Debito, Svimez: nel 2011 per ogni famiglia 257 euro al mese

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ROMA – Per far fronte agli interessi del debito nel 2011 ogni famiglia italiana ha pagato in media 257 euro ogni mese, l’11% in più rispetto all’anno precedente (232 euro). Per evitare che da qui al 2015 la situazione del debito pubblico nazionale sia insostenibile occorre introdurre nel bilancio dello Stato meccanismi che permettano di coprire con entrate correnti sia gli interessi sul debito che le quote di capitale, (meccanismo già in vigore nelle famiglie e negli enti locali), evitando così di continuare a pagare il debito con altro debito.
È quanto emerge dallo studio “Debito, Mezzogiorno e sviluppo” di Federico Pica e Salvatore Villani pubblicato sull’ultimo numero in uscita in questi giorni della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della Svimez diretto da Riccardo Padovani. Lo studio, condotto su dati Banca d’Italia, ha esaminato varie ipotesi sulla base dei dati disponibili sul debito e l’andamento dei prezzi giungendo alla conclusione che senza l’introduzione di meccanismi finanziari correttivi entro il 2015 la prognosi del Paese è il declino.
In base a valutazioni Svimez su dati Banca d’Italia il debito della PA in Italia nel 2011 è salito a 75.130 euro a famiglia, con una crescita del 2 per cento rispetto all’anno precedente (73.560 euro). Dal 2007 al 2010 il debito è cresciuto dell’11,5 per cento, pari al 3,8 per cento annuo. Per far fronte agli interessi nel 2011 ogni famiglia italiana ha pagato in media 257 euro ogni mese a fronte dei 232 del 2010 (+11 per cento). In crescita anche gli interessi erogati dai Comuni, passati dagli 8,5 agli 8,9 euro al mese.
La situazione peggiora ancora di più negli ultimi anni: nel 2011 rispetto al 2010 il debito è cresciuto del 3 per cento, il Pil dell’1,7 per cento. Poiché la ricchezza prodotta è cresciuta meno rispetto al debito, la percentuale degli interessi sulle imposte pagate dalle famiglie e dalle imprese è salita dal 16 al 17,4 per cento.
Lo studio ha preso in esame quattro ipotesi: in caso di indebitamento nullo; di rapporto debito-Pil costante nel tempo; di fissazione di un limite all’indebitamento; di riduzione di una certa percentuale del debito.
Nel primo caso, supponendo il pareggio di bilancio oppure l’indebitamento nullo, si conclude che “una prognosi di ristagno per l’economia del Paese è più grave per le imprese e le famiglie del Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia” (indicatore R per il Mezzogiorno è -1,47 per cento rispetto a -0,97 per cento per la media nazionale). Variando i parametri, non cambia la sostanza: nel secondo caso, l’indicatore R per il Mezzogiorno è -1,54 per cento rispetto a -1,05 per cento per la media nazionale. Supponendo invece che il debito cresca al massimo del 3 per cento del Pil, i valori corrispondenti saranno -1,37 per cento per l’Italia e -1,88 per cento per il Mezzogiorno. Infine, ipotizzando che il debito si riduca di una percentuale fissa, l’indicatore dei redditi italiani è -1,13 per cento, mentre per il Mezzogiorno è -1,69 per cento.
Il debito sottrae ai contribuenti un ammontare di risorse che sarebbero state destinate a consumi, risparmi e investimenti, cioè alla crescita della ricchezza prodotta, da cui dipende anche la sostenibilità del debito stesso. Occorre, si legge nello studio, introdurre forme del debito meno legate a meccanismi di conversione dei titoli. Serve urgentemente una riforma fiscale appropriata che faccia crescere il Pil in maggiore misura rispetto ai prezzi, e politiche di bilancio che incidano sulle modalità di gestione del debito.