Il racconto: La vecchia signora del condominio

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Stavolta il nostro giovane autore ci immette nei nostri incubi condominiali; quante volte ci siamo trovati a dover discutere con i nostri vicini di pianerottolo, o arrivare, metaforicamente, ai ferri corti con l’inquilino del piano di sopra, che lascia il suo cane scorrazzare lungo il lastrico e pisciare sul nostro bucato. E sì, purtroppo sono cose che accadono, e, generalmente, in un modo o nell’altro si appianano, magari con la legge o con un pragmatico buon senso. Ma quando tutto ciò non accade … come si fa?
La nostra casa è un bene intangibile è un prolungamento di noi stessi, è il nostro luogo franco e guai a chi ce la tocca; per cui, chi di noi non ha covato vendetta davanti alle forti sollecitazioni dei nostri vicini?
Fabio Giampaglia è entrato in uno dei nostri incubi peggiori e ci palesa nella prosa ciò che solo il mondo onirico ci può regalare, la vendetta!

Ciro Teodonno

 


La vecchia signora del condominio

di Fabio Giampaglia

 
 
 
La signora Concetta era vecchia e racchia.
Aveva settantasette anni ed era vedova da quattro.
Il suo defunto marito, buon uomo, le era sempre stato succube e in nessun modo era riuscito a far valere su di lei le proprie ragioni, figurarsi gli inquilini del condominio di Via Scarpetta 12.
Quello di via Scarpetta 12 era un condominio tranquillo ma con tante problematiche. E si sa, anche i piccoli problemi diventano grandi se prima o poi non ci si mette mano. Ed è ciò che stava succedendo al condominio di via Scarpetta 12. Dieci condomini in tutto, compresa la signora Concetta, proprietaria di quattro appartamenti siti agli ultimi due piani del palazzo. La sua quota millesimale era ampia e determinante, e non c’era problematica o situazione che potesse essere affrontata al meglio se non c’era lei a decidere per un sì o per un no.
Negli ultimi tempi la sua parola definitiva era sempre no. In particolare bisognava intervenire con lavori di rifacimento del palazzo, ogni giorno infatti si rischiava di vedere pezzi di cornicioni staccarsi dalle parete e  frantumarsi sulla testa di qualche povero malcapitato.
Diverse riunioni condominiali si erano risolte in un nonnulla a causa della vecchia signora, tra l’altro molto antipatica e scorbutica.
Un bel giorno l’anziana proprietaria si pronunciò a sentenza: «Nulla sarà fatto senza la mia approvazione. Io impedirò ogni forma di provvedimento. Mettetevelo bene in testa, qui comando io! Sono proprietaria di ben quattro appartamenti.» Poi, rivolgendosi all’amministratore di condominio, un tipo piuttosto curioso, sulla cinquantina, senza capelli e con i denti da cavallo, puntandogli il dito secco e storto contro disse: «E lei non si permetta di farmi arrivare a casa lettere di avvocati o altro. Il mio no vale più dei vostri miseri messi uno in fila all’altro.»
Gli altri sei proprietari si guardarono con occhi pieni di rabbia e odio.
Tuttavia, se la signora Concetta aveva detto di no, si poteva fare ben poco. Era anche vero che la sua testardaggine era dettata da un puro spirito di contraddizione.
E i motivi erano tanti: uno su tutti l’opinione contraria degli altri condomini ad autorizzare una serie lavori di manutenzione straordinaria che più che risolvere problemi comuni erano indirizzati ad eliminare inconvenienti legati ad alcuni degli appartamenti della vecchietta.
Vecchi problemi di tubature e condotte che riguardavano la signora Concetta e non il resto dei condomini. Insomma, vecchia e malaticcia, questa intendeva investire tutti gli altri di problemi solo ed esclusivamente suoi. Oltretutto l’amministratore le stava pure antipatico.
La riunione di condominio era terminata e tutti se ne tornarono casa con un pugno di mosche in mano, senza aver preso decisioni importanti per il bene collettivo.
Solo Mario Corvino, trent’anni, single, proprietario dell’interno 4, appartamento fatto di tre vani più accessori, gravato da ipoteca legale per mutuo bancario, non digerì la sceneggiata della vecchia proprietaria.
Una volta a casa, una vocina nella testa gli sussurrò: «Vendetta
Quella stessa vocina tornò a fargli visita nei giorni successivi e una convinzione s’impiantò nel cervello labile di Mario Corvino: la vecchia andava punita, una lezione bisognava dargliela.
Così, il desiderio di vendetta diventò incontenibile. Mario Corvino decise che non era sufficiente una semplice punizione. Insomma, la vecchia doveva crepare.
Un bel giorno, il giovane si presentò fuori la porta della signora Concetta. Bussò alla sua porta e un uomo alto, con una barba folta e ingrigita, venne ad aprirgli.
Era il figlio della signora Concetta. Cinquant’anni. Separato. Senza figli. Tornato di recente a vivere con la vecchia madre.
«Prego?»
«Sono il condomino dell’interno quattro, devo dare una cosa a sua madre».
«La dia a me. Mia madre è in bagno a tagliarsi le unghie».
Che schifo! pensò l’altro. E va bene. «Come vuole, mi permetta almeno di entrare».
L’uomo gli fece largo. Aveva appena accostato la porta quando una puntura forte e gelida gli penetrò la schiena. Nemmeno il tempo di cacciare un urlo di dolore che un’altra puntura fredda e repentina gli trapassò il collo.
Mario Covino estrasse con velocità inverosimile le lame dalla carne dell’uomo.
Ai suoi piedi ora giaceva il cadavere del figlio della sua nemica, e intorno a lui sangue caldo e scuro.
Sentendo strani rumori e flebili lamenti, la signora Concetta uscì dal bagno e per poco non svenne.
«Oh, mio Dio! O no! No!»
Senza dir nulla, Mario Covino avanzò verso la vecchia e le portò via un braccio con un colpo di accetta.
La vecchietta cadde a terra sanguinante e dolorante.
«Tieni questo! E questo ancora! Muori, vecchia bastarda!»
La signora Concetta giaceva a terra senza braccia e senza gambe. Sembrava il busto di un manichino.
Mario Covino si passò la mano in faccia per pulirsi dal sangue rosso e caldo che gli rigava il viso.
Aveva l’affanno e la vocina nel cervello gli diceva: «Bravo, bravo! Missione compiuta. Adesso prepara un bel tris di carne.»
Il tris di carne gli parve una buona idea.
Allora prese il braccio mutilato della vecchia e ne tagliò un bella fetta. «Con questa ci faccio le costolette!»
Le portò via un pezzo di gamba e lo mise in un frullatore che trovò nella credenza. Quando la carne fu bella tritata la prese e la schiacciò per bene. «Hamburger!»
Infine le portò via le orecchie e il naso appuntito e li infilzò su degli stecchini. «Spiedini!»
Apparecchiò la tavola e sistemò per bene le pietanze nei piatti. Poi si diresse verso l’uscita. Aprì la porta, mise piede fuori dell’uscio e, volgendosi un’ultima volta verso i cadaveri mutilati di madre e figlio, annunciò: «Così è deliberato. L’assemblea è sciolta. Adesso, se volete accomodarvi … il pranzo è servito».
(Foto: web)