Pier Paolo Pasolini avrebbe 90 anni

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Lo spirito di Pier  Paolo si aggirava tra le mura del Centro Studi dove era in allestimento la Mostra-Convegno dedicata (2 Nov-15 Dic 12) a lui: si sentiva “richiamato” dall’interesse genuino che continuava a circondare la sua figura, «A Casarsa poi!…  – diceva tra sé, col suo carico di memorie di sofferenza accanto ad altre felici – Proprio qui, continuava a pensare, dove ho subìto la prima denuncia per  “Adescamento ed Atti Osceni” in luogo pubblico».
Ma più ci ripensava e più si diceva che era logico: «Non più gente del cinema, e nemmeno gente di lettere, quegli intellettuali che spesso mi attaccavano, spesso con invidiosa ipocrisia, ma vera “gente di letture” : quegli amici, spesso gente semplice, che serbavano un ricordo di stima, di rispetto se non di amorevole considerazione nei miei confronti, e che poi mi hanno veramente letto …E poi c’è mio cugino Nico (Naldini) che ha contribuito a tenere vivo il ricordo di me…».
«Certo – diceva tra sé con affetto – si è costruito il suo, di avvenire letterario, ma ha aiutato a tenere vivo il mio…Ma come faccio a non volergli bene? Era l’unico che in famiglia mi difendeva, sorbendosi gli attacchi di tutti, mio padre in testa…Debbo tornargli in sogno per parlargli un po’…».
Il Centro era piccolo, era nei locali del Comune, e quindi uscì un po’ a passeggiare per al cittadina.
Il traffico lo spiazzava sempre: gli impediva di mettersi a guardare con attenzione un dettaglio che in quell’istante lo sorprendeva per la sua peculiarità, la sua bellezza; e semplicemente lo incuriosiva…
Ora le auto lo attraversavano, mentre faceva, pur da entità psichica, le stesse cose: ma l’energia, spesso negativa, dei guidatori, lo infastidiva …
Gli venne in mente con un sorriso, che Ninetto (Davoli), quando camminavano insieme per le vie di Roma,diceva: «A Pierpa’, ma come se fa a stà co’ te su una via a parlà? Te stai sempre a fermà: mi sembri n’imbambolato me sembri!… ».
Ora stava fissando una quindicenne che si specchiava alla finestra, guardando in basso, sulla strada: ne vedeva i capelli, lunghi e biondi che muoveva e aggiustava con istintiva grazia, con appena un’ombra di inconsapevole civetteria; la sua aria era come illuminata dall’interno: non era particolarmente bella: ma quell’aria di fresca decisione nel suo atteggiamento suggeriva un suo saper farsi corteggiare dai ragazzi, e farsi apprezzare dalle sue amiche.
Lo sguardo era  di sicurezza e di fiduciosa attesa; la sua personalità, che affiorava alla superficie dei tratti del suo volto, e che li caratterizzava,  le assicurava quella capacità di comunicare al mondo la sua presenza.
Pasolini la fissava incantato: se avesse potuto, l’avrebbe posta in una nuova edizione “aggiornata” di quella galleria di ritratti e riflessioni filmate sulla società italiana in repentina trasformazione e sull’universo femminile che rese il suo film-inchiesta “Comizi d’amore” (‘64) un’opera di un’attualità profetica.
A un tratto si sentì come attraversato da un alito di vento: era la manifestazione che segnalava la presenza e la voce di un’altra entità simile a lui.
«Pier Paolo … Pier Paolo!… », si sentì sommessamente, ma insistentemente chiamare.
Era la voce di un anziano; era incrinata da un’intima indecisione: eppure usciva. Era vibrante dal desiderio di richiamare l’attenzione: eppure le sue note era come se sobbalzassero.
Pasolini, che ascoltava prima di dire, rimase immobile; era  incerto: da un lato gli sembrava di riconoscerla, dall’altro aveva la sensazione che veniva da troppo lontano perché potesse individuarla.
Ne fissò la fonte, e la riconobbe: era suo padre, Carlo Alberto Pasolini.
Benché un po’ più alto di lui, sembrava come rattrappito, nonostante il suo passato di militare di carriera, nello stare a confronto del tanto famoso figlio.
Figlio, oltretutto, col quale aveva violentemente e più volte litigato; e che aveva costretto lui e la madre ad allontanarsi da lui, perché non riconosceva dignità alcuna alle sue scelte personali.
Disprezzava e scherniva per offendere la sua omosessualità: salvo poi, una volta che a Roma, suo figlio era divenuto celebre, trasformarsi nel suo ligio segretario onnipresente.
Ma non pertanto i rapporti si erano trasformati nel segno di una distesa familiarità.
«Ah, ci sei anche tu?… », gli si rivolge in un tono che vorrebbe essere non ostile, ma disteso …
«Sapevo che saresti potuto venire … E poi … lo sai – disse quasi con timidezza,e sul punto di abbassare gli occhi – mi fa piacere sentire che ti ricordano e ti lodano a così grande distanza di tempo …»
«E che tuo figlio ciula (gay in dialetto friulano) si è fatto un nome …», continuò con cattiveria Pier P., in una stanca e infiacchita polemica che si trascinava da sé, quasi senza metterla in moto.
Il padre ammutolì. Si aspettava questa risposta. Tuttavia non si spostava e lanciava uno sguardo di richiesta silenziosa: di preghiera si sarebbe potuto dire, se possibile per un militare orgoglioso, che riponeva ben altre speranze nel suo figlio intelligente e geniale, che però oltre a essersi messo sulla strada della ribellione, come il fratello  Guido, ucciso nella Resistenza dalle Brigate Garibaldi  (di obbedienza piccista), era pure omosessuale ….
Pier Paolo sentì ancora una volta, accanto a quei ricordi di dolorose e odiose litigate, che coinvolgevano anche la sua amata madre, quel senso di pietà che gli aveva fatto un po’ meglio penetrare la figura paterna: ma mai giustificarla.
«Se ti fa piacere …», soggiunse anche lui timidamente.
«Ma perché ti sei fatto seppellire con questa maglietta della “Nazionale Attori”? Scusami, ma non ti offendere se te lo dico… Non è un po’ ridicola?.. »
«Mi è sempre piaciuto lo sport, lo sai…come a te e a Guido… Però il farlo, con gente che lavorava con me, ancora di più…Mostrava che non c’erano differenze di sorta…E che io ero meglio di loro…», soggiunse con un sorriso, e continuarono a passeggiare e a parlare con semplicità di alcuni episodi della vita, che riguardavano anche la madre di Pier Paolo, che era di quei posti.
(Fonte foto: web)

Francesco “Ciccio” Capozzi