne e due bellissime statue che, per la loro provenienza, furono appellate le “Ercolanesi”.
Con la morte di Eugenio di Savoia, le statue furono acquistate da Augusto III di Sassonia, padre della giovane Maria Amalia Cristina, che, nel 1738, andò in sposa a Carlo di Borbone.
Tornando alla splendida Villa d’Elboeuf, il 3 febbraio 1714, per ingrandire la proprietà, il Principe di Lorena, con atto del Notaio Gaetano Cerillo di Scafati, acquistò dall’Università di Portici 33 moggia di terreno.
Successivamente, il 9 luglio 1716, la villa fu ceduta dal Principe di Lorena al Duca di Cannalonga Giacinto Falletti per 11.000 Ducati, con atto del Notaio Niccolò Antonio Cepollaro di Napoli.
Due lapidi marmoree, poste all’ingresso della villa, ricordavano l’evento.
All’epoca la proprietà, oltre al principesco palazzo, si componeva anche di un rigoglioso giardino della superficie di un moggio e mezzo, confinante: ad Est con i beni di Angelo Ascione e con il giardino del Convento dei Frati Alcantarini; ad Ovest con un suolo di proprietà del Monastero della Sanità di Napoli e con il fondo appartenente ai Ruffo di Bagnara; a Sud con il mare.
Dopo la realizzazione della villa del Principe Emanuele Maurizio di Lorena Duca d’Elboeuf, nella zona, si ebbe un incremento di nuove costruzioni gentilizie, tra le quali: nel 1716 l’Architetto Gaetano Cito prestò la sua opera per la fabbrica della villa dei Santobuono Monteleone; nel 1720 Paolo Ruffo di Bagnara diede inizio alla costruzione di un grandioso palazzo, con tre portali, prospiciente la Strada Regia (attualmente mortificata come Corso Garibaldi); nel 1724 il Marchese Carlo Danza, Caporuota della Real Camera di Santa Chiara, fece realizzare una magnifica villa nei pressi del Largo Trio (attuale Villa Meola); nel 1730 Domenico Antonio Vaccaro progettò e diresse i lavori per la splendida villa di Domenico Caravita di Sirignano, Presidente della Real Camera della Sommaria (attuale Villa Maltese).
Si può quindi senz’altro affermare che, dal Rinascimento in poi, Portici si impose come luogo privilegiato di villeggiatura e che, dal primo quarto del XVIII secolo, la moda della villeggiatura nel Real Sito fosse già un fatto consolidato.
Siamo così giunti a quel glorioso 10 maggio 1734, quando Carlo di Borbone entrò vittorioso nella città di Napoli, accolto trionfalmente dalla popolazione.
Il Re Borbone decise di stabilirsi a Portici, oltre che per la salubrità dell’aria e l’incanto del panorama, pure, da buon cacciatore, per l’abbondante presenza di quaglie; anche la Regina Maria Amalia rimase incantata dall’amenità dei luoghi.
Ed è così che il 23 agosto del 1738, Re Carlo diede l’ordine per la progettazione e costruzione della Real Villa di Portici, i cui lavori ebbero inizio nel 1740.
La concessione del  privilegio dell’esenzione fiscale, che durò fino al 1877, invogliò ancor più l’aristocrazia e la ricca borghesia napoletana a costruirsi un bene “vicino al Re” non gravato da tasse, favorendo lo sviluppo di quell’area ad Est di Napoli, che in seguito è stata denominata “Miglio d’Oro”.
Per tale motivo, nell’arco di circa mezzo secolo, vennero costruiti oltre duecento favolosi e ricchi palazzi, le famose “Ville Vesuviane”, per la realizzazione delle quali furono impiegati alcuni tra i più grandi e raffinati architetti del rococò napoletano, tra i quali: Domenico Antonio Vaccaro, Niccolò Tagliacozzi Canale, Ferdinando Sanfelice, Ferdinando Fuga, Pompeo Schiantarelli, Ignazio Cuomo, Mario Gioffredo e tanti altri.
Ma questa del “Miglio d’Oro” è però un’altra storia!
Ancora, Carlo di Borbone messo al corrente, dall’Ingegner Colonnello Gioacchino Rocco Alcubierre, dei tesori d’arte e delle antichità che giacevano nel sito d’Elboeuf, consapevole dell’importanza storica di tali rinvenimenti, impose al Principe di Lorena l’immediata sospensione degli scavi, dichiarandoli di proprietà dello Stato.
Infatti, Re Carlo, disgustato dai “furti” del d’Elboeuf, incaricò il Bonucci di scavare l’antica città con metodo e rigore e, nel contempo, nauseato dal “sovrano del Granatello”, con il suo palazzo lussuosissimo, pose termine allo scempio e, con risolutezza e allontanò don Maurizio dalla terra vesuviana.
Sull’accaduto si parla nel Diario del soggiorno in Napoli di Sua Santità Pio IX, del 1850, di Stanislao d’Aloe
Ecco che gli embrioni di quelli che poi sarebbero diventati gli Scavi archeologici di Ercolano e di Pompei, l’Hercvlanense Mvsevm e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli erano stati posti.
Ma anche questa è un’altra strabiliante storia di questa Terra incantata!
Ritornando a Villa d’Elboeuf, allo scopo di includerla nel territorio scelto dal Sovrano per la sistemazione delle “Reali Delizie”, il 29 settembre 1742, Casa Reale Borbone acquistò da Casa Falletti dei Duchi di Cannalonga, la villa già appartenuta al Principe d’Elboeuf, pagandola 5.250 Ducati. Vennero acquisiti, nello stesso tempo, 177 busti di marmo e numerose statue e colonne, tutti reperti che il Principe d’Elboeuf aveva sottratto al Teatro di Ercolano durante gli scavi.
Infatti, come detto, la villa era particolarmente nota per le statue e gli oggetti antichi che in essa si custodivano e che il Principe, per primo, aveva ritrovato nel corso di quegli scavi.                                                                                          
Scavi proseguiti poi sistematicamente da Carlo e che riportarono alla luce Ercolano, ponendosi come un episodio determinante per la cultura europea della fine del Settecento.
La creazione di quell’angolo di Paradiso che era Villa d’Elboeuf si completò allorché, acquistati altri due suoli posti alle spalle del palazzo, di proprietà dei P.P. Coventuali Alcantarini (oggi di S.Pasquale) fu possibile gettare un piccolo grazioso ponte, nella curva a cavalcavia sulla Cupa del Granatello o Strada dell’Epitaffio (attuale Via E. Gianturco) e mettere in comunicazione le “Reali Delizie” con Villa d’Elboeuf e, quindi, con il mare.
Da tale momento Villa d’Elboeuf divenne l’Approdo Borbonico per eccellenza di tutto il Golfo Partenopeo. Il piccolo ponte, che fu abbattuto nel 1958 durante i lavori di allargamento della sede stradale, si trovava nel punto in cui, ancora oggi, accostata al muraglione di contenimento della Villa Comunale, vi è, nell’indifferenza generale, una piccola Cappella settecentesca.
Carlo di Borbone, oltre ad essere un amante della caccia, lo era anche della pesca, ed è per questo motivo che, per dedicarsi a questa sua passione, si riservò la zona del Granatello facendovi proibire la pesca.                                                             Lì, su di uno scoglio da lui preferito, trascorreva ore intere a pescare.
Nel 1742, fece sistemare, proprio a Villa d’Elboeuf, dei vivai detti “Peschiere” o “Tonnare”, ossia le “Regie Peschiere del Granatello”, dove vi si trovavano pesci di sorprendenti specie e di vari colori e forme.
Di quest’opera, purtroppo, oggi non ne esiste più traccia, tranne che per le lunghe vasche del Bosco Inferiore, sopravvissute alla barbara devastazione post unitaria.
Infatti, nel 1955, dove vi era la “Real Peschiera”, vi si stabilì un cantiere navale e, in un secondo tempo, anche una trattoria.
Agli inizi degli anni ‘60 del 1900, piccoli cantieri navali con annessi scali di alaggio, oggi dismessi, erano presenti su tutta l’aria prospiciente la così mortificata Villa.
Anche Ferdinando IV (poi I delle Due Sicilie), successore di Carlo, fu legato a Villa d’Elboeuf. Infatti, come suo padre, Ferdinando IV era particolarmente attratto dalle “Reali Delizie di Portici” e, per questo, era sovente trasferirvisi con il suo seguito specialmente durante il periodo estivo.
Il Sovrano soleva giungere a Portici per mare e sbarcare proprio ai piedi di Villa d’Elboeuf, da dove poi proseguiva in carrozza per la Reggia.
Fu così che, per la necessità di proteggere in modo idoneo le “galeotte Reali” una volta sbarcato il Re, sul finire del 1773, Ferdinando IV diede l’incarico al Direttore delle opere idrauliche di marina, Ingegner Giovanni Bompiede, di realizzare un progetto per la costruzione di un piccolo porto alla Marina del Granatello.
Conclusi i lavori nel 1780, Portici poté così assurgere a cittadina marinara di pieno diritto; ma pure questa è un’altra novella!
Anche durante l’occupazione militare del “Decennio francese”, Villa d’Elboeuf ha ricoperto un ruolo da protagonista.
Difatti, tra il 1812 ed il 1814, per volere del Re Gioacchino Murat e di sua moglie Carolina Bonaparte, la Reggia di Portici fu soggetta ad ampliamenti e rinnovamenti artistici, sotto la responsabilità, per la maggior parte, dell’Ingegnere Vincenzo Paliotti.
Sotto la direzione di quest’ultimo, venne eretto nel 1812, per volontà di Carolina Bonaparte, l’ormai purtroppo obliato “Bagno della Regina”, incastonato – come sarebbe potuto essere altrimenti! – proprio ai piedi della Villa d’Elboeuf; “bagno” realizzato per l’uso della Regina e delle sue figlie.
Quel poco che resta di questa costruzione, nell’incuria e l’abbandono è, vergogna delle vergogne, l’unico esempio esistente al mondo di “architettura balneare stile impero”.
Sempre ai piedi della villa, nell’estate del 1882, sorse il primo stabilimento balneare, denominato anch’esso “Bagno della Regina”.
Questa struttura fu eretta proprio a fianco dell’antico “Bagno Borbonico”, dove, per comodità dei tanti villeggianti, venne costruito un emiciclo su due piani dotato di 24 spogliatoi.
Ancora un pochino avanti con gli anni, quando nell’agosto del 1838, per la realizzazione della prima ferrovia della penisola italiana, iniziarono, in prossimità di Villa d’Elboeuf, i lavori della linea Napoli-Portici, inaugurata da Ferdinando II di Borbone il 3 ottobre 1839.
Per la costruzione della Stazione del Granatello, nel tratto appunto tra Villa d’Elboeuf e la rampa di accesso del porto, venne realizzato un grosso muraglione di contenimento, alto circa 12 metri e lungo 130, con il quale si coprirono le lave dell’eruzione del 1631.
Con la proclamazione del Regno d’Italia, subita il 17 marzo 1861, il destino di Villa d’Elboeuf, come del resto quello di un’intera Nazione Duosiciliana, fu segnato inesorabilmente.
Tutti gli immobili ed i territori acquistati e appartenuti a Casa Reale Borbone, passarono in “dotazione”, dopo l’invasione piemontese, a Casa Reale Savoia. Così ben presto, con la Legge n° 2198 del 14 marzo 1865, fu dato inizio, per motivi di bilancio, allo smembramento, trasferimento e vendita di gran parte dei territori, compresa la selvaggina e le piante esotiche, e degli immobili con i loro preziosi arredi e le inestimabili collezioni d’arte  già appartenuti a Casa Reale Borbone e ubicati nella Provincia di Napoli.
In particolare, per quel che qui si narra, Villa d’Elboeuf fu ceduta alla famiglia Bruno, prendendone la denominazione.
In seguito, con il frazionamento della proprietà, si è giunti all’attuale disonorevole stato; umiliazione per la Storia, la Cultura e la Civiltà di un Territorio e di un’intera Collettività.
Eppure Villa d’Elboeuf, di pregevole interesse storico, ambientale, paesaggistico e architettonico, fu uno dei primi “edifici moderni” ad essere costruito a Portici nel XVIII secolo.
 
 Prima di giungere all’attuale obbrobrio, drammaticamente rappresentato in un imperdibile “video di denuncia e testimonianza”, pubblicato su YouTube all’URL http://youtu.be/PkVsrao88p8, questo capolavoro settecentesco aveva nel tempo già subito tre gravi ed irreparabili danni: la linea ferroviaria, rasente la facciata posteriore, che ha interrotto il continuum tra la costruzione ed il parco annesso alla villa; la presenza sulla spiaggia di un cantiere e di una trattoria, oggi dismessi, che ne compromisero il rapporto con il mare; e la sopraelevazione effettuata nei primi anni del secolo scorso.
 
Perché non dire poi che l’Approdo Borbonico di Villa d’Elboeuf è legato, come in una favola, a numerosi personaggi ed eventi storici di grande rilievo.
Ad esempio, ai piedi della villa, il 4 settembre del 1849 sbarcò il Papa Pio IX che, profugo da Gaeta, dove aveva riparato sin dal 26 novembre del 1848, per fuggire l’insurrezione romana, fu premurosamente ospitato da Ferdinando II nella Reggia di Portici, fino al 4 aprile del 1850.
Come tutti i Sovrani Borbone anche Francesco II, l’ultimo Re della Patria Duosiciliana, è intimamente legato a Villa d’Elboeuf. Tanto è vero che, dopo aver concesso da Portici la Costituzione del 25 giugno 1860 e trascorso gli ultimi giorni del suo regno nel Real Sito, Francesco II, con sua moglie, la giovane ed incantevole Maria Sofia, il 6 settembre del 1860, si imbarcò dal Granatello per raggiungere Napoli, da dove poi le Loro Maestà sarebbero salpate definitivamente alla volta di Gaeta.
Anche gli usurpatori Savoiardi passarono per Villa d’Elboeuf, ormai divenuta Villa Bruno!
Infatti, Vittorio Emanuele III, il 16 maggio 1927, per recarsi ad inaugurare i nuovi scavi di Ercolano, intrapresi sotto la direzione dell’Archeologo Amedeo Maiuri, sbarcò al Granatello dal Cacciatorpediniere Confienza e fu ricevuto, anch’egli, ai piedi di Villa d’Elboeuf da varie personalità politiche e dalla popolazione.
Ma veniamo ad oggi! Nonostante le diverse leggi emanate per proteggere le Ville settecentesche del Miglio d’Oro; leggi che hanno dato vita all’Ente Ville Vesuviane ed eletto le stesse “Monumento Nazionale” (Legge n° 1089/1939, Legge n° 1552/1961, Legge n° 578/1971) e sebbene vi sia stato il cofinanziamento della Comunità Europea con le “Istituzioni nazionali”, per Villa d’Elboeuf non c’è stata nessuna pietà.
Tutto anche a dispetto del vincolo posto dalla Sovrintendenza sul bene, dato il valore storico dell’immobile.
Incuria, irresponsabilità, scarica barili, fallimenti, aste, eclissi nelle prelazioni di acquisto delle Istituzioni, speculazioni, hotel fantasma, spettri di condomini di lusso e chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere!
Tutto quello che è, e non è accaduto, in questi ultimi anni, è facilmente rinvenibile su Internet dove troverete cose incredibili!
All’attualità questo è il raccapricciante “bollettino di guerra”: gli interni sono in rovina per le intemperie e gli incendi divampati, e il tetto e i solai, costruiti con una struttura portante in legno, sono crollati un po’ ovunque.
L’unico elemento architettonico ancora rimasto a caratterizzare la villa, come le ali amputate ad un Angelo agonizzante, è rappresentato dalle due scalinate ellittiche, in strazianti condizioni, che collegano il palazzo con la spiaggia, confluendo, al piano nobile, in una piazzola un tempo delimitata da una prestigiosa balaustra in piperno e marmo bianco, anch’essa saccheggiata come tutto il resto.
Le condizioni del Monumento sono da tempo drammatiche.
Se chi può e/o deve non si sveglia dall’imperdonabile letargo, molto presto VillaILLA d’Elbeouf crollerà e il tutto sarà, nella migliore delle ipotesi, ipocritamente liquidato da pochi minuti al Tg regionale.
(Foto by Maurizio Vitale)

Maurizio Vitale